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Zalando: “Una strategia in due mosse per gestire I dati”

Per lo sviluppo di una grande piattaforma di ecommerce di moda come Zalando, la gestione dei dati è un aspetto centrale. L’esperienza dell’azienda è stata presentata in occasione del convegno “Data culture & generative AI: verso una nuova data experience?”, dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano

Pubblicato il 29 Gen 2024

Immagine di Ralf Liebhold su Shutterstock

Zalando è una delle principali piattaforme online nel settore della moda in Europa, con un fatturato di oltre 10 miliardi di euro, la presenza in 25 mercati, una base clienti in costante aumento dal 2008 che ha raggiunto i 50 milioni di utenti attivi. La centralità dei dati è alla base della strategia di crescita dell’azienda come evidenzia Daniela Nigro, Principal Data Product Manager di Zalando, arrivata al gruppo dopo diverse esperienze professionali, in Italia e all’estero, che hanno richiesto differenti livelli di interazione con il dato.

“Mi sono occupata di data engineering, data integration, creazione di reportistica, applicazioni di data science, per arrivare, infine, a gestire un team di analytics e data science di una start up nella sua ascesa a unicorno” esordisce. L’ultima esperienza ha messo in luce quanto l’elemento culturale e quello architetturale siano cruciali e ineludibili per abilitare la scalabilità nell’utilizzo dei dati, in particolare per la necessità di gestire una base utenti in crescita del 400% a seguito di 2 fusioni. Il chiodo fisso di Nigro è come realizzare una data experience positiva per gli utenti, al tempo stesso, scalabile e duratura. “Con l’attuale responsabilità presso Zalando questa sfida è diventata affrontabile, nel senso che posso concretamente risolvere un problema che mi aveva creato affanno in tutti questi anni”.

Data product per domare il data mess

L’azienda, durante il suo percorso di sviluppo, seguendo le dinamiche seguite da tante altre aziende, è stata supportata dall’adeguamento architetturale dei dati, grazie all’evoluzione da una gestione centralizzata del dato a una decentralizzata cloud based, seguendo l’esigenza di una agilità radicale, necessaria per poter rispondere alle esigenze del business. Ne è conseguita però la proliferazione dei dati e delle sorgenti dati. “Nel frattempo le modalità di interazione con il dato erano cambiate e l’esigenza era cresciuta”, sottolinea Nigro. “Il tutto si è tradotto in un vero e proprio data mess”.

A generare valore per il business, nonostante il caos dei dati, ha contribuito il data product management. “È un concetto nuovo, che ci viene in soccorso perché consente la gestione del dato lungo tutto il suo ciclo di vita, dal design alla dismissione, consentendo all’utente la sua fruizione finché genera valore” spiega Nigro. “In questo modo viene riportando al centro il cliente e il valore che il dato ha per lui”.

Ma di quali dati parliamo? Certamente non tutti i dati nel loro complesso. “I data product sono pensati e progettati per il consumo e il riutilizzo, dove la componente che fa da discrimine è la condivisione” precisa Nigro. “Un dato non condiviso e che resta all’interno del team certamente non richiede lo stesso livello di attenzione alla qualità e all’usabilità di un dato condiviso”. La scelta di Zalando è stata dunque la preliminare classificazione dei dati in base all’impatto aziendale, anche per indirizzare le risorse dove sono più necessarie, l’orientamento a una gestione del dato differenziata sulla base della data criticality. “Maggiore è l’importanza del dato, più elevato lo standard con cui deve essere gestito” aggiunge. Per rappresentare la diversa richiesta per le varie tipologie di dati, si è considerata una struttura stratificata a più livelli, dove il tier one esprime l’esigenza di soddisfare standard più elevati da diversi punti di vista: compliance, normativo, operazionale, strategico. La mappatura dei data product è stata fatta lungo tutta la data supply chain: a partire dal dato grezzo e dalle sorgenti dati, fino alla fase del machine learning. L’analisi per ogni data product è stata effettuata coinvolgendo sia il data consumer, sia il data producer, all’interno di oltre 25 dipartimenti e di diversi data team, cercando di identificare le problematiche critiche e i pain point. Per i vari data product sono risultate linee guida leggermente diverse per poter meglio rispondere a esigenze differenziate, ma con un nucleo comune per tutti, con elementi come ownership, discoverability, interoperability fra sorgenti, data quality handling, qualità di gestione del processo, compliance.

Dal data mess al data mesh

Tornando al punto enunciato in precedenza, secondo Nigro, la cultura è una condizione determinante per realizzare, nella fruizione del dato, un’esperienza memorabile e positiva per l’utente ma al tempo stesso scalabile e duratura, che consenta di passare dalla quantità alla qualità, dal concetto di big data a quello di great data e poter traghettare l’azienda dal data mess a data mesh.

“Come data leader abbiamo una forte responsabilità nel co-definire e al tempo stesso plasmare una cultura aziendale data driven. Dobbiamo però fare in modo che sia customer oriented e parta dall’esigenza del cliente, senza cercare di imporre centralmente modelli che non funzionerebbero perché le esperienze utenti cambiano e dunque le interazioni e le esigenze sono in evoluzione” sottolinea. Allo stesso tempo, il data product management definisce come prendersi cura del dato lungo tutto il suo ciclo di vita.

Fin qui l’aspetto culturale. Ma affinché tutto ciò diventi operativo serve una data architecture a supporto. Il data mesh è quell’architettura dati che li organizza in base a uno specifico dominio di business (marketing, vendite, customer care…) secondo un approccio decentralizzato che elimina gran parte dei colli di bottiglia operativi associati a sistemi monolitici e centralizzati. I produttori di dati possono impostare politiche di governance dei dati incentrate su documentazione, qualità e accesso, creando per tutta l’organizzazione le condizioni per un utilizzo dei servizi self-service.

“Se il data mesh si fonda su un’architettura decentralizzata e dominio oriented, tutto questo è difficilmente raggiungibile, per lo meno se pensiamo che il resto del mondo aziendale non sia completamente convinto” conclude Nigro. Si ritorna dunque alla componete culturale, presupposto affinché la data architecture svolga a dovere il suo lavoro operativo.

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