Osservatorio Cloud & Ict as a Service 2015: analisi e interpretazione dei risultati

Pubblicato il 22 Giu 2015

Il mercato del Cloud in Italia atteso nel 2015 è stimabile attorno a 1,51 miliardi di euro, con una crescita complessiva del 25%. È quanto risulta dai dati della quinta edizione dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano. La Ricerca evidenzia poi che il cloud è ormai percepito come importante abilitatore della trasformazione in atto e sottolinea come vi siano differenti approcci con cui le aziende introducono questo modello. Ma qualunque sia il percorso, è necessario prendere in considerazione variabili di diversa natura, non solo tecnologiche, ma che riguardano tutti gli ambiti aziendali, a partire dalla progettazione di prodotti e servizi fino alla loro diffusione sul mercato. Con una forte attenzione alle variabili organizzative. Infine, uno dei dati più interessanti è la crescente propensione delle imprese ad implementare infrastrutture ibride. In questo primo articolo, Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service, Mariano Corso e Stefano Mainetti, Responsabili scientifici dell’Osservatorio, ci guidano nell’interpretazione delle principali evidenze emerse dall’edizione 2015.

L’evoluzione del mercato Cloud e la consapevolezza delle imprese nell’utilizzo di servizi Public

di Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service

La Ricerca 2015 dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano si è sviluppata principalmente in due direzioni. Da una parte ha visto il coinvolgimento di oltre  600 Cio e responsabili It attraverso survey e nei workshop interattivi, che hanno permesso di sviluppare e perfezionare i modelli interpretativi del fenomeno, come il Cloud Project Framework, che ha affiancato i modelli sviluppati nelle scorse edizioni della Ricerca relativi all’evoluzione del portafoglio applicativo delle imprese, la Cloud Agenda, e alle componenti del Sistema Informativo aziendale, la Cloud Journey. Dall’altra ha previsto una dettagliata analisi dell’offerta che ha visto il censimento di 625 servizi di provider Public Cloud e 85 Cloud Service Broker nazionali e internazionali, nonché l’analisi dettagliata della filiera italiana per la quale sono stati coinvolti, con interviste dirette, oltre 20 player di mercato. In collaborazione con l’Osservatorio Canale Ict, sempre della School of Management, sono stati inoltre coinvolti 166 Isv, per monitorare il modello di trasformazione degli operatori tradizionali verso il cloud.

Figura 1: Il mercato cloud in Italia
Fonte: Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano, giugno 2015

La rilevazione lungo queste linee di lavoro, affiancata dal confronto con le fonti secondarie, ha permesso di aggiornare le stime di mercato: a distanza di un anno, sembra davvero che le ombre che rendevano il cloud un fenomeno talvolta incompreso e incapace di incidere realmente sulle scelte delle imprese si siano finalmente diradate.
Il mercato complessivo del cloud in Italia atteso nel 2015 è stimabile attorno a 1,51 miliardi di euro, con una crescita complessiva del 25% (crescita calcolata rispetto ai valori di consuntivo 2014 che vedono il Public Cloud valere 340 milioni di euro e la Cloud Enabling Infrastructure 870 milioni di euro). I tassi di crescita confermano come il cloud rappresenti sempre più un percorso di trasformazione inevitabile e auspicabile per i sistemi informativi aziendali.
Come nello scorso anno, il mercato cloud è stato suddiviso nella componente Public, stimabile in 460 milioni di euro (con una crescita anno su anno attorno al 35%) e in quella relativa agli investimenti nel percorso di abilitazione al cloud, la Cloud Enabling Infrastructure che vale in Italia 1,05 miliardi di euro (con un tasso di crescita del 21%) (figura 1).
Con particolare riferimento alla componente Public Cloud, si è compreso che non può essere preso in considerazione solo nell’ambito di un approccio tattico, per risolvere problematiche contingenti, ma di un modo diverso di interpretate un progetto It, che richiede risorse e competenze differenti e un’attenzione particolare alle fasi iniziali di ideazione, analisi e pianificazione del progetto.

Figura 2: Diffusione del Public Cloud nelle grandi imprese
Fonte: Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano, giugno 2015

Il campione relativo alle grandi imprese mostra come il 54% delle organizzazioni utilizza almeno un servizio Public, mentre il 17% non li ritiene di interesse pur conoscendoli e il 29% ne sta valutando l’introduzione (figura 2).

Le aziende che dichiarano di non aver interesse in soluzioni Public Cloud identificano come motivazione principale i problemi di sicurezza e privacy (67%), l’inadeguatezza delle soluzioni alle specifiche esigenze (40%), lo scarso committment del management e la giustificazione di investimenti passati (20%), la scarsa affidabilità dell’infrastruttura di connettività o nella convenienza economica maggiore del modello on premises (13%). Da notare come la mancanza di competenze interne e dei fornitori di soluzioni Public Cloud non rappresentino un freno.
All’interno del 54% di utilizzatori, il 25% si trova in una fase di maturità più avanzata, di Cloud first in cui, almeno su un ambito, si è in una fase di estensione ulteriore di informatizzazione Public Cloud. Gli ambiti che sono caratterizzati da un approccio Cloud first sono Office Automation e Posta Elettronica (15%), Gestione delle Risorse Umane ed e-learning (11%) e Crm (5%).


Il Cloud Project Framework: un nuovo modello di riferimento

di Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service

L’anno passato l’Osservatorio Cloud & Ict as a Service ha dichiarato che “il Cloud Computing è ormai un trend in atto e inarrestabile”. Anche quest’anno i dati della Ricerca lo confermano: il 44% delle grandi imprese che adottano il Public Cloud dichiara, infatti, che il modello as-a-service è un importante alleato per rispondere velocemente alle richieste di business, mentre per il 36% il cloud è una leva di efficienza per la Direzione It.
Dalla Ricerca emerge come vi siano differenti approcci con cui le aziende introducono il cloud e diversi sono gli ambiti per i quali viene scelto questo modello. Nonostante ciò, lo studio evidenzia che, per poter introdurre con efficacia il cloud, è necessario intraprendere un percorso di evoluzione che richiede di prendere in considerazione variabili di diversa natura, non solo tecnologiche, ma anche organizzative e di business. Nel corso della Ricerca 2015, l’Osservatorio Cloud & Ict as a Service ha sviluppato un modello di analisi delle progettualità cloud denominato Cloud Project Framework che, a partire dalle fasi che caratterizzano un qualsiasi progetto It e dall’identificazione degli elementi caratterizzanti un’iniziativa cloud, identifica le variabili di tipo tecnologico, organizzativo e di business che entrano in gioco passando da un modello informativo tradizionale a uno as a Service e le criticità riscontrate durante questo cambiamento.
Un progetto cloud è caratterizzato da quattro fasi che prevedono attività simili a quelle presenti in un progetto It tradizionale.
1. Analyse&Plan: è il momento di ideazione e pianificazione del progetto; dall’identificazione delle esigenze alla definizione della struttura organizzativa e di costo delle singole attività di progetto.
2. Activate: in questa fase si passa alla progettazione e realizzazione concreta dell’output.
3. Run: dopo che l’output è stato rilasciato, si passa al funzionamento a regime della soluzione; si svolgono tutte le attività di gestione ordinaria.
4. Control: è la fase in cui si misurano le performances e si verifica il grado di raggiungimento degli obiettivi.

Figura 3: Attività più e meno critiche nei progetti cloud
Fonte: Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano, giugno 2015

Tuttavia, mentre in un progetto tradizionale tali fasi sono ben definite e classificate secondo lo stato di maturità del progetto stesso e, allo stesso modo, sono identificate chiaramente le competenze e le risorse da mettere in gioco, in un progetto cloud i confini risultano sfumati, le fasi in parte si parallelizzano e possono facilmente prevedere cicli di feedback. Non esiste una netta distinzione tra gli elementi tecnologici e quelli organizzativi, né dove, all’interno delle fasi progettuali, taluni siano maggiormente rilevanti. Inoltre, la progettazione e l’implementazione devono avvenire all’unisono, dove un team deve prendere in considerazione requisiti ed esigenze dell’altro (DevOps). Infine, le attività pongono naturalmente i presupposti perché vengano effettuati cicli di feedback tra fasi adiacenti, in modo particolare tra la fase di Analyse&Plan e quella di Control, per un maggior allineamento tra obiettivi di progetto e i suoi risultati e tra la fase di Activate e quella di Run, per semplificare il rilascio della soluzione.
Per quanto riguarda le singole attività, ve ne sono notoriamente alcune (e i risultati della survey lo confermano) che rispetto a un progetto It tradizionale sono più semplici grazie alle caratteristiche di agilità e flessibilità intrinseche nel cloud. Nello specifico, le attività della fase di Run risultano notevolmente semplificate proprio perché tutta la loro complessità viene demandata al provider: gestione operativa (89%), manutenzione (81%), help desk (64%) (figura 3).
Vi sono, al contrario, altre attività che richiedono particolare attenzione, in quanto da queste può dipendere il successo o meno del processo di adozione del cloud. Su un campione di 51 grandi imprese, le attività che risultano più complesse rientrano nella fase di Analyse&Plan, in particolar modo la definizione degli Sla del contratto risulta più complessa nel 64% dei casi e la valutazione di rischi, tempi e costi è critica per il 61% del campione. Inoltre, il 53% del campione ritiene maggiormente complessi la misurazione e il monitoraggio delle performance.
Il principale elemento che rende maggiormente complesse, in modo trasversale, le diverse fasi risulta essere la mancanza di risorse e competenze necessarie per svolgere l’attività (53%). Il successo o meno del processo di adozione del cloud dipende quindi fortemente dall’acquisizione di nuove competenze prima non possedute dall’azienda o solo in parte sfruttate: particolarmente rilevanti sono quelle di Supply Management, Contract Management, Enterprise Architecture, Change Management e Performance Management.
In conclusione, per poter implementare con successo il modello di fruizione dell’It as a service, le aziende devono approcciare il proprio progetto cloud in modo consapevole, anticipando le criticità e le interazioni che un progetto cloud richiede. Nel farlo sarà necessario considerare aspetti strategici, tecnologici e organizzativi e individuare eventuali complessità, per poter agire con tempestività ed efficacia nel superarle. Solo allora il cloud potrà abilitare quei vantaggi di cui ormai si discute da molto.


Cloud Journey: il momento dei Sistemi Informativi Ibridi

di Stefano Mainetti, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service

Come abbiamo visto dagli articoli precedenti, anche nel 2015 l’adozione del cloud da parte delle aziende italiane prosegue a ritmi elevati, con una crescita complessiva del 25% rispetto allo scorso anno (figura 1). Nonostante l’approccio al cloud (la Cloud Journey) sia diverso azienda per azienda, sia vendor e player di settore sia Cio ed It manager concordano sul fatto che il punto di arrivo sia quello del Cloud Ibrido, in modo da poter beneficiare delle caratteristiche peculiari di entrambi i mondi (pubblico e privato). E questo emerge in modo distinto da quanto rilevato durante l’analisi condotta sul campione di 79 Grandi Imprese coinvolte nella ricerca, dato che ambienti non integrati e progetti pilota stanno lasciando spazio a progettualità mature, caratterizzate da un approccio sistemico, derivante da un aumento di consapevolezza da parte delle Direzioni IT dell’importanza della definizione di una roadmap strategica che coinvolga tecnologie, competenze e processi.
Focalizzandosi sugli aspetti tecnologici, emerge come la Cloud Journey debba essere definita per indirizzare sia aspetti infrastrutturali sia quelli legati all’architettura applicativa.

Figura 4: Livello di diffusione delle differenti tecnologie infrastrutturali
Fonte: Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano, giugno 2015

In particolare, in figura 4 vengono riportati i dati relativi alla diffusione delle tecnologie infrastrutturali rilevata nelle aziende, dove emerge come, accanto a infrastrutture tradizionali, presenti nella quasi totalità delle aziende (97,5%), vengano utilizzate ormai in maniera diffusa sia soluzioni ingegnerizzate e automatizzate (38%) sia servizi fruiti in modalità as-a-Service (17,7%).
Il dato più interessante, però, è sicuramente quello relativo alle infrastrutture ibride, in quanto circa l’8% delle aziende coinvolte segnala iniziative di Hybrid Cloud infrastrutturale, in particolare in ambito Backup, Disaster recovey e per la gestione di carichi di lavoro estemporanei quali ambienti di sviluppo e test e cloud bursting.
Viene confermata, quindi, la tendenza delle aziende verso un Sistema Informativo ibrido, che prevede un percorso interno di evoluzione della propria architettura infrastrutturale finalizzato all’integrazione e all’orchestrazione di infrastrutture automatizzate on-premise, sistemi ingegnerizzati e molteplici Cloud Pubblici. In questo modo è possibile ottenere tutti i benefici derivanti dalla semplificazione della gestione infrastrutturale, abilitando modalità agili di sviluppo e rilascio degli applicativi che avvicinino il mondo dei sistemi con quello dello sviluppo applicativo.
Ed infatti non sono solo le infrastrutture informatiche a evolvere all’interno delle aziende che vedono nelle tecnologie Ict la possibilità di creare valore e differenziale competitivo, ma soprattutto si osserva un cambiamento a livello di portafoglio applicativo, che rappresenta l’area It che più contribuisce alla generazione di valore e differenziale competitivo.
I dati raccolti mostrano, infatti, una crescita del mercato Cloud per quanto riguarda i servizi applicativi (+40%). E se questo da un lato porta alla possibilità di accedere velocemente a un numero sempre crescente di funzionalità specializzate per gli specifici ambiti, dall’altro le aziende corrono il rischio di non riuscire ad avere una visione complessiva della propria architettura applicativa, che, se non adeguatamente controllata, potrebbe trasformarsi in una molteplicità di isole verticalizzate separate le une dalle altre in un Sistema Informativo “disintegrato”.
Risulta evidente, quindi, come anche a livello applicativo sia necessario sviluppare strategie di integrazione che valorizzino la possibilità di collegare tra loro le differenti funzionalità verticali messe a disposizione dai singoli applicativi, cloud o on-premise, al fine di comporre un Sistema Informativo solido e coerente, ma che al contempo permetta un’agile sostituzione dei suoi singoli elementi costitutivi.

Figura 5: Modalità di integrazione applicativa di SaaS con i Sistemi Informativi Aziendali
Fonte: Osservatorio Cloud & Ict as a Service della School of Management del Politecnico di Milano, giugno 2015

Anche sotto questo aspetto l’Osservatorio Cloud & Ict as a Service rileva differenze nella maturità delle aziende analizzate non tanto nella diffusione di soluzioni applicative cloud, ma nel percorso verso il Cloud Ibrido (figura 5).
Dall’analisi della tipologia di integrazione emerge un approccio attendista, poiché si evidenzia come il 35,7% delle imprese utilizzi SaaS non integrato o sperimenti integrazioni solo per specifici progetti pilota nel 31,4%. Ci sono poi aziende che invece stanno già utilizzando in modo diffuso integrazioni ad-hoc o di front-end (24,3%), e infine un 8,6% di imprese ormai mature e che hanno sviluppato un approccio strategico all’integrazione applicativa, integrando servizi cloud con applicazioni on-premise in modo strutturato. L’analisi approfondita di questi casi aziendali mostra in particolare come si tratti di imprese che negli scorsi anni hanno sviluppato un’architettura applicativa interna orientata ai servizi, che adesso sfruttano per poter connettere applicazioni on-premise e servizi cloud esposti grazie anche alla sempre maggior diffusione di cloud-API all’interno dei prodotti SaaS.
La visione a tendere è quella in cui le aziende si troveranno a passare da grandi suite applicative on-premise, personalizzabili talvolta solo con effort molto rilevanti, a un modello sempre più vicino al concetto di marketplace self-service, in cui i singoli utenti potranno comporre i propri applicativi approvvigionandosi di funzionalità estremamente verticali, non personalizzabili, ma integrabili tra loro anche in ottica di processo.
In generale si rileva come queste esigenze emergenti siano già state in parte recepite dal mercato dell’offerta in termini di prodotti e servizi e di dinamiche interne alla filiera cloud. Infatti, se da un lato si osserva un consolidamento e una concentrazione in relazione alle tematiche infrastrutturali di Cloud Enabling Infrastructure, dall’altro si assiste a una propensione sempre maggiore verso l’interoperabilità e l’integrazione dei sistemi, per esempio con l’adozione di standard architetturali open o mediante l’esposizione di un numero sempre maggiore di servizi mediante cloud-API.

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