Kyle York (Oracle): “Dati asset centrale nel passaggio al Cloud”

Il vice president Product strategy di Oracle Cloud Infrastructure: “Sono proprio le informazioni generate e usate dalle aziende ad alimentare il business. Così la decisione di postare in cloud i propri dati dovrebbe partire da un’analisi attenta”

Pubblicato il 29 Nov 2018

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Quando si tratta di passare al Cloud, la prima cosa che i Cio devono prendere in considerazione sono i dati. E la certezza di Kyle York, vice president Product strategy di Oracle Cloud Infrastructure: “Se si chiedesse a qualsiasi Cio di stilare una classifica dei suoi asset aziendali più importanti, i dati sarebbero al primo posto – spiega – Dati è un termine generico ma riguarda, ad esempio, quali materiali e prodotti l’azienda compra, da chi, a quali condizioni contrattuali. E si riferisce anche a quali prodotti e servizi ha venduto, a quali clienti; chi sono le persone impiegate presso l’azienda, chi i clienti e i partner… Tutto questo, si può dire, costituisce la linfa vitale di un’organizzazione”.

Proprio per questo è necessario usare la massima cautela: “Alcuni di questi dati – prosegue York – sono soggetti a norme imposte da enti regolatori esterni. Molti di essi sono proprietà di specifiche linee di business interne. Ognuno di essi, in ogni caso, dev’essere trattato con la massima cura e attenzione. Il mantra secondo cui ‘i dati sono il nuovo petrolio’ è stato di recente messo sotto attacco, ma non è certo esagerato affermare che sono proprio i dati generati e usati dalle aziende ad alimentare il business e lo sviluppo delle loro attività”.

E qui entra il ballo il tema del passaggio al Cloud: “La decisione di spostare i propri dati  e le applicazioni che li gestiscono in Cloud dovrebbe partire da un’attenta disamina e discussione sui dati stessi – sottolinea York – Lo scenario attuale è molto diverso da quello dei primi tempi del cloud computing. Dieci o dodici anni fa, le start up e i piccoli team di sviluppo di grandi aziende sperimentavano il cloud per accrescere velocemente la disponibilità di risorse di calcolo e di storage, posizionandole nei data center di qualcun altro (in cloud, appunto) con l’obiettivo di sviluppare e testare nuove idee in ambito software. Si usavano queste risorse secondo necessità e poi le si disattivava.

Questo modello ‘pay as you go’, spesso finanziato con poco contante o con la propria carta di credito, era interessante per chi voleva creare nuovi prototipi software con la massima velocità. Il tutto tipicamente avveniva anche senza che i Cio o altri responsabili IT ne fossero a conoscenza e quindi senza trasferire grandi quantità di dati reali in infrastrutture altrui”.

Ma con il passare del tempo il contesto è cambiato radicalmente: “Il quadro oggi è molto diverso, perché le grandi aziende e i loro responsabili IT sanno che anche le loro applicazioni e dati più importanti hanno bisogno di trovare un nuova

collocazione e che questo significa spostarsi su un’infrastruttura cloud, sia essa on premise o pubblica – argomenta York – Ha senso per un CIO affidare i dati aziendali allo stesso tipo di infrastruttura su cui ‘gira’ il gioco Angry Birds? Senza nulla togliere ad Angry Birds o al cloud che lo ospita, va sottolineato che i casi d’uso sono molto differenti. Se un gioco online non è disponibile o funziona male, i gamer si irriteranno molto ma si riprenderanno presto. Se però una fabbrica, una banca, un ambulatorio medico non possono tenere sotto controllo le scorte, registrare le transazioni o fornire le prestazioni mediche richieste le ripercussioni saranno molto più serie”.

Da queste considerazioni scaturiscono i consigli per le aziende impegnate alla transizione al Cloud nel loro percorso di digital transformation: “I Cio e i C-Level in generale dovrebbero assicurarsi che la loro futura infrastruttura cloud sia costruita integrando la cybersecurity in tutti i sistemi chiave, compresi i database, fino ai limiti più esterni della rete; e che i database necessari per l’operatività aziendale funzionino in modo efficiente e sicuro anche nella loro nuova ‘casa sulla nuvola’. Se poi l’offerta più innovativa può fornire anche strumenti di sicurezza che includono la possibilità di aggiornare il software e applicare patch di vulnerabilità in automatico non appena disponibili, il discorso si fa davvero interessante. Ancor più interessante se si aggiunge a questo ulteriori strumenti che segnalano in anticipo rischi di volatilità dei sistemi in Internet, agli estremi esterni della rete”.

Ma la strada verso questa “migrazione in cloud secondo l manager è ancora lunga: “In realtà la maggior parte delle grandi aziende non ha ancora portato in cloud i database più critici e le relative applicazioni enterprise – conclude – Una ricerca stima che solo il 15-30% dei carichi di lavoro aziendali siano stati effettivamente migrati. Questo significa che c’è ancora molto lavoro da fare. Ma prima di fare questo passo, è importante che le aziende valutino approfonditamente che tipo di infrastruttura cloud sia più adatta a gestire il loro ‘tesoro’ – di dati. Un’infrastruttura che incorpori in modo efficace funzionalità di intelligenza artificiale, machine learning e analytics per semplificare e proteggere la gestione dei dati aumenterà di gran lunga le probabilità di successo”.

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