Big data: più conoscenza per nuovi modelli organizzativi

Due report pubblicati da Sda Bocconi rivelano lo stato dell’arte nelle aziende italiane e multinazionali delle iniziative per la gestione e l’analisi di grandi quantitativi di dati strutturati e non.

Pubblicato il 13 Gen 2014

I big data determinano un cambiamento dei paradigmi di produzione delle informazioni in azienda che può portare a nuove forme di conoscenza aziendale più ampia e profonda degli oggetti (clienti, prodotti, concorrenti, canali ecc.) e degli eventi (ordini, frodi e sinistri, pagamenti, trasporti ecc.) di business. Tuttavia questa consapevolezza è ancora parziale tra i Cio italiani. A rivelarlo una ricerca condotta dall’Osservatorio Business Intelligence di Sda Bocconi per conto di Ibm Italia (Report OBI 2012 – “Big Data: nuove fonti di conoscenza aziendale e nuovi modelli di management” – P. Pasini A. Perego), che ha sondato l’opinione di 202 Cio e It Executive di medio-grandi imprese (49%) e multinazionali italiane (25%) nonché consociate di multinazionali estere (26%), attive nei settori Manifatturiero, Distribuzione e Logistica, Finance, Pa locale e Sanità, Servizi e Utilities. Nello specifico, metà delle aziende è di medie dimensioni (sotto i mille dipendenti), mentre le grandi (sopra i 5000 dipendenti) rappresentano poco più del 20% del campione.

Secondo i risultati dell’indagine, i responsabili It intervistati percepiscono nei big data un’opportunità per creare nuovo valore aziendale sfruttando diverse combinazioni di velocità e veridicità / qualità di dati prevalentemente esterni non strutturati (soprattutto Web Social Data) che vanno ad arricchire le fonti di dati interni sia non strutturati (documenti dematerializzati e email) che strutturati (ad esempio, le transazioni).

Big data: quale impatto sul business e sull’organizzazione aziendale?

L’impatto dei big data si concretizza soprattutto nella maggiore comprensione della domanda, nella capacità di fornire più velocemente insight previsionali e nell’ingresso sul mercato di nuove piattaforme It di data management (che affiancano il modello del Datawarehouse). In questo contesto il Cio gioca un ruolo da perno e orchestratore per spingere e promuovere le iniziative big data, ma non agisce da solo: a seconda dei casi,  sarà affiancato dal Ceo, Cfo e Cmo. Anzi, la ricerca dell’Osservatorio mette in luce l’efficacia di un comitato di Executive volto a promuovere le iniziative big data sotto un profilo strategico e con un orientamento al business.

Osservando lo stato dell’arte attuale, le imprese sono impegnate in forti investimenti che riguardano soprattutto l’analisi del mercato, prodotti e servizi innovativi e l’efficienza dei processi aziendali. Gli intervistati riconoscono un impatto diretto dei big data solo in relazione alla business intelligence, benché i casi internazionali stiano già dimostrando risultati interessanti anche con riferimento all’innovazione dell’offerta e all’efficienza operativa.

Nelle fasi della Data Value Chain (ovvero del processo di trasformazione che, attraverso l’analisi, permette a un semplice dato di trasformarsi in informazione preziosa ai fini della comprensione e previsione del business), i Cio si sentono più pertinenti nell’area del data management (raccolta, gestione e archiviazione delle informazioni), mentre le fasi di Intelligence e Analytics vengono percepite più come fasi di competenza delle direzioni di business o di staff aziendali.

Lo stato dell’arte nelle aziende: grado di avanzamento dei progetti big data

In uno scenario così complesso e nuovo, come quello generato dalla crescita esponenziale di dati strutturati e non, la roadmap che porta le aziende a trarre effettivo valore dal fenomeno big data non è immediata. Oggi la maggioranza delle imprese si trova in una fase di comprensione dei big data (57%) e di studio delle preliminari questioni connesse alla privacy e alla sicurezza (25%); il 18% ha definito una strategia di big data o è in fase di studio di fattibilità o ancora ha lanciato progetti in questo ambito.

Guardando avanti, gli enabler aziendali più importanti sono sempre il budget, la valutazione dei ritorni quantitativi, il committment direzionale e le competenze, mentre sul fronte degli enabler tecnologici sono le Business e Content Analytics e gli strumenti di integrazione dei dati (multifonti e multiformato) a giocare il ruolo maggiore. L’esternalizzazione delle tecnologie per i big data (in Outsourcing o Cloud) è più accolta nel sourcing  e nello storage dei dati esterni, che non nei componenti applicativi.

Il valore che viene dai big data: riduzione dei costi, profitti e asset intangibili

A dare una definizione più precisa circa i ritorni e l’effettivo valore generati dai big data è una seconda ricerca Sda Bocconi – Ibm che ha preso in esame circa 30 casi italiani e internazionali (Report OBI 2013 – “Big Data Live: casi di eccellenza” – P. Pasini A. Perego). L’indagine sembra evidenziare evidenziare una relativa maggior presenza di casi in cui il Business Value sembra manifestarsi sotto forma di Intangible Asset (come ad esempio Brand Reputation, organizational knowledge, social value, relationship value ecc.), seguito dai casi di Cost Reduction (soprattutto nelle Insight delle infrastrutture e dei Point-of-Interest aziendali) e dai casi di Revenue Increase (soprattutto nelle Insight di mercato e clienti). Più raro sembra per ora il valore in termini di Working Capital Reduction (ad esempio, riduzione scorte o crediti verso clienti o incremento debiti verso terzi).

Per ulteriori informazoni e scaricare i 2 report delle ricerche clicca qui

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