Cremonini (Doing): “Tecnologia vincente se a servizio della user experience”

Il general manager della società che affianca i propri clienti nella trasformazione digitale: “Puntiamo su tre aspetti: Insight, content media e technology. I settori B2B e B2I sono ricchi di opportunità, aiutiamo le aziende a individuare nuovi modelli di business, mettendo al centro l’usabilità”

Pubblicato il 26 Giu 2018

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La tecnologia fine a sé stessa non è per forza un vantaggio, anzi a volte potrebbe complicare le cose. Se però è al servizio della user experience, e quindi è in grado di essere “invisibile” e di rendere più semplice l’esperienza degli utenti, allora rappresenta un vantaggio competitivo importante, in grado di dare una spinta alle aziende in termini di efficienza dei processi interni e di penetrazione sui mercato. E’ la tesi che Simone Cremonini, general manager di Doing, illustra in un’intervista a BigData4innovation, pochi giorni dopo aver partecipato al Digital & Payment summit di Roma. Doing, con cinque sedi nel mondo, un fatturato di 28 milioni di euro, poco meno di 250 dipendenti, è uno dei più grandi player italiani in ambito digitale, che nella sua attività combina analisi dei dati, service design, creatività e contenuti, tecnologia per soluzioni di marketing, comunicazione, digital transformation e data solution.  

“La tecnologia è un fattore abilitante – spiega Cremonini – siamo ormai nella fase della consumerization: le soluzioni che prima erano soltanto per grandi player in pochi anni si sono diffuse ampiamente, e ciò che prima costava tanto è sempre più alla portata di tutti. Da questo deriva che oggi al centro deve esserci l’usabilità, che si voglia considerare come customer experience, user experience o user interface design. Qualsiasi servizio digitale, se non ha alla base una forte attenzione all’utente finale, non funziona. Una logica vale anche quando si tratta di soluzioni rivolte all’interno del mondo aziendale. In questo caso siamo il primo laboratorio dei progetti che presentiamo ai clienti. Quando si parla di intranet o knowledge sharing, dobbiamo essere sicuri di mettere a punto soluzioni che vengano poi effettivamente utilizzate. Questo si ottiene con strumenti che diano un valore aggiunto, dalla ricercabilità delle informazioni alla possibilità di interagire più velocemente. In più c’è il tema della formazione, che non è più quella d’aula, ma è partecipativa, spesso con logiche di gamification e premi. In questo caso importante la scelta del campione, delle persone che all’interno dell’azienda diventeranno “ambasciatori” di queste soluzioni. 

Qual è il valore aggiunto di Doing in questo campo?

Il nostro vantaggio competitivo è quello di riuscire a unire tutti i puntini dell’innovazione digitale, dalla nascita fino alla trasmissione dei contenuti. Basandoci su tre pilastri: insight experience, content-media e technology. Insight è la nostra lettura della data experience: estrarre valore dai dati. L’ambito “content & media” racchiude la nostra offerta di agenzia di comunicazione. Mentre per la parte della tecnologia, pur non essendo un system integrator, mettiamo a disposizione dei nostri clienti tecnologie che devono esserci ma non si devono vedere. 

Quali sono in questo momento i settori più promettenti per la vostra attività?

Premettendo che il digital marketing e i progetti di consulenza digital B2C sono importanti, oltre che essere una palestra per i nostri collaboratori e un settore molto competitivo, che offre progetti divertenti, se devo trovare un “oceano blu” penso ai settori B2B e B2i. Ad esempio: stiamo aiutando Ald, multinazionale francese controllata da Societé Generale, che fattura miliardi di euro in tutto il mondo con il noleggio auto per le grandi aziende, nel percorso di digital transformation. Se pensiamo alla catena del valore di questo business, si tratta di un settore assolutamente “old economy”: girava tantissima carta, c’era poca condivisione delle informazioni. Inizialmente ci hanno chiesto restyling del loro sito Internet, e siamo arrivati a rimodellare insieme – e completamente – il modello business.

Come risponde il mercato italiano alle vostre proposte?

Le aziende italiane a cui ci riferiamo sono essenzialmente quelle di dimensioni medio-grandi, e sono generalmente di due tipi: o non sono più italiane, perché sono state acquisite da grandi gruppi internazionali, o sono “Italian champions”, società indipendenti che hanno bisogno di competere sui mercati internazionali. Così abbiamo sempre meno bisogno di fare evangelizzazione digitale: troviamo aziende consapevoli e preparate. Oggi si lavora insieme, dal design thinking al codesign dei servizi, che richiedono un coinvolgimento sempre più forte degli stakeholder. Anche se spesso i clienti fanno ancora un po’ fatica a capire l’importanza di questa collaborazione. 

C’è un tema “competenze” nel vostro settore? Che tipo di problemi incontrate?

Una delle fatiche più grandi è trovare talenti fortemente specializzati che possano contribuire a consolidare le diverse anime di Doing (consulenza, creatività & contenuti, dati e tecnologia), ma che allo stesso tempo sappiano amalgamarsi e lavorare in team, mettendo le proprie competenze a beneficio dei progetti. Per questo, a differenza di altre agenzie, abbiamo un dipartimento Hr ben strutturato, e una task force che si occupa di rinascere i talenti, perché dobbiamo seguire l’hiring con grande attenzione.

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