Come abbiamo visto nell’articolo La mutazione genetica del settore Media & Entertainment, il settore Media & Entertainment è uno di quelli maggiormente impattati dalla digitalizzazione pervasiva della società ed è stato uno dei primi a essere stato “disrupted” dai comportamenti degli utenti che, nella maggior parte dei casi, sono protagonisti di una più o meno rapida transizione al digitale nella fruizione dei contenuti (all’interno di questo settore convivono giornali, periodici, libri, TV, musica ecc.; ambiti molto diversi che, sebbene vi siano parecchi elementi comuni come abbiamo visto nell’articolo citato, si caratterizzano ciascuno per dinamiche peculiari).
Il focus di questo articolo non è però quello di vedere le tecnologie digitali che, lato utente, hanno determinato questa disruption bensì capire quali frecce tecnologiche possono oggi avere nel proprio arco editori e produttori di contenuti video e musicali per non essere vittime della disruption, bensì protagonisti. Per non estendere troppo i temi trattati, ci focalizziamo qui sulla produzione di giornali, periodici, libri, con qualche accenno alla TV.
Big data analytics: la madre di ogni strategia editoriale
Partiamo da quello che dovrebbe essere definito il punto di partenza di ogni strategia editoriale, indipendentemente dallo specifico ambito nel quale si opera: il dato e la capacità di analizzarlo.
Come emerge dai principali studi di riferimento del settore (da Creative Disruption: The impact of emerging technologies on the creative economy realizzato da McKinsey per il World Economic Forum, al Global entertainment & media outlook 2017-2021 pubblicato ogni anno da PwC), l’adozione di tecnologie di big data analytics rappresenta uno degli snodi principali per lo sviluppo di nuovi modelli di business e per garantire la propria competitività anche in ambiti tradizionali (come la pubblicazione di prodotti cartacei).
La conoscenza e la profilazione degli utenti è un tema trasversale a tutti i settori merceologici naturalmente, ma alcune specificità di quello preso in considerazione in questo servizio ne moltiplicano l’efficacia. Abbiamo, per gli ambiti trattati (giornali, periodici, libri), due tipi di filiere: una completamente digitale e l’altra dove la digitalizzazione riguarda tutti i processi (dalla produzione, alla distribuzione, alla promozione) ma si conclude con un prodotto fisico.
Nel primo caso, la capacità di utilizzare al meglio i big data analytics massimizza il risultato perché l’acquisto del prodotto può avvenire all’interno dello stesso task (ed è quindi più probabile che l’intero processo si concluda con l’acquisto). Ma l’efficacia è elevata anche nel secondo caso perché, come abbiamo visto nell’articolo già citato, molti consumatori si informano online anche se poi viene acquistato nella location fisica il prodotto.
Per quanto riguarda le tipologie di analytics utilizzate hanno una buona diffusione i descriptive analytics, per comprendere la situazione attuale e passata supportando la direzione editoriale nelle decisioni contingenti, e i predictive analytics, per capire cosa potrebbe accadere e definire una strategia editoriale di medio periodo; ma anche nel settore Media&Entertainment, come negli altri ambiti, risultano meno utilizzati i prescriptive analytics, strumenti che propongono ai decision maker decisioni sulla base dell’analisi e automated analytics, che implementano direttamente l’azione proposta sulla base del risultato delle analisi svolte.
Blockchain, per proteggere la proprietà intellettuale
Nell’articolo How can creative industries benefit from blockchain?, Ryo Takahashi, Project Collaborator del Word Economic Forum spiega come la tecnologia blockchain può impattare le industrie creative, in particolare consentendo di ridefinire il modo in cui gli artisti vengono remunerati garantendo la proprietà intellettuale. Il World Economic Forum ha individuato 5 funzionalità di questa tecnologia che rappresentano altrettante “forze” che possono spingere al suo utilizzo (figura 1). Gli esempi portati nell’articolo sono riferiti al mondo musicale, ma possono essere facilmente estesi agli altri ambiti del mondo Media & Entertainment:
- Smart contract – L’utilizzo di smart contract può aiutare gli artisti a gestire i diritti digitali e allocare le quote di ricavo ai contributori del processo creativo, inoltre le royalties potrebbero essere progettate per essere più inclusive, offrendo termini più giusti, nel caso della musica, per musicisti, parolieri e compositori.
- Stabilire transazioni P2P trasparenti – Tutte le transazioni per un lavoro creativo possono essere viste e convalidate, tracciando tutti coloro che hanno avuto accesso al lavoro e quante entrate questo sta generando in qualsiasi momento. Inoltre, la blockchain renderà trasparente chi è il proprietario del materiale creativo.
- Promozioni più efficienti, prezzi dinamici – Tracciando la domanda di contenuti creativi, i prezzi potrebbero essere più dinamici variando in base all’offerta e alla domanda e la promozione più efficace perché basata sull’effettivo gradimento del prodotto creativo. Inoltre, gli artisti potrebbero controllare i prezzi e avere la possibilità di fissarli in autonomia senza dover passare attraverso una complessa rete di intermediari.
- Consentire “micrometering” o “micromonetizing” – Utilizzando la blockchain, frammenti di lavori creativi potrebbero essere resi disponibili a frazioni del prezzo del brano intero e questo potrebbe essere particolarmente utile per gli spot pubblicitari dove difficilmente vengono utilizzati i brani integralmente. Questo agevolerebbe la remunerazione degli artisti per questi utilizzi parziali della loro opera.
- Stabilire un sistema di reputazione – Blockchain, grazie alla verifica reciproca degli operatori del processo creativo, può aiutare a stabilire la reputazione on line: chi, per esempio, non rispetterà ripetutamente i termini di un contratto vedrà la propria reputazione scendere, con il conseguente impatto negativo sulla propria attività; in questo modo la blockchain può funzionare da deterrente contro cattivi comportamenti.
Il nuovo giornalismo: dall’analisi degli open data all’intelligenza artificiale
Ormai da qualche anno si è sviluppata una nuova figura professionale basata sulla capacità di analisi dei dati: il data journalist. Premettiamo subito che non è necessario avere forti competenze informatiche o essere in grado di utilizzare complessi software di big data analysis: esistono programmi, fruibili in cloud, nei quali è possibile inserire i dati che si desidera incrociare per poi ricavare perfette infografiche. La capacità sta nel scegliere le basi dati giuste e attendibili e nell’intuizione che può derivare dalla loro analisi. Internet, si sa, è una fonte inesauribile di dati e grazie al fenomeno degli open data (con la disponibilità di quelli delle pubbliche amministrazioni) questa fonte è ulteriormente accresciuta: il data journalism (definito anche giornalismo di precisione) si basa sulla capacità di correlare i diversi database, consentendo al giornalista di delineare propri percorsi di inchiesta basati queste correlazioni.
Passando al complesso tema dell’intelligenza artificiale, nell’articolo Quale lavoro e per quale società? è spiegato molto chiaramente l’impatto che questi algoritmi possono avere sul mondo dell’informazione. Riprendendo alcuni dei temi trattati nell’articolo, riportiamo alcune delle riflessioni proposte dal media strategist Francesco Paulo Marconi, durante l’incontro promosso da Meet the Media Guru in collaborazione con Accenture e Digital360 e nel corso dell’International Journalism Festival di Ferrara.
Secondo Marconi, prima di tutto l’intelligenza artificiale è in grado di prevenire le fake news grazie alla possibilità di utilizzare gli algoritmi per verificare velocemente le informazioni andando ad analizzare una serie di parametri che l’essere umano impiegherebbe moltissimo tempo a verificare.
In secondo luogo, l’utilizzo di tecnologie di intelligenza artificiale (Image Recognition per il riconoscimento di un’immagine attraverso il tag degli elementi contenuti; Facial Recognition ossia la comprensione delle emozioni umane attraverso la mimica facciale; Voice Recognition con l’identificazione di una fake news attraverso la modulazione della voce e del linguaggio; Speech to text per la trascrizione in tempo reale delle parole contenute in un video o pronunciate durante una conversazione o intervista) consentono di automatizzare certe operazioni lasciando maggiore spazio all’investigazione e alla scrittura dell’articolo.
In ogni caso la figura umana rimane fondamentale: “Le macchine non sostituiranno la figura del giornalista, ma consentono di liberare la creatività, condividere storie sempre più coinvolgenti e offrire ai lettori maggiori possibilità di fruizione a seconda della piattaforma di racconto e le modalità con cui si vuole consumare la notizia. La figura del giornalista resta centrale in questo processo di evoluzione”, ha infatti affermato Marconi.
Insomma, siamo ancora lontani da articoli completamente scritti da algoritmi, come dimostra l’esperimento di The Economist durante il quale è stata data in pasto a un algoritmo di intelligenza artificiale una serie di articoli della sezione Scienza e Tecnologia della testata per realizzarne uno ex novo. Visto il risultato di qualità molto scarsa, la risposta alla domanda How soon will computers replace The Economist’s writers? è sicuramente: “Non molto presto”.