Complice la pandemia, nel 2020 l’ammontare dei dati creati, copiati e consumati ha raggiunto 59 zettabytes di dati a livello globale. Un trend esponenziale per Data Science Central visto che solo nell’ultimo anno, il valore è cresciuto del +44% e stando alle previsioni, nel 2024 il volume aumenterà del 152%, toccando quota 149 zettabytes. Sempre con l’emergenza sanitaria è emersa la difficoltà di integrazione delle banche dati, come la successiva analisi ed elaborazione. Per avere una visione trasversale, le informazioni disponibili devono essere raccolte, analizzate e controllate attraverso il processo che prende il nome di Data Integration.
È recente la campagna di sensibilizzazione #datibenecomune in cui 162 organizzazioni promotrici, tra cui ONG, associazioni e testate giornalistiche, hanno chiesto al Governo italiano dati pubblici, continuamente aggiornati, ben documentati e facilmente accessibili a ricercatori, decisori, media e cittadini, così da poter monitorare e gestire al meglio l’emergenza da Covid-19. Una richiesta che mostra una presa di coscienza sul ruolo che i dati ricoprono nella gestione della pandemia e più in generale nella società moderna.
“È importante diffondere una maggior consapevolezza sull’importanza di affidare la gestione dei dati a esperti, utilizzando i dati in miniera certa e tempestiva. Affinché qualsiasi sistema operi in modo corretto è necessario che i dati passino attraverso varie applicazioni per poter essere processati, analizzati, controllati e diffusi: avere una visione d’insieme e trasversale è fondamentale nel periodo storico che stiamo vivendo. Un processo di Data Integration smart, flessibile ed efficiente offre la sicurezza di avere dei dati raccolti e organizzati al momento opportuno, per poterli utilizzare al meglio. I dati sono un valore solo se completi e certi. In caso contrario possono portare a decisioni contradditorie e poco utili” dichiara Stefano Musso, CEO di Primeur, multinazionale italiana di Data Integration.