Puntare sul Cloud-native per colmare il divario tra l’Italia e altri paesi, soprattutto extraeuropei, Stati Uniti in primis. Esploso sempre di più negli ultimi anni e identificato da molti come l’ultima big thing del settore IT, il Cloud-native può essere definito come il passaggio successivo e naturale del Cloud computing.
Il significato di un approccio Cloud-native
Il termine Cloud-native indica le tecnologie native del cloud che consentono alle organizzazioni di creare ed eseguire applicazioni scalabili in ambienti dinamici, ad esempio cloud pubblici, privati e ibridi. Contenitori, mesh di servizi, microservizi, infrastruttura non modificabile e API dichiarative esemplificano questo nuovo approccio, un nuovo modo di progettare e costruire le applicazioni focalizzato sulla velocità e l’agilità, caratteristiche che permettono alle applicazioni di essere resilienti, adattandosi rapidamente al cambiamento su larga scala.
Rispetto a un approccio tradizionale, più monolitico, il Cloud-native presenta tre grandi vantaggi per aziende ed enti pubblici:
– aumenta la flessibilità delle applicazioni, eliminando le dipendenze tra servizi e con l’infrastruttura;
– accelera la capacità di risposta degli sviluppatori, che possono operare tra servizi e con l’infrastruttura;
– ottimizza l’impiego delle risorse grazie all’automazione, riducendo l’errore umano.
Affrontare un percorso in questa direzione, ex novo o con una modernizzazione dei processi, dà ottimi risultati. In ottica strategica, perché il Cloud native concretizza vantaggi come la velocità di delivery e l’ottimizzazione della user experience, permettendo al business di lavorare meglio e di aumentare i profitti; in ottica puramente operativa, perché consente di supportare i developer nella collaborazione con le Operations e nell’organizzazione del lavoro in modalità agile.
In particolare, la possibilità di creare applicazioni Cloud native che siano ottimizzate proprio per il modello di Cloud computing, assicura a organizzazioni e aziende che i loro sistemi IT siano snelli, stabili e molto più facilmente adattabili all’accelerazione della digital transformation. La sua adozione però non deve essere vista come una semplice riorganizzazione, quanto piuttosto come una vera e propria trasformazione digitale che prevede una fase di pianificazione e preparazione.
Cloud e PA in Italia
Mancanza dei requisiti di sicurezza e affidabilità, oltre a gravi carenze sul piano strutturale e organizzativo, per il 95% delle infrastrutture degli enti pubblici: è quanto emerge dall’ultimo censimento AgID che mostra una situazione italiana critica.
Il primo obiettivo da porsi deve essere quello di dismettere le infrastrutture obsolete e attuare un piano di consolidamento e migrazione verso infrastrutture moderne e affidabili. Il cosiddetto Polo Strategico Nazionale, di cui tanto si sente parlare, ha come obiettivo quello di colmare questi gap ormai inaccettabili.
Il percorso sarà lungo. Prodromico sarà fare una mappatura e un’analisi del patrimonio informativo del sistema Paese per identificare una mole impressionante di dati. Basti pensare ai registri ad ogni livello della PA, da quello nazionale a quello comunale, da quelli anagrafici della popolazione ai dati di INPS, INAIL e a quelli delle Camere di Commercio.
Al momento, ogni informazione legata al cittadino e alle imprese risulta depositata su data center disgiunti e distribuiti che non dialogano tra loro. Ed è qui che dovrebbe entrare in gioco il Cloud perché tale operazione di migrazione sarebbe anche una grande opportunità per eseguire una revisione profonda dei sistemi informativi e delle applicazioni delle PA.
Cloud-native in Italia
Il fatto è che il Cloud-native in Italia non è ancora stato, per così dire, metabolizzato e spesso è ridotto solo ad alcune sue componenti, come microservizi o DevOps. Per arrivare a una trasformazione reale del sistema PA è necessario innanzitutto cambiare mindset, intervenire sui processi interni, prima ancora di parlare di GitOps e di declinazioni tecniche e tecnologiche.
Il momento storico è quello giusto per la PA, per l’adozione completa del Cloud native: si deve partire da una formazione massiccia del personale IT nel settore pubblico, con molte più ore ad essa dedicate. Al contempo è necessaria un’analisi per attuare un ammodernamento strutturale profondo, fatto di logiche nuove, di attenzione alle necessità effettive dei cittadini, dei professionisti e delle aziende. In questo senso, i processi di onboarding, di interazione e più in generale di usabilità non possono essere un’appendice post-sviluppo, bensì devono diventare centrali. I dati sono fondamentali, ma poterne fruire seamlessly e rapidamente lo diventa ancora di più.
Il Cloud nazionale e la PA
I vantaggi che la PA potrebbe trarre dall’adozione di paradigmi Cloud-native sono molti e indubbiamente legati al più generico modello cloud first. Ad ogni modo, un approccio nativamente cloud permette di sviluppare architetture e applicazioni capaci di sfruttare realmente le potenzialità intrinseche del Cloud. Se così non fosse i risultati sarebbero parziali, un passo appena oltre la migrazione tout-court.
In generale, dunque, il primo grande traguardo che si raggiungerebbe è un livello maggiore di trasparenza ed efficienza nei servizi insieme a un incremento della sicurezza dell’integrità e della protezione dei dati.
Anche il servizio dei touchpoint digitali pubblici ai cittadini e alle imprese in termini di usabilità e affidabilità dei sistemi sarebbe coinvolto con un netto miglioramento; la gestione dei costi ICT sarebbe ottimizzata con un impatto minore sulla spesa pubblica.
Ancora, l’approccio Cloud-native permetterebbe di creare un network finalmente integrato, ponendo fine alla frammentazione di realtà spesso a gestione locale e sottostanti a lock-in di software proprietari; verrebbe inoltre fornito un supporto forte e affidabile agli enti pubblici minori che si rifanno al sistema centrale.
Ultima, ma non certo per importanza, si otterrebbe una maggiore scalabilità e resilienza dei servizi nei momenti di picco della loro fruizione – evitando quei dannosi e spiacevoli disservizi che molto spesso vengono associati alla funzione pubblica.