LONDRA – Gli ambienti vittoriani del Museo del Cinema, a fianco dell’immensa ruota panoramica che è la nuova icona della Londra del terzo millennio, hanno ospitato lo scorso ottobre un evento del tutto particolare: lo svolgimento, in presenza della stampa internazionale, di uno dei tre “Mission Control” che, con gli analoghi e contemporanei eventi di New York e Singapore, hanno marcato la prima tappa del progetto The Human Face of Big Data. Cosa siano i “Mission Control” lo diremo poi. Prima parliamo del progetto, che è qualcosa di assolutamente nuovo.
Definire The Human Face of Big Data un progetto multimediale basato sul crowdsourcing è corretto, ma non dice nulla. Per capire di che si tratta davvero bisogna pensare al mondo come a un insieme di migliaia di miliardi di pixel (uno per ogni 0,8 metri quadrati), ciascuno dei quali, analizzato allo stato attuale della tecnologia, ci può dire cosa c’è in quel pezzettino di pianeta: un mare pulito o inquinato, un buon raccolto o un terreno inaridito, una strada trafficata o deserta e così via, contestualizzando il dato nello spazio e nel tempo. E sulla Terra ci siamo anche noi, gli umani. Sei miliardi di individui che, sempre grazie a strumenti in uso, si possono tradurre in un mondo di conoscenza; o meglio nella conoscenza globale del nostro mondo.
Tramite un’app per smartphone iOS e Android scaricabile dal sito thehumanfaceofbigdata.com, migliaia di persone hanno già fornito, dal 25 settembre ad oggi, una mole d’informazioni su sé stessi e sulle loro azioni, che sono stati visualizzati, analizzati e interpretati da esperti nel campo dei big data nei tre “Mission Control” di cui si è detto. L’8 novembre studenti e insegnanti di tutto il mondo avvieranno un’operazione analoga, con in più la possibilità di scambiarsi e confrontare le informazioni. E il 20 novembre, 10 mila opinion-leader riceveranno un libro che, sintetizzando in scritti e immagini quanto emerso, si propone di stimolare un confronto sul potenziale dei big data per la conoscenza dell’uomo e dell’ambiente, nonché sui pericoli connessi a una loro gestione inadeguata.
Questo grandioso progetto è stato concepito nel marzo del 2012 da Rick Smolan (già autore del fotolibro A Day in the Life) ed è stato reso possibile grazie alla sponsorship di Emc (altri supporter sono Cisco, FedEx, Originate, Tableau e VMware). Abbiamo quindi chiesto a Dave Menninger, a capo del Business Development & Strategy di Greenplum (la divisione di Emc per i big data) cosa si aspetti la società, oltre all’evidente ritorno in immagine, da un investimento che, per quanto non quantificato, è certamente molto consistente. “È un grande esperimento, che oltre a mettere alla prova le nostre tecnologie sui big data (lo storage Isilon, la piattaforma d’analisi Greenplum Uap e le applicazioni Pivotal, tutte acquisite dalle omonime società – ndr) ci farà capire che cosa realmente possa significare, anche per noi come società, questo fenomeno. Pensi all’Internet e a quello che ha significato per il business; lo stesso può accadere per i big data, con applicazioni e soluzioni, dalla gestione del traffico a quella della propria salute, che sono tutte da inventare”. Un percorso dal concetto di ‘intelligence’ a quello di ‘data science’ che Emc, da tempo soprattutto software house, è decisa a intraprendere.