Il Google cloud summit è stato l’occasione per ribadire il ruolo della casa di Mountain View nella grande competizione globale per il cloud pubblico. Forte di un fatturato da un miliardo di dollari a trimestre, in costante crescita anche sul territorio nazionale. La lista di servizi che Google riesce a mettere sul piatto, d’altronde, è notevole: si va dagli strumenti di condivisione e collaborazione di G Suite, alla creazione, sviluppo e manutenzione di software con App Engine e Kubernetes, fino ai servizi di analisi ed elaborazione dati come BigQuery e le applicazioni di machine learning, tra cui Video Intelligence e AutoML. Ma è proprio sull’ambito Big Data che la divisione cloud di Mountain view sembra essere riuscita a scavare un solco rispetto alla concorrenza, conquistando importanti clienti multinazionali.
Come funziona BigQuery
Prendiamo ad esempio BigQuery, che costituisce il prodotto di datawarehouse all’interno della google cloud platform: come ha messo in evidenza Iacopo Sassarini – Customer Engineer di Google Cloud, le soluzioni di datawarehouse esistono da molto tempo e, in buona sostanza, cercano di aiutare a comprendere che cosa succede all’interno di un’organizzazione. BigQuery si propone di andare oltre queste esigenze “classiche” che possono essere definite di business analytics, ma cerca di connetterle e completarle con funzionalità di tipo predittivo e di machine learning, che sono nativamente integrate. Ovviamente senza il cloud un prodotto come BigQuery non potrebbe esistere: qui i clienti raccolgono i propri dati, che vengono automaticamente criptati e ridondati. A questo punto è possibile interrogare questi dati attraverso il motore di BigQuery che, come il celebre motore di ricerca di casa, permette di ottenere risultati in pochi istanti con grandi volumi di dati, che possono salire all’ordine dei minuti quando si trattano i petabyte. Ovviamente partner e sviluppatori di terze parti di Google Cloud Platform hanno sviluppato diverse soluzioni di integrazione con BigQuery che consentono di caricare, elaborare, e visualizzare in modo interattivo i dati in modo semplice, ad esempio dai classici CRM. Altro particolare importante è che BigQuery è in grado di “digerire” anche i dati generati in streaming , ad esempio, dai dispositivi IoT, che in tempo reale inviano dati di ogni sorta. A fare da porta d’ingresso in Google Cloud Platform di questo genere di dati è una piattaforma apposita, ribattezzata Pub/Sub.
Il caso Wind 3
Le potenzialità dell’analisi dei dati di Google Cloud sono messi in evidenza dal caso di Wind 3, che ha scelto di puntare sul cloud di Google per rinnovare la propria infrastruttura IT. L’aspetto più eclatante è che i mattoni messi a disposizione da Google Cloud, combinati con le competenze di data science interne, rendono oggi possibile al colosso delle Tlc di comprendere quali siano i propri 100.000 clienti che – ragionevolmente – hanno più possibilità di cambiare operatore nei mesi successivi. Su questa base, naturalmente è possibile mettere in atto le opportune contromosse di marketing, con un impatto notevole dal punto di vista del business. Insomma, il focus delle soluzioni big data Made in Google è quello di colmare il gap oggi esistente con il mondo machine learning. Il tutto senza dover effettuare investimenti ingenti in infrastrutture IT, data center e sicurezza, che vengono garantiti dalla estesissima rete di Google a livello globale.