Business e big data: doppia chance per l’It

Un incontro con gli utenti per discutere, in base alla web survey “Big data: le risposte che servono al business” realizzata da ZeroUno in partnership con Tibco, in merito alle opportunità che l’analisi sui big data può creare per l’innovazione, lo sviluppo e la valorizzazione delle attività dell’azienda e di quanto tutto ciò assuma un ruolo determinante nel fare dell’It una funzione strategica.

Pubblicato il 04 Dic 2013

Le salette riservate al primo piano del Camparino, lo storico bar milanese all’imbocco della Galleria Vittorio Emanuele su Piazza del Duomo, hanno accolto in una mattinata dello scorso ottobre più di una ventina di Cio, It manager e responsabili di funzioni aziendali, invitati da ZeroUno per un “Breakfast con l’Analista”. L’incontro, organizzato in collaborazione con Tibco Spotfire, ha avuto per titolo “Big data e business: l’analisi che crea opportunità”, argomento all’attenzione oggi di quasi tutte le imprese, che guardano alle possibilità che conoscenze fornite dall’analisi di nuovi tipi di dati possono dare per ampliare, differenziare e rendere più proficue le loro attività.

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Lo sfruttamento dei big data è anche un’opportunità che riveste per il Cio un’importanza strategica. Come ha osservato Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, nell’introdurre la ricerca oggetto dell’incontro, non si tratta tanto di risolvere i problemi tecnologici (che peraltro esistono) derivanti dalla complessità che i nuovi dati, in gran parte destrutturati, portano nella gestione dei sistemi informativi e dal fatto che la loro analisi va eseguita con la rapidità imposta dalle dinamiche del business, ma piuttosto di organizzare la funzione It in modo che questi dati e queste analisi si traducano davvero in valore. Occorre lavorare sulla comunicazione e sulla collaborazione sia all’interno dell’impresa sia tra questa e i suoi clienti/utenti (“un fenomeno con il quale bisogna in qualche modo fare i conti”) e saper cogliere – ed è il punto critico di ogni progetto che abbia una visione di prospettiva – come l’impresa e le sue attività possano compartecipare alla digitalizzazione che oggi pervade ogni aspetto della vita sociale. “La rivoluzione portata dall’economia dell’informazione – ha concluso Uberti Foppa – mette nelle mani dell’It una leva più importante che mai nei confronti del suo stesso ruolo. L’Information technology, infatti, nel momento in cui, tramite una nuova interpretazione dei dati, aiuta lo sviluppo dell’azienda proponendo i corretti prodotti e servizi, entra in una dimensione di business-value che sinora ha avuto solo in parte”.

Business e It: un rapporto critico

I relatori da sinistra Stefano Uberti Foppa, Direttore di ZeroUno, Riccardo Zanchi, Partner di NetConsulting e Alain Biancardi, Regional Manager Emea di Tibco Spotfire

Con questo, la parola è passata a Riccardo Zanchi, partner di NetConsulting, che ha presentato i risultati della web survey “Big data: le risposte che servono al business” (campione di 127 aziende), realizzata da ZeroUno in collaborazione con NetConsulting e in partnership con Tibco tesa a esplorare i rapporti tra il business e l’analisi dei big data nelle nostre imprese. L’indagine è stata condotta l’ottobre scorso su un campione di 127 imprese, per metà dell’area Servizi e industria e per l’altra metà distribuite fra Retail, Finance, Ict e altre aree minori. Circa la dimensione, prevalgono le medio-piccole imprese (il 42% fattura meno di 10 milioni di euro), ma non mancano le medie e le grandi realtà, con un 12% che fattura oltre 100 milioni e il 14% che supera il miliardo. Ma l’aspetto-chiave del campione è che solo uno su cinque intervistati appartiene all’area Ict. Per l’80% dei casi hanno risposto infatti amministratori delegati e direttori generali, marketing e sales manager, responsabili Lob e consulenti aziendali. Di fatto l’indagine presenta quindi ciò che il business si aspetta dall’It e quello cui questo si deve preparare a rispondere.

Ne emerge un contesto dove le priorità di business s’identificano nell’innovare l’offerta e nel migliorare la relazione del cliente e le problematiche dell’It vertono sulla molteplicità per numero e per natura delle fonti dei dati critici e nella crescente richiesta di analisi più rapide e più accurate. In questo quadro, la tematica big data (vista più che altro nei suoi aspetti quantitativi) viene affrontata o è allo studio in circa l’80% delle imprese. Il 66% delle aziende ha già progetti specifici, il cui sviluppo è però rallentato da problemi di budget (per soluzioni delle quali è sempre difficile dimostrare il ritorno economico), organizzativi e da mancanza di competenze, un aspetto che in parte si cerca di risolvere con figure (Data analyst) create ad hoc. Sulle tecnologie, si usano strumenti di query e reporting, ‘cruscotti’ e tool di analisi predittiva; è però ancora poco diffusa l’elaborazione in-memory, che ridurrebbe i tempi di risposta. L’It, in questo campo, ha ovviamente un ruolo-chiave, ma purtroppo, nella maggioranza dei casi (60%) il suo apporto viene oggi giudicato scarso, o comunque da migliorare. E, ricordiamo, è il business che lo dice.

La tecnologia aiuta ma occorre fare cultura

Nonostante la tempistica dei “breakfast” lasci un tempo relativamente limitato, circa un’ora, al dibattito, gli interventi non hanno difettato né in numero né in qualità, animando una discussione che, moderata come sempre da Uberti Foppa e alla quale ha partecipato Alain Biancardi, Regional Manager Emea di Tibco Spotfire, ha avuto come tema principale il fattore umano. È stato Sergio Caucino, Responsabile Architetture Applicative, Bi e Integrazione di Sorgenia, a porre il problema, osservando come le criticità più nettamente emergenti dalla survey fossero quelle legate alle persone. “Prima di parlare di tecnologie – ha detto – va considerato l’impatto umano, organizzativo e culturale, che, in questo più che in altri casi, è il nodo della questione. C’è infatti una situazione dove il business ritiene vi siano delle opportunità da cogliere, non sa come fare e si rivolge all’It. Questo, giustamente, pensa di dover prima approfondire una tematica sulla quale non ha ancora maturato conoscenza e alla fine il business decide di muoversi in autonomia, agendo tipicamente in un’ottica ‘one shot’ con soluzioni che poi tocca all’It far funzionare nel tempo”. Si dovrebbero sviluppare competenze tali da mettere sia il business sia l’It in condizione di fare le domande giuste prima di cercare le risposte. “Ma – ha aggiunto Caucino – bisogna anche che l’It sappia cogliere domande inespresse o espresse male, per dare risposte che magari non saranno le migliori, ma che il business ha bisogno di avere”.

Quest’ultimo punto è stato ulteriormente sviluppato da Emanuele Andrico, It Manager Core Business di Edipower: “L’It non può crescere solo dal punto di vista tecnologico, sul quale comunque deve farsi trovare preparato, dotandosi per tempo di infrastrutture e basi dati flessibili, pronte a ogni impiego. Deve crescere anche nella conoscenza del business, per anticiparne le esigenze”. Una cosa difficile perché: “un tempo c’era un solo core business e bisognava approfondire quello; oggi bisogna che l’It abbia una visione più orizzontale di ciò che riguarda l’azienda”. Opinione condivisa da Stefano Perfetti, Ict Service Line Corporate e Venditadi A2A, per il quale il fattore umano è determinante: “Sia il business che l’It tendono a essere autoreferenziali; occorre dunque incontrarsi, ma tocca all’It fare la strada più lunga”. Questo perché il business è abituato a guardarsi attorno ed è quasi sempre più disponibile al confronto con mondi e situazioni diverse. “Bisogna – conclude – pensare come il business per poter proporre qualcosa”.

Anche Demetrio Migliorati, Head of Enterprise Digital Organisation di Banca Mediolanum, conviene sulla necessità di fare cultura “perché molti parlano di big data per sentito dire”, ma poi introduce un altro tema: il bisogno di conoscere la clientela prima di pensare all’innovazione del prodotto, essendo questa derivante da quella, e la necessità di muoversi, in base appunto alla conoscenza del cliente acquisita, “da una cultura di customer service a una di customer care”. In pratica, si tratta di prevederne le mosse e anticiparne i bisogni in base all’analisi di tutti i suoi comportamenti: in filiale, sul sito, al telefono; “Tutte cose – conclude – che oggi nelle banche dati non ci sono”.

Non va infine trascurato il fatto che, soprattutto in Italia, esiste una cultura ostile alla prove e alla ricerca (“se i progetti non possono fallire – dice Perfetti – che progetti sono?”) e su questa osservazione Stefano Gatti, Project and Process It Manager di Cerved Group, lancia una sua proposta: piuttosto che business case che fanno spendere tempo e denaro, meglio ricorrere agli strumenti di business model generation, “che abbassano la soglia d’investimento e soprattutto danno la possibilità di sbagliare: meglio una ‘fast failure’ che lanciare un megaprogetto che non ha budget su cui basarsi”. Idea ripresa da Leonardo Casubolo, Chief Security Officer di Kion Group, secondo il quale sarebbe utile poter verificare come e in quale misura i progetti It riguardanti l’analisi delle informazioni abbiano avuto riscontro nello sviluppo del business.

Su questi interventi si è innestato il commento di Biancardi di Tibco Spotfire, che, in risposta al problema del fattore di rischio dei progetti, ha osservato: “Se si guarda solo ai costi di una soluzione di BI resta difficile valutarne il ritorno d’investimento, ma sfruttando la metodologia Agile [che permette una rapida verifica dell’efficacia degli interventi sui processi di business – ndr] si può cominciare a provare cosa funziona e cosa no”. Il top manager ha quindi dichiarato di sentirsi “completamente allineato” sul bisogno per l’It di essere propositiva, senza lasciare che il business faccia da sé e ha quindi tratteggiato gli aspetti tecnologici della sua proposta che possono rispondere ai problemi emersi. "La piattaforma analitica di Spotfire – ha dichiarato -, offre soluzioni che pur restando sotto il controllo centralizzato dell’It, a garanzia dell’uniformità e affidabilità dei dati sui quali operare le analisi, lascia queste ultime all’iniziativa dell’utente. Con poche operazioni che non richiedono competenze da analisti, ma sono pensate per il ‘normale’ utente business, è possibile produrre subito, e senza avanzare richieste all’It, i report e le previsioni di cui si ha bisogno che, cosa importante, derivano da tutti i dati di qualsiasi tipo di cui l’azienda possa disporre" ha concluso Biancardi.


Intelligence a tutto campo

Tibco Spotfire offre attraverso la piattaforma Spotfire Analytics una soluzione che permette di analizzare dati prelevati direttamente dalle fonti e, grazie ad un’architettura di elaborazione in-memory distribuita, fornire risposte immediate a migliaia di utenti per milioni di righe di dati. Qualsiasi Database Management System (Dbms) il cui formato dati sia Jdbc compatibile può fare da sorgente: DB2v7, Oracle 8i, 9i e 10g, SQL Server, MySql, Sybase 12.5, Netezza NFS, Informix 9 e altri. Gli Spotfire Application Data Services permettono poi di creare mashup dei dati collegando più fonti e sistemi transazionali (sono supportate le applicazioni Sap, Sap BW, Oracle e-business suite, Siebel, SalesForce e le applicazioni connesse al framework Hadoop) per poter effettuare analisi su tutti i dati in azienda. Sul fronte specifico dei big data, una partnership con Teradata include le analytics e il real-time processing Spotfire nella Teradata Uda (Unified Data Architecture), consentendo l’analisi simultanea dei dati storici e di quelli generati da eventi in atto. Un’altra partnership con Attivio permette alle analisi Spotfire di sfruttarne l’Active Intelligence Engine, piattaforma che integra e indicizza dati strutturati e contenuti non strutturati. Recentemente è stata poi annunciata una nuova versione di Spotfire che lavora con Hp Vertica e Oracle Essbase per analisi multidimensionali in modalità in-database.

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