Il grande tema della “centralità dei dati” che sta monopolizzando l’attenzione legata ai processi di trasformazione digitale delle aziende si aggancia al tema altrettanto importante delle competenze e degli skill necessari per gestire, interpretare e sfruttare la potenza dei dati stessi. Perché se la capacità di “estrarre valore dai dati” è il denominatore comune di fenomeni che cambiano il lavoro e il modo di relazionarci con città, mobilità, salute, è altrettanto vero che con la quantità dei dati cresce anche la necessità di disporre di competenze in grado di trasformarli in conoscenza. E la vera sfida è nella capacità di metterli a disposizione delle imprese e del sociale. Cosa sarebbe l’Industria 4.0 senza le competenze che trasformano i dati dell’IoT, ad esempio, in “manutenzione predittiva” (per saperne di più sulla manutenzione predittiva)? Cosa sarebbe l’illuminazione intelligente o i semafori intelligenti senza quella capacità di visione e di gestione dei dati in grado di unire e integrare le “isole” di intelligenza per dare vita alle Smart City? Si potrebbe continuare, con tanti altri esempi per arrivare al grande tema della Data Driven Economy (leggi il servizio sulla Data Driven Economy) e da qui alla Data Driven Innovation, vale a dire una innovazione guidata dalla valorizzazione di tutti i dati aziendali partendo da una visione di insieme di tutte le fonti, non più solo quelle legate a una specifica esigenza. Siamo così nella Data Driven Innovation.
È uno scenario non più solo tecnico, ma con una fortissima sensibilità sociale che lega in modo sempre più stretto la qualità dei dati con la qualità sociale del digitale e con impatti sempre più evidenti e consistenti sul business. Da qui emerge la figura del Data Scientist, il cui compito è quello di contribuire sì a trasformare i dati in conoscenza ma soprattutto a fare il passaggio dalla conoscenza in valore di business nelle imprese e di servizio nelle Pubbliche Amministrazioni e nelle istituzioni (leggi il servizio su come si diventa Data Scientist).
Nelle aziende più strutturate, poi, il Data Scientist fa parte di un team guidato dal CDO, il Chief Data Officier, una figura manageriale, di pari dignità rispetto ad altri ruoli aziendali come il CIO o il COO, il cui compito è definire lo sviluppo delle strategie per la valorizzazione dei dati e per la gestione dell’intero ciclo di vita del dato, inclusi tutti gli aspetti di compliance alle normative per la conservazione e condivisione.
Tanto il Data Scientist quanto il CDO si muovono nell’ambito dei Big Data e hanno a che fare con i 5 principi chiave che regolano l’identità dei dati stessi, le cosiddette 5V dei dati:
- Volume
- Velocità
- Varietà
- Valore
- Veridicità
Concretamente, come emerge anche dai dati dell’ultima ricerca dell’Osservatorio Big Data della School of Management del Politecnico di Milano, i Data Scientist hanno un ruolo sempre più strutturale e organico nei processi aziendali e arrivano a incidere anche nella definizione delle linee di indirizzo nello sviluppo di nuovi prodotti e servizi.
È chiaro: non tutti i settori di mercato mostrano la stessa accelerazione in ambito Big Data. In questo momento Banche e Manifatturiero drenano oltre la metà della spesa, seguite da Telco, GDO e Retail PA e Sanità e via a scendere verso il mondo dei servizi, delle utility e delle assicurazioni.
Ma la spesa – è questo il dato rilevante – è comunque in crescita e con un +22% anno su anno ha ormai abbondantemente superato il miliardo di euro con investimenti indirizzati all’estrazione di valore dai dati a supporto di fenomeni quali Industry 4.0, Digital Banking, Smart retail, GDPR, Open banking, PSD2 (per saperne di più sul fenomeno PSD2).
Quanto alle attività sui dati, a seconda del ruolo, Data Scientist, Data Engineer, developer, business analyst, si occupano di aspetti diversi, come indica uno studio condotto da IBM sul tema.
Il Data Scientist ha come obiettivo individuare relazioni o linee di tendenza, il data engineer aiuta a raccogliere, organizzare e riordinare i dati, il developer ha il compito di trasformare l’operato del team Data Science in un prodotto o in un servizio, mentre il business analyst, ha il compito di comprendere le esigenze del business.
Tutti lavorano con dati eterogenei, strutturati e destrutturati e hanno a che fare con tecnologie di base quali Spark, Hadoop, strumenti SQL e NoSQL, datawarehousing ed ETL.
Quanto agli obiettivi, sempre secondo quanto emerge dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, se è vero che si parte dal CRM e da tutte le progettualità che concorrono alla gestione dei rapporti con i clienti e alla customer experience, non si può non sottolineare come negli ultimi mesi abbia preso fortemente peso tutto il filone legato all’Internet of Things: i dati raccolti dai sensori abilitano la nascita e lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi.
Si parla dunque di Data Monetization, ovvero lo studio di progettualità che riescono a estrarre un valore inedito e un tempo impensabile dai dati. La Data Monetization, diretta o indiretta che sia può affiancare, complementare o assistere il contemporaneo sviluppo dei core business tradizionali.
Si va dalla vendita nuda e cruda dei dati, alla vendita di dati “trattati”, ovvero in grado di esprimere una conoscenza, per arrivare allo sfruttamento economico dei dati per altre attività.
E quando si parla di Data Monetization non si può non affrontare il tema normativo e nella fattispecie di quanto previsto dall’Articolo 6 del General Data Protection Regulation (GDPR) che delibera proprio sulle condizioni che permettono o non permettono il trattamento. Il Gdpr rappresenta un faro nell’attività del Data Scientist che, una volta iniziata la raccolta dei dati, non può sottoporli ad analisi e utilizzi non specificati a priori. Un messaggio ancora più chiaro sull’importanza del Data Scientist, già in fase di progettazione e di ideazione dei percorsi di studio e di lavoro sui dati.