Negli ultimi anni il panorama competitivo del settore Banking e Finance ha subìto notevoli trasformazioni derivanti sia dalle novità nel campo della regolamentazione sia per la concorrenza che proviene da nuovi competitor: i colossi del web come Google e Facebook, i produttori di smartphone come Apple, Samsung, gli esercenti come, per esempio, Alibaba. La rivoluzione digitale può dunque rappresentare un’occasione per migliorare efficienza e reattività rispondendo così anche alla riduzione di profittabilità.
Il convegno Digital rethinking nel banking e finance, che si è tenuto in occasione della presentazione del report dell’Osservatorio Digital Finance della School of Management del Politecnico di Milano, ha individuato le tecnologie che, nel contesto bancario, possono fare la differenza, analizzandone il grado di adozione e le prospettive, con un ruolo propulsivo importante assegnato alle startup negli ambiti più innovativi.
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L’APPROFONDIMENTO – Blockchain & Banking: potrebbe diventare l’Internet delle transazioni |
API e startup fintech per governare il cambiamento digitale
Le Application Programming Interface (API) costituiscono un’opportunità per gli attori tradizionali e non solo per le startup e i giganti del web che premono per entrare nei servizi finanziari. Rappresentano infatti uno strumento fondamentale per creare maggiore flessibilità, ridurre il time-to-market, creare valore per il cliente grazie all’utilizzo di piattaforme di API management (in cloud e on premise) che supportano la pervasività dell’IT nell’organizzazione aziendale (è infatti grazie alle interfacce programmabili che si possono, per esempio, connettere le app per mobile con le applicazioni aziendali).
Come ha sottolineato nel suo intervento Andrew Bud, Fondatore e Ceo di iProov (azienda creata nel 2011, con sede a Londra, per sviluppare sistemi di autenticazione online di nuova generazione come il riconoscimento facciale), in Gran Bretagna, dove il settore finanziario è la principale industria del Paese, le fintech che utilizzano API (considerate un acceleratore per la competizione e per il cambiamento in un settore “pietrificato” come quello bancario) vengono premiate con la riduzione dei vincoli regolatori. La Competition and Market Authority [l’antitrust inglese – ndr], approfittando della direttiva PSD2 (la direttiva UE sui servizi di pagamento nel mercato interno entrata in vigore il 13/1/2016, e che dovrà essere recepita dalle legislazioni nazionali entro il 13/1/2018, per promuovere lo sviluppo di un mercato interno dei pagamenti elettronici al dettaglio efficiente e sicuro) vorrebbe estendere la possibilità di rendere disponibili via API non solo le informazioni sui pagamenti, ma anche su altri aspetti (transazioni, prodotti ecc.), aprendo di fatto il mercato dei servizi bancari e finanziari ai nuovi protagonisti.
L’Osservatorio ha identificato almeno tre tipologie di API:
- Open API, accessibili a chiunque e messe a disposizione anche di terzi, acquisiranno un ruolo crescente grazie alla direttiva europea PSD2, che imporrà agli operatori finanziari di aprire a terzi l’accesso ai propri conti per la creazione di nuovi servizi ai clienti;
- Partner API, accessibili solo a partner selezionati;
- Private API, utilizzabili solo all’interno dell’azienda finanziaria.
L’adozione di un approccio basato su API rappresenta la condizione per una proficua collaborazione con le innumerevoli startup fintech. L’Osservatorio ne ha individuate 750, nate a livello internazionale dopo il 2011, che hanno raccolto oltre 26,5 miliardi di dollari di finanziamenti; fra queste il 58% sviluppa servizi di banking (area che concentra il 73% degli investimenti) e il 19% servizi di investimento.
Solo in 5% delle startup fintech nasce come fornitore delle banche, mentre il 95% come competitor, rivolgendosi direttamente al consumatore o a un’azienda non finanziaria; tuttavia la maggior parte, non riuscendo a disintermediare il mondo finanziario tradizionale, finirà per diventarne partner. Già oggi 1 startup su 3 collabora con le istituzioni finanziarie, una partnership che l’Osservatorio considera strategica, consentendo alla banca di accelerare l’innovazione sperimentando nuove aree con investimenti limitati (figura 1).
Big data Analytics per sfruttare il giacimento dei dati delle banche
Le banche sono consapevoli della necessità di sfruttare la miniera rappresentata dai dati per migliorare le proprie performance ed esplorare nuovi modelli di business. Non a caso nel mercato Big data analytics e Business intelligence, in Italia, il mercato finance ha una quota del 29% e cresce in un intervallo 15-25%.
L’attenzione è in linea con quanto accade a livello internazionale: il 40% delle 63 maggiori banche globali analizzate dall’Osservatorio indica la presenza, nei propri piani strategici, di progetti legati a tecnologie di big data analytics. Le principali aree sono: il marketing e le relazioni con la clientela che assorbono il 62% dei progetti, mentre solo il 20% si concentra su aree core come la gestione del rischio, l’erogazione del credito, il supporto alle decisioni di investimento. La metà dei progetti analizza i dati in modalità batch (raccolti, archiviati e solo in un secondo momento analizzati), mentre il 40% svolge analisi real-time e il 10 % near real-time, soprattutto nel rilevamento delle frodi legate ai pagamenti.
Oggi gli istituti finanziari utilizzano nel 61% dei progetti solamente dati strutturati provenienti da fonti interne, mentre i dati destrutturati sono utilizzati nel 30% e i dati esterni nel 24%. Una spiegazione può venire da quanto ha affermato nel corso del convegno Laura Li Puma, Responsabile Big Data e Internet of Things di Intesa Sanpaolo, che ha evidenziato alcuni falsi miti sui social: “Abbiamo verificato che gran parte delle informazioni ricavabili in modo complesso dai social si potevano facilmente estrarre anche dall’anagrafe”.
Per quanto riguarda i modelli di analisi prevalgono i progetti descrittivi, mentre sono meno presenti quelli predittivi (23%) e ancor meno quelli prescrittivi (9%) e automatizzati (5%). Si deve tenere conto che i livelli superiori (ossia i prescrittivi, capaci di proporre al decision maker soluzioni operative e/o strategiche sulla base delle analisi svolte, o automatizzati, in grado addirittura di implementare autonomamente l’azione proposta secondo il risultato delle analisi svolte) richiedono competenze elevate non sempre disponibili. Fa eccezione l’area Frodi e compliance dove, a causa delle specifiche esigenze, dominano i modelli prescrittivi con il 42% (figura 2).
La digitalizzazione dell’asset management si spinge fino al robo advisor
La digitalizzazione può portare grandi benefici a un settore dove gli investitori hanno ancora troppa liquidità nei propri portafogli e solo il 20% degli investimenti è supportato dalla consulenza professionale. Lo ha ricordato nel suo intervento Giovanni Sandri, Managing Director di BlackRock Investment Management (la più grande società di investimento al mondo, primo gestore indipendente quotato alla Borsa di New York in termini di volumi gestiti): “Grazie alla digitalizzazione si potrebbe infatti aumentare l’efficienza, ridurre le barriere all’ingresso, favorire la replicabilità dei processi di consulenza”.
Anche per questo segmento le startup fintech (l’Osservatorio ne ha censite 130 specializzate) possono dare un impulso a un mercato dominato da fondi di investimento, fondi pensione e assicurazioni, andandosi a posizionare su segmenti non attrattivi per gli incumbent ma offrendo, al tempo stesso, servizi in concorrenza, con volumi al momento non confrontabili a quelli degli incumbent. Di questi, una piccola pattuglia, (23 dei 185 analizzati dall’Osservatorio che concentrano il 65% dei 54,3 trilioni di dollari di patrimoni gestiti a livello internazionale) crede fortemente nella potenzialità dei nuovi strumenti e solo il 18% utilizza piattaforme avanzate (con impiego di robo advisor) per la consulenza; anche quando sono presenti, nel 68% dei casi, coesistono con la componente umana (vedi figura 3).
La digitalizzazione può tuttavia estendersi ad altre aree, oltre la consulenza, come la gestione dei patrimoni, che può essere ottimizzata con il ricorso ad algoritmi basati su Big data e Intelligenza a artificiale. “L’analisi dei dati a monte può individuare indicatori che anticipano i risultati delle aziende su cui si investe – spiega Sandri – L’analisi dei social media per misurare il benessere dei dipendenti può, ad esempio, anticipare le performance dell’azienda, mentre quella del traffico web può dare un’idea degli andamenti di imprese e settori”.
In conclusione, c’è grande fermento e interesse per le novità che le tecnologie digitali potranno portare nel mondo banking e finance, anche se ancora, soprattutto nei segmenti più evoluti, si è fermi alla fase di attenzione o, al più, di sperimentazione.