Quando si discute di smart city, lo si fa concentrandosi prevalentemente sull’aspetto tecnologico dell’argomento. Sebbene questo punto di vista sia assolutamente condivisibile e centrale, non è certamente sufficiente per capire come le nostre città potranno evolvere in ottica smart.
La tecnologia è infatti necessaria sia per la fase di generazione e raccolta dei dati, sia per quella di analisi. Basti pensare ai sistemi di sensoristica in chiave IoT che dovranno essere installati nelle nostre città per permetterci di raccogliere i dati, così come tutti gli strumenti, anche hardware, che verranno utilizzati per analizzare queste enormi moli di dati.
Per rendere però questi dati realmente utili ed abilitanti per la trasformazione delle città attuali in smart city, il passaggio chiave è come trasformeremo questi dati in informazione. Su questo aspetto la tecnologia è sicuramente di aiuto, ma da sola non può (e non deve) sostituirsi all’uomo.
Progettare questi complessi sistemi, così come analizzare questa enorme mole di dati, per di più eterogenea nel formato dei diversi dati disponibili, richiede competenze nuove, spesso poco presenti all’interno del nostro attuale tessuto sociale.
I Bigdata e la Datascience per lo sviluppo di progetti Smart City saranno discussi nel corso dell’Edizione 2018 di ICITY LAB, che si terrà a Firenze il 17 e il 18 ottobre.Per avere maggiori informazioni e per iscriversi
L’evoluzione verso il mondo delle smart city passa quindi anche attraverso l’evoluzione del set di competenze attualmente disponibili sul mercato. Figure come data scientist e architetti di ecosistemi IoT dovranno diventare sempre più comuni, altrimenti continueremo ad utilizzare i dati estraendo una parte minimale del loro valore, esattamente come avviene ancora oggi.
L’evoluzione delle competenze
Il sistema paese ha cominciato a muoversi in questa direzione, con l’istituzione di alcuni corsi di istruzione superiore dedicati al tema, ma l’offerta è ancora assolutamente insufficiente rispetto alla domanda di questo tipo di competenze. In molti casi, ad oggi, anche all’interno delle aziende la creazione di competenze su questi temi è lasciata più all’iniziativa dei singoli che non affidata a programmi strategici di ampio respiro.
Sebbene questi siano sicuramente dei validi punti di partenza, non sono chiaramente sufficienti a formare le risorse necessarie. E’ necessario iniziare ad instillare nei giovani l’importanza di questo tipo di competenze e mentalità da livelli molto più primari di istruzione, così da permettere poi loro di applicarle in qualunque ambito.
Avere la giusta mentalità riguardo ai dati ed all’analisi è il punto di partenza fondamentale che, affiancato alle giuste competenze, permetterà al nostro paese di evolvere in ottica data-driven, sia per le aziende, sia per le pubbliche amministrazioni.
Alla ricerca delle giuste competenze per far crescere la cultura del dato
Le competenze di base che è necessario sviluppare per iniziare ad estrarre reale valore dai dati sono:
- Competenze statistico/matematiche: sono le competenze fondamentali per capire il funzionamento dei modelli alla base delle applicazioni di machine learning
- Coding e pensiero computazionale: sempre di più un data scientist non può prescindere dal sapere scrivere del codice, così da industrializzare le operazioni da svolgere sui dati e/o espandere il set di strumenti a propria disposizione
- Gestione del dato: saper manipolare i dati non è più sufficiente, è necessario capire come gestire l’intero ciclo di vita del dato, dalla sua generazione (o dal suo ingresso nell’organizzazione) a quando dovrà essere distrutto / archiviato. Questo tipo di competenza e la consapevolezza di cosa deriva dall’utilizzo dei dati deve anche aiutare le persone ad avere un approccio etico all’utilizzo dei dati stessi
- Integrazione: sia per i sistemi hardware che per le applicazioni di analytics la capacità di capire come muoversi all’interno di un eco-sistema diventa una caratteristica sempre più rilevante, che permette di superare i limiti dei singoli elementi per creare una soluzione migliore
Lavorare sulle competenze, nonché sulla cultura del dato, ad ogni livello è la leva più efficace che abbiamo per far evolvere il nostro sistema in ottica realmente data-driven. Fino a quando non saremo in grado di smettere di vedere il dato come uno strumento di controllo o, peggio ancora, come un nostro potenziale sostituto, continueremo ad estrarre solo una parte minimale di valore dai dati a nostra disposizione, impedendo alle nostre città di diventare realmente smart.
*Luca Flecchia è Manager Data Driven Innovation in P4I – Partner4Innovation
Sui temi dell’innovazione per le Smart city suggeriamo la lettura di
Smart City: come l’intelligenza artificiale può rendere più smart le nostre città