L’intelligenza artificiale, da alcuni anni a questa parte, è uscita dalla ristretta cerchia del dibattito tra gli addetti ai lavori, per diventare uno degli argomenti più dibattuti dell’intero panorama scientifico e tecnologico. Le ricerche e i convegni in materia sono numerosissimi, così come le relative prese di posizione e i dibattiti. Ma, nonostante le aspettative, l’effettiva applicazione della AI nelle aziende non ha ancora raggiunto i risultati desiderati e attesi, per tutta una serie di ragioni (mancanza di competenze, strumenti e di fiducia). Eppure, secondo un report recentemente diffuso da IBM, intitolato From Roadblock to Scale: The Global Sprint Towards AI, il 2020 dovrebbe essere caratterizzato una vera e propria esplosione dei livelli di adozione dell’intelligenza artificiale, grazie al superamento di buona parte delle barriere sinora esistenti.
Ma andiamo con ordine: il sondaggio è stato condotto su 4.514 responsabili aziendali (soprattutto di grandi e medie dimensioni) di tre diverse regioni: gli Stati Uniti (1.003), Unione Europea (2.509) e Cina (1.002). Innanzitutto, lo studio prova a mettere in fila le ragioni che stanno alla base delle difficoltà sinora riscontrate dalla AI, nonostante le opportunità da tutti riconosciute legate all’utilizzo di questa tecnologia. In particolare, il principale ostacolo è proprio relativo alla limitata esperienza o conoscenza della AI che, come in circolo vizioso, si rivela essere un ostacolo all’ostacolo. Al secondo posto (31%) c’è la complessità nella gestione dei dati, spesso ulteriormente complicata dalla presenza di veri e propri silos interni che, ovviamente, complicano la realizzazione di progetti AI. In particolare, la limitata esperienza è un ostacolo significativo soprattutto per quelle aziende che hanno appena iniziato ad approcciare questa tecnologia, mentre i problemi relativi ai dati interessano maggiormente le imprese che già hanno all’attivo progetti di questo tipo.
Il ruolo della tecnologia e della sperimentazione
Ci sono poi delle problematiche di natura tecnologica, la più importante delle quali è relativa all’esistenza del cosiddetto vendor lock-in, ritenuto impattante dal 53% del campione. Nonostante l’esistenza di queste e altre barriere, esiste in realtà già oggi una fetta consistente di aziende che – in gradi e modalità differenti – ha già oggi iniziato a familiarizzare con questa tecnologia. In particolare, c’è un buon 34% che ha in qualche modo già implementato l’intelligenza artificiale nelle proprie attività, mentre un’altra fetta leggermente più consistente (39%) è perlomeno in una fase esplorativa. A conti fatti, questo significa che quasi 3 aziende su 4 intervistate hanno deciso di scendere in campo nella partita dall’AI. Di quelle aziende che sono già attualmente operative, il 40% lavora su progetti pilota sperimentali e un altro 40% utilizza applicazioni di intelligenza artificiale precostruite, come ad esempio i chatbot. Le aziende esploratrici in campo AI sono quasi equamente divise tra quelle che prevedono di utilizzare la Artificial Intelligence per un lavoro specifico basato su progetto (48%) o sulla distribuzione di questa tecnologia in tutta l’azienda (46%). Non stupisce, naturalmente, come per il momento l’Intelligenza artificiale sia stata affrontata soprattutto dalle grandi aziende: la percentuale di diffusione sale al 45% tra le organizzazioni sopra i 1.000 dipendenti, mentre scende al 29% tra quelle sotto questa soglia. Ovviamente esiste uno zoccolo duro di imprese, pari a circa il 22%, che per il momento non appare intenzionato neppure alla possibilità di approcciare questa opzione tecnologica. L’aspetto significativo è che, a livello globale, il 22% dei partecipanti al sondaggio ha dichiarato di non utilizzare o esplorare l’utilizzo dell’IA, su questa fascia di imprese si deve forse focalizzare l’attenzione per aumentare il livello di sensibilizzazione e conoscenza delle opportunità che si possono aprire.
Il 2020 sarà l’anno in cui si vincono le resistenze?
Come accennato in precedenza, però, il 2020 dovrebbe essere l’anno in cui buona parte delle resistenze dovrebbero sgretolarsi. Secondo il report di IBM, infatti, in tutto il mondo è prevista una netta tendenza all’aumento degli investimenti nelle aree chiave dell’AI. In particolare, le aziende programmano di investire in maniera massiccia in soluzioni di AI di tipo proprietario (35%), seguono applicazioni standard (34%), strumenti pronti all’uso che permettano di costruire i propri modelli di intelligenza artificiale (33%), formazione della forza lavoro (33%), integrazione dell’AI nelle applicazioni e nei processi attuali (28%) e infine una quota importante di Ricerca e sviluppo (26%). Questi dati confortanti inducono a previsioni ottimistiche: l’adozione dell’Intelligenza artificiale nel mondo aziendale dovrebbe aumentare drasticamente nei prossimi 18-24 mesi, raggiungendo una percentuale dell’80 o addirittura del 90%. Lo snodo principale resta quello della fiducia: per implementare l’AIsu larga scala e non soltanto su progetti specifici, le aziende (e non soltanto i decisori) devono fidarsi del funzionamento di questa tecnologia, conoscerne le dinamiche di funzionamento e non solo. Il 78% degli intervistati di tutti i paesi afferma infatti che è molto o estremamente importante che si possano fidare del fatto che l’output delle loro soluzioni AI sia equo, sicuro e affidabile. Inoltre, per l’83% del campione è importante essere in grado di spiegare come l’AI sia capace di arrivare a una determinata decisione. In particolare, questo aspetto è più rilevante per le aziende che stanno già oggi lavorando con soluzioni di intelligenza artificiale.
La parola chiave per l’AI è: Fiducia
Proprio il tema della fiducia è cruciale nelle conclusioni di un secondo studio condotto a livello globale da IBM (non a caso intitolato Build Your Trust Advantage), che mette in fila su quali caratteristiche si basino le aziende all’avanguardia nella rivoluzione dei dati, definite come Torchbearers (tedofori). Sostanzialmente si tratta di imprese che hanno saputo creare un percorso verso il valore, utilizzando i dati a disposizione per ricostruire o potenziare un rapporto di fiducia con i propri clienti e partner commerciali, ottenendo così un vero e proprio ritorno sulla fiducia. In particolare, queste imprese sono caratterizzate da una serie di caratteristiche che hanno come denominatore comune il segno della fiducia e che si esprimono in questi atteggiamenti:
- Fidati dei tuoi clienti. I Torchbearers stanno rafforzando le loro relazioni con i clienti e stanno diventando custodi fidati dei dati personali, dimostrando trasparenza. In questo modo riescono a sfruttare il vantaggio di fiducia che hanno guadagnato per creare modelli di business differenziati.
- Fidati dei tuoi dati. I Torchbearers stanno instillando fiducia nei dati e nei modelli di intelligenza artificiale a livello aziendale. Questa fiducia sta stimolando una cultura dei dati che apre nuove prospettive di collaborazione, migliorando le esperienze lungo le catene del valore per clienti e partner.
- Fiducia negli ecosistemi. I Torchbearers stanno affrontando una sfida che sta modellando il loro futuro e che li vede imparare a condividere i dati su piattaforme di varia natura senza rinunciare al proprio vantaggio competitivo. Tutto questo comprende la costruzione di ecosistemi capaci di creare nuovo valore esponenziale, grazie alla monetizzazione dei dati condivisi.
La fiducia, secondo questa interpretazione del ruolo dei Torchbearers, aggiunge un nuovo livello di valore ai dati e rappresenta un tassello fondamentale per tutti i temi legati alla sostenibilità dei modelli di business basati sul dato.