MILANO – “La medicina è morta”. In occasione del convegno dal titolo “La gestione del dato sanitario – Sicurezza e cloud nell’era dei big data”, promosso dall’Associazione MotoreSanità (che si propone di contribuire al progresso della ricerca scientifica e delle conoscenze scientifiche) e sponsorizzato da Oracle, Angelo Capelli, vicepresidente III Commissione Sanità e politiche sociali Regione Lombardia, ha lanciato questa provocazione facendo riferimento al fatto che la crescente capacità predittiva, possibile mediante l’analisi dei big data, consentirà in un prossimo futuro di evitare l’insorgere di malattie e di dover arrivare alle fasi di diagnosi e cura. Nel corso del pomeriggio di lavori si è infatti più volte ripetuto come la tecnologia possa e debba supportare il sistema sanitario: perché solo la prevenzione, o quanto meno la diagnosi precoce, permetterà, tra l’altro, che l’intero sistema non collassi per le troppe spese.
Una vera rivoluzione del mondo dei servizi alla persona, così come una diversa gestione dei ricoveri (riducendo il tempo di ospedalizzazione a solo quello necessario per le cure intensive): “Se una nuvola di dati segue il paziente, e questo è oggi possibile, basta la connessione e il traguardo è a portata di mano”, è il parere di Mauro Moruzzi, responsabile eHealth Assinter Italia.
Il prerequisito fondamentale è il dato e gli ospedali prima di tutto già oggi sono una grandissima fonte di dati. Paolo Colli Franzone, Direttore Generale di Netics, si occupa da anni di Ict nella PA e ha calcolato che in un ospedale medio, con 300 posti letto, oggi si hanno circa 22 tera di dati, con un ritmo stimato di crescita del fabbisogno di storage del 40% all’anno (considerando che ormai spesso le operazioni chirurgiche sono riprese in alta definizione, che gli esami diagnostici sono sempre più specifici e producono più dati, per esempio la digitalizzazione di vetrino di anatomia patologica significa 2 gigabyte, 95 mega una tac eccetera) si pensa quindi che si possa arrivare nel 2035 ad avere quasi 25 petabyte di dati stimati per ospedale. La quantità diventa stratosferica se si pensa che ci sono 530 ospedali pubblici in Italia ai quali vanno sommati tutti gli istituti privati…
“La tecnologia c’è ed è sicura– è l’intervento di Fabio Spoletini, Country Manager Oracle Italia – mentre è necessario risolvere problemi organizzativi. Sul fronte IT, una delle principali risposte alle problematiche del sistema sanitario connesse con la crescita dei dati è sicuramente il cloud, grazie alla disponibilità di spazio as a service per l’archiviazione e alle opportunità che offre per una big data analytics che consenta di supportare quella capacità predittiva di cui il sistema stesso ha bisogno”.
“I dati ci sono; è necessaria l’interoperabilità tra i sistemi delle diverse strutture – è intervenuto Nicola Ruggiero, Vice Presidente Anitec – che consenta di elaborare le informazioni; il prossimo passo deve essere la possibilità di un’elaborazione in real time. È sconvolgente pensare che i produttori di dispositivi indossabili hanno già informazioni relative alla salute dei propri clienti, come per esempio il battito cardiaco, mentre avrebbe molto più senso che tale conoscenza fosse in mano al sistema sanitario. La vera sfida per salvare davvero la vita delle persone o comunque migliorarla è riuscire a far sì che questi dati siano prima di tutto resi disponibili e poi incrociati con quelli storici (ricoveri, prestazioni ambulatoriali, ossia il fascicolo sanitario elettronico) e con quelli derivanti da dispositivi, quali per fare un solo esempio i pace maker, che devono essere in grado di dialogare per fornire aggiornamenti in tempo reale. In questi giorni ho visitato un’azienda italiana che ha sviluppato in proprio un sistema di monitoraggio per i pazienti affetti da Alzheimer, ci sono esempi di eccellenza”.
Il corpo umano può quindi diventare un fornitore importante di informazioni, all’insegna di un Internet of me affinché la medicina sia davvero personalizzata.
L’auspicio di tutti è quello di proseguire su questa strada che significa anche introdurre nuove figure all’interno delle organizzazioni sanitarie, profili che siano statistici, ingegneri, programmatori, data scientist, insomma tecnici che supportino i medici per promuovere un cambiamento ormai necessario.