Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Big Data & Business Intelligence del Politecnico di Milano, nel 2021 il mercato dell’analisi dei dati ha raggiunto un valore superiore ai 2 miliardi di euro, in crescita del 13% e in ripresa dopo il periodo di contrazione degli investimenti registrato nel 2020. Si tratta di un andamento confermato dagli attori che operano in questo comparto, come ad esempio SDG Group, azienda internazionale di management consulting specializzata nelle attività di Business Analytics, Corporate Performance Management e Advanced Business Solutions.
«Nel periodo a cavallo della pandemia abbiamo visto dapprima una fase di estrema cautela e di prudenza da parte delle aziende nell’affrontare investimenti che, in maniera erronea, spesso non sono considerati strategici, ma nel momento successivo questa cautela è stata abbandonata per aprirsi a nuove possibilità.» afferma Massimiliano Rosatelli, Executive Manager della società, aggiungendo che «Nell’arco di 12 mesi le aziende si sono trovate a competere su un mercato completamente rinnovato, da cui è giunta la spinta a comprendere il valore che si poteva estrarre da una mole di dati in costante crescita».
Complici alcuni fenomeni macroscopici come la mobilità ridotta, la trasformazione radicale nel paniere degli acquisti, il cambiamento drammatico rispetto al food delivery che ha travolto all’inizio la ristorazione o, ancora, il boom delle piattaforme e-commerce guidate da Amazon (che soltanto in Italia ha ottenuto ricavi totali delle sue attività per 7,25 miliardi di euro nel 2020), è emerso con forza un quadro che ha “costretto” in qualche modo le aziende a puntare sui filoni innovativi dell’analisi del dato.
Non c’è analisi dei dati senza change management
Mentre oggi da una parte l’emergenza pandemica si sta avviando verso una faticosa stabilizzazione e dall’altra tutto il mondo è alle prese con nuovi eventi traumatici come la guerra in Ucraina, ciò non toglie che è dai dati che le imprese si aspettano le chiavi di lettura per capire come muoversi sui mercati. Il che non esclude che persistano sacche di resistenza anche all’interno delle grandi organizzazioni, se è vero quanto riporta sempre l’Osservatorio del Politecnico quando sostiene che il 55% delle grandi aziende mostra tuttora una diffusa immaturità nella gestione dei dati.
Si tratta, in base all’esperienza di Rosatelli, di una sorta di «resistenza passiva non tanto legata a una scelta volontaria, quanto a meccanismi di innovazione che portano ad avere degli impatti a livello organizzativo e in termini di change management. C’è un po’ di farraginosità, è vero, ma in questi ultimi sei mesi stiamo vedendo che, in merito a tematiche quali il machine learning e l’intelligenza artificiale, sta iniziando a esserci un punto di risveglio molto importante, probabilmente perché ormai si è capito che queste tecnologie garantiscono alle aziende un vantaggio competitivo enorme nei confronti della concorrenza».
La domanda di tecnologie e piattaforme per l’analisi dei dati è abbinata a una domanda conseguente di competenze che non è facile reperire, tanto più che i percorsi accademici del nostro Paese, compresi quelli che si riferiscono alle aree Stem, sono ancora carenti in materia di cloud computing, Big Data Analytics e dintorni.
I principali settori interessati a sfruttare l’analisi dei dati
«Per quanto ci riguarda, investiamo moltissimo nella formazione dei nostri dipendenti, portando a regime in tempi molto brevi figure con profili tecnici e con il desiderio di imparare tramite percorsi di formazione specifici» evidenzia Rosatelli, che non nasconde la difficoltà di molte organizzazioni nel trovare professionisti che possano gestire e governare questo tipo di soluzioni.
«Le aziende ci coinvolgono sempre più come partner in un’ottica di advisory e non più soltanto in veste di implementatori di tecnologie. Spesso ci chiedono un supporto per identificare i vantaggi che possono trarre dall’analisi dei dati o anche per essere aiutate a comprendere le linee guida con cui utilizzare questi strumenti internamente».
Le aziende che si rivolgono a SDG Group appartengono a diversi settori. Oltre a quelli collocati ai primi posti dall’Osservatorio del Politecnico tra i segmenti che stanno investendo maggiormente nell’analisi dei dati (assicurazioni, manifatturiero e telco & media), ambiti come il retail o qualsiasi altro caratterizzato da una quantità di dati cospicua si prestano a percepire l’innovazione come valore aggiunto.
Un valore aggiunto che si traduce nella «possibilità di intercettare fenomeni che non sono evidenti all’esperienza di chi si occupa del business in azienda e che oggi le tecnologie permettono di fare emergere affinché siano sfruttati per l’ottimizzazione di tutti i processi legati al business.» chiarisce Rosatelli, che tiene a rimarcare una spiccata tendenza nelle scelte operate da CIO e reparti IT su tecnologie e piattaforme: «L’obiettivo delle aziende non è quello di costruire soluzioni verticali, ma di mettere a disposizione dei propri analisti dataset quanto più estesi possibile, demandando a questi sistemi le analisi che ne conseguono in una modalità self-service».
E questa flessibilità vale anche per i canali attraverso cui si usufruisce di questi dati, che vanno dal classico desktop ai tablet, dagli smartphone fino agli smartwatch o agli smart glasses impiegati nei contesti produttivi per mantenere le mani libere durante le consuete attività operative.
Gli elementi favorevoli da cui si ricava che è tempo di innovare
Quanto sottolineato dal manager di SDG Group è un chiaro indicatore del perché l’offerta attuale degli analytics non possa esaurirsi in una serie di tool “chiavi in mano”, ma che occorra la capacità di indirizzare correttamente ogni azienda verso lo strumento che meglio si adatti alle sue esigenze.
“Quello a cui stiamo assistendo in questo momento è la monetizzazione del dato. Player sul mercato come, ad esempio, Snowflake (società di data warehousing – ndr) per citarne uno, stanno convertendo la loro proposta da provider di servizi di database a provider di dati, fornendo un set enorme di banche dati differenti da poter utilizzare in maniera integrata con i dati propri dell’azienda. È un trend che può essere paragonato a quello dell’open banking perché fa vedere quanta attenzione ci sia sul mercato sulla possibilità di accedere a volumi di dati sempre maggiori e sempre diversi con lo scopo di riuscire, tramite soluzioni di analitiche e di machine learning, a identificare quei fenomeni che permettono di portare alle aziende dei risultati in linea con le loro strategie di crescita”.
Accanto a questi trend, si possono citare almeno altri due fatti che possono fungere da leva per favorire i percorsi di innovazione delle imprese. Uno è la recente apertura della Google Cloud Region a Milano, avvenuta a metà giugno, che precede quella dei prossimi mesi a Torino. A due anni di distanza dall’analogo approdo nel capoluogo lombardo di AWS, rappresenta un segnale per tutte quelle realtà, istituti bancari in primis, che erano frenate nella loro migrazione al cloud dai vincoli regolatori dovuti alla carenza sul territorio italiano di data center.
La seconda circostanza è la disponibilità di risorse messe a disposizione dal PNRR per stimolare gli investimenti a favore di progetti innovativi. «C’è grande fermento, ma senza un’adeguata governance e la responsabilità di aziende come la nostra si rischia di vanificare le premesse da cui prende le mosse il piano» dice in conclusione Massimiliano Rosatelli, convinto che in ogni caso non ci sia stato mai un tempo così favorevole come quello attuale per innovare.