Pronunciando affiancate le parole “tecnologia” e “foreste”, la prima immagine a prender forma nella mente potrebbe essere quella di uno smartphone di ultima generazione che immortala alberi per poi “postarli” sui social, ammiccando alla connessione con la natura raggiunta dal suo proprietario. In realtà, e fortunatamente, il legame tra il mondo IT e quello abitato dai boschi è molto più profondo, utile e virtuoso. Ed è anche in continua evoluzione: magari evidenziato con scarse continuità e attenzione, ma le attività in atto e in programma sono molto numerose. Ne realizza di innovative anche l’Italia, che ha un’altissima percentuale di suolo coperto da foreste: circa il 40%. Il problema è che sono spesso in montagna: “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.
Monitoraggio e previsione: i dati parlano e contano
Il primo passo con cui le tecnologie si avvicinano alle foreste ha come scopo quello di raccogliere dati. Lo fanno quindi tramite sensori di diverse tipologie, innestati negli alberi stessi e nei boschi, oltre che sfruttando i sempre più sofisticati sistemi satellitari. Entrambe le opzioni, in parallelo, contribuiscono all’ottenimento dei big data, essenziali per il secondo “atto”: l’analisi. In questo caso, protagoniste sono intelligenza artificiale e machine learning, sguinzagliate per comprendere le interazioni tra vari fattori ed elementi. “Si tratta di sistemi complessi e interdipendenti. Inoltre, il clima impatta sul bosco e il bosco impatta sul clima, quindi, per dipanare la matassa bisogna per forza utilizzare l’AI, in grado di riconoscere modelli e pattern” spiega Giorgio Vacchiano, ricercatore in scienze forestali dell’Università degli Studi di Milano. “Si possono così creare anche dei gemelli digitali delle foreste – aggiunge – per capire quasi in tempo reale il loro stato di salute e quanto carbonio assorbono, per esempio, ma anche se e come sono minacciate da siccità, incendi e inquinanti”.
Sempre in ottica di approfondimento della conoscenza delle foreste, ma con una logica ancora più propensa all’azione, si possono utilizzare le tecnologie anche per fare previsioni. Su come cresceranno i vari alberi, nel futuro, per scegliere di piantare quelli che meglio assorbiranno l’acqua e resisteranno agli incendi. “Oggi non possiamo più farlo usando i dati del passato” spiega però Vacchiano. “Le attuali condizioni climatiche sono inedite e danno spazio a nuove combinazioni di alberi. L’accoppiamento specie-clima che abbiamo sempre studiato è completamente saltato e non possiamo rifarci a quello per capire come agire in futuro. Dobbiamo insegnare al computer le equazioni che regolano e descrivono i vari processi fisiologici di fotosintesi, la crescita e la mortalità delle piante, la diffusione delle fiamme e altri fenomeni, per poi chiedere alla tecnologia una previsione attendibile”.
Digital twin e mappe di simulazione per foreste al passo coi tempi
Avendo a che fare con un clima imprevedibile e mai visto prima, poter contare sull’aiuto della tecnologia è fondamentale. Lo dimostrano “sul campo” progetti come quello per studiare il comportamento di diversi varietà di abete bianco sviluppatesi in alcune zone del territorio italiano e identificare quella più adatta al clima di domani. “È un digital twin con cui simuliamo le condizioni in cui questo albero potrebbe doversi trovare a crescere nei prossimi anni. Ci aiuta a distinguere la varietà che meglio resisterà alla siccità, per esempio, e sarà quella da far crescere e diffondere” spiega Vacchiano. Dovremmo poter contare su una sorta di “selezione naturale” ma, aggiunge “ora il clima ora cambia troppo velocemente e gli alberi non fanno in tempo: dobbiamo aiutarli noi, mettendo le specie più adatte alle nuove condizioni climatiche”.
Un altro modo per accudire la natura attraverso le tecnologie è quello di ascoltarla meglio. Questo è per esempio lo scopo del progetto di monitoraggio “Tree Talker”. Grazie a una serie di sensori IoT, realizzati dall’Università della Tuscia, si riescono in real time ogni 10 minuti a rilevare diversi parametri per “farsi raccontare” dagli alberi stessi come stanno. Temperatura, luce solare ricevuta dall’alto e umidità, ma anche la velocità di flusso della linfa nel tronco, le oscillazioni a cui sono soggetti e le condizioni del suolo. In tutto si hanno oltre 6 sensori per monitorare alberi sparsi in circa 100 siti in tutta Italia, con oltre 20 università coinvolte e in ascolto. I lavori per l’installazione di questi dispositivi sono partiti proprio qualche settimana fa, nei boschi produttivi ma anche in quelli di neoformazione, spontaneamente cresciuti al posto di campi e pascoli, e di montagna. Saranno proprio questi, in futuro, a svolgere il ruolo di sentinelle per il cambiamento climatico, essendone colpiti “in anteprima”.
“Vogliamo capire come rispondono a fenomeni come la siccità o il flusso del vento, perché spesso gli alberi soffrono in silenzio e arrivano alla morte senza dare prima segnali evidenti che ci permetterebbero di intervenire. Con questa tecnologia – prosegue Vacchiano – riusciamo a effettuare loro un check up e li possiamo usare come benchmark”.
Sempre di monitoraggio si occupa, ma con uno sguardo al futuro, un altro progetto, stavolta già in corso, dedicato alla presenza di alberi in città. Dato che “servono quelli giusti al posto giusto”, perché siano davvero utili e rispettati, è stata avviata una sperimentazione presso il Parco Nord di Milano per capire come reagiranno di fronte al clima del futuro. Querce, carpini, frassini e altri alberi di pianura, tra cui la “new entry” cerro, più resistente al “nuovo” caldo, vengono studiati attraverso modelli climatici che simulano il clima dei prossimi anni, per capire quale resisterà meglio. E quindi con quale realizzare i tanto desiderati “boschi in città”.
“A febbraio, saranno introdotte anche nuove tecnologie di coltivazione come il gel innovativo realizzato dall’Università di Trento, in grado di trattenere l’acqua, visto che pioverà sempre meno” racconta Vacchiano. Una sperimentazione milanese il cui metodo può essere replicato ovunque, ma non prima di aver effettuato una sua localizzazione: “ogni città ha le sue caratteristiche, per questo bisognerebbe insegnare all’amministrazione e ai tecnici l’importanza di effettuare studi e previsioni accurate della vegetazione e del clima, da integrare nel piano del verde urbano. Il problema è che ad averlo, oggi, in Italia, sono solo 22 capoluoghi su 100”.
Fuoco, vento e acqua: studiare le relazioni delle foreste
Il binomio tecnologia – foreste ha mille volti, soprattutto se si sconfina verso l’interazione di agenti come fuoco e vento. Un esempio concreto e in fieri è la mappa dell’infiammabilità del territorio lombardo, realizzata “insegnando al computer come si propagano le fiamme”. spiega Vacchiano. “Esistono diverse equazioni fisiche, che regolano la propagazione del fuoco e l’infiammabilità delle piante in funzione del loro peso e della loro dimensione, come della presenza di resine e dei livelli di umidità – aggiunge – le usiamo per simulare la propagazione di incendi, in termini di traiettoria e di potenza della fiamma, per poi prevedere e verificare virtualmente l’efficacia di eventuali interventi preventivi”. In futuro, questa stessa mappa potrebbe essere ricalibrata con i dati sperimentali e restare in continuo aggiornamento. Similmente può accadere con lo studio del vento, di come le forze che agiscono su un albero possano riuscire ad abbatterlo, in funzione dello stato delle radici, delle dimensioni di tronco e chioma, delle condizioni del terreno e di altri fattori. Un approfondimento utile, anche e soprattutto per valutare la tenuta degli alberi in zone densamente abitate come le città.
Per le foreste più remote, invece, si pensa a realizzare nuove e sempre più precise scansioni con il LiDAR, per ottenerne una ricostruzione in 3D e studiare come viene assorbita la CO2 e come cresce ed evolve ogni albero. In tal senso, la nuova frontiera è il robot semovente realizzato dall’Università di Firenze: SPOT. Equipaggiato di zampe, oltre che di LiDAR e di telecamere, potrà essere impiegato per il rilevamento e la misurazione di singoli alberi e come piattaforma a supporto delle attività di inventario forestale. Sono già stati effettuati dei test nella foresta di Vallombrosa con buoni esiti: è un ambito da esplorare.
La prossima applicazione della tecnologia alla foresta che più attira Vacchiano è però quella che riguarda la sua relazione con l’acqua. “Sarebbe molto utile approfondirla per arginare sempre meglio i fenomeni di siccità e rinfrescare temperature. La maggior parte delle sorgenti sono situate nelle foreste, ma sappiamo pochissimo sul legame tra acqua e alberi” spiega Vacchiano. “Usando degli infiltrometri possiamo sapere quanto rapidamente penetra in zone e, volendo, attraverso un’analisi degli isotopi, se ne potrebbero indagare le origini. Sarebbe molto utile studiare quale tipo di foresta risulta più adeguata alle quantità e alle tipologie di acqua presenti e previste, quali alberi hanno un effetto acidificante, quali assorbono bene e quali invece lasciano che l’acqua scorra in superficie. Tutte informazioni fondamentali anche per potenziare i piani per la sicurezza idrica nazionale”.