Lo smart working avanza: «Ma è solo la punta dell’iceberg»

Secondo le stime dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano sono 305mila i lavoratori smart in Italia. Corso (Polimi): «Ampi margini di crescita e numerosi benefici». Un fenomeno che riguarda anche l’ambito Big Data

Pubblicato il 03 Nov 2017

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La disponibilità di tecnologie digitali è una condizione necessaria per permettere alle persone di svolgere il proprio lavoro anche da remoto. Nelle grandi organizzazioni, a prescindere dalla presenza di un progetto di smart working, le tecnologie che supportano il lavoro da remoto sono già diffuse: in modo particolare le soluzioni a supporto della sicurezza e dell’accessibilità dei dati da remoto e da diversi device (95%) e device mobili e mobile business app (82%). Molto spesso sono presenti servizi di social collaboration integrati a supporto della collaborazione e della condivisione della conoscenza (61%), mentre meno diffuse sono le workspace technology che permettono un utilizzo più flessibile degli ambienti, agevolando il lavoro in mobilità all’interno delle sedi aziendali (36%).

È questa l’indicazione tecnologica che emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, che certifica l’avanzata del lavoro agile nel nostro Paese. L’approvazione della legge ad hoc, il dibattito sul tema e l’aumento delle sperimentazioni hanno spinto le nuove frontiere organizzative del lavoro smart, che oggi conta 305mila dipendenti impiegati, quadri e dirigenti che lavorano in aziende pubbliche o private con più di 10 dipendenti, che si distinguono per maggiore soddisfazione per il proprio lavoro e maggiore padronanza di competenze digitali rispetto agli altri lavoratori. Un fenomeno che riguarda anche l’ambito Big Data, tra i più dinamici dal punto di vista occupazionale con una domanda di professionisti in ascesa a cui fa tuttavia fronte un’offerta ancora inadeguata.

Cresce l’adozione dello smart working tra le grandi imprese: il 36% ha già lanciato progetti strutturati (il 30% nel 2016), ben una su due ha avviato o sta per avviare un progetto, ma le iniziative che hanno portato veramente a un ripensamento complessivo dell’organizzazione del lavoro sono ancora limitate e riguardano circa il 9% delle grandi aziende. Anche tra le Pmi cresce l’interesse, sebbene a prevalere siano approcci informali: il 22% ha progetti di smart working, ma di queste solo il 7% lo ha fatto con iniziative strutturate, mentre un altro 7% non conosce il fenomeno e ben il 40% si dichiara “non interessato” in particolare per la limitata applicabilità nella propria realtà aziendale. Nella PA solo il 5% degli enti ha attivi progetti strutturati e un altro 4% pratica lo smart working informalmente, ma a fronte di una limita applicazione c’è un notevole fermento, con il 48% che ritiene l’approccio interessante, un ulteriore 8% che ha già pianificato iniziative per il prossimo anno e solo il 12% che si dichiara non interessato.

Il lavoro smart, sottolineano gli esperti del Polimi, è una realtà, ma quel che si vede è solo la punta dell’iceberg: sono ancora pochi i progetti di sistema che ripensano i modelli di organizzazione del lavoro ed estendono a tutti i lavoratori flessibilità, autonomia e responsabilizzazione. Eppure, i benefici economico-sociali potenziali sono enormi: l’adozione di un modello “maturo” di smart working per le imprese può produrre un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore, che a livello di sistema Paese significano 13,7 miliardi di euro di benefici complessivi. Per i lavoratori, anche una sola giornata a settimana di remote working può far risparmiare in media 40 ore all’anno di spostamenti; per l’ambiente, invece, determina una riduzione di emissioni pari a 135 kg di CO2 all’anno.

«Sotto la superficie dello smart working così come oggi lo conosciamo c’è una grande opportunità di contribuire a ripensare il lavoro del futuro per rendere imprese e pubbliche amministrazioni più produttive e intelligenti, lavoratori più motivati e capaci di sviluppare talento e passioni, una società più giusta, sostenibile e inclusiva – afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. I benefici per imprese, lavoratori e società sono troppo importanti per potersi permettere di non sviluppare immediatamente un piano di interventi volto ad accompagnare e incentivare un fenomeno in grado di dare nuovo slancio al sistema Paese».

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