Self learning enterprise: come costruire il new normal con l’aiuto dell’AI

Il lockdown ci ha insegnato quanto sia importante aumentare la capacità di ascolto nei confronti di cittadini e consumatori. Per le imprese è sempre più fondamentale far crescere la capacità di conoscenza delle organizzazioni e muoversi verso una vera omnicanalità creando un nuovo rapporto tra mondo fisico e mondo digitale. Vediamo quale ruolo può svolgere l’AI nel confronto con Omar Fogliadini, Founder e Managing Partner di LifeDATA e Luca Flecchia, Data Driven Innovation Practice in P4I

Pubblicato il 07 Lug 2020

data ingestion

Uno degli insegnamenti più importanti che ci arriva dall’emergenza Coronavirus e in generale dalla gestione delle emergenze, riguarda i concetti di ascolto, di comprensione, di interpretazione e di conoscenza. L’emergenza ci ha purtroppo fatto comprendere in modo drammatico quanto sia urgente e prioritario estendere la capacità di ascolto per cogliere e comprendere tutti i segnali che ci circondano. E la lezione che ci arriva ci dice anche che non ci si deve fermare a un ascolto “passivo” ma si deve creare un ecosistema favorevole alla conoscenza nel quale cittadini e consumatori sono da un lato nella condizione di farsi sentire in modo preciso ma sono anche nella condizione di avere risposte in modo sempre più veloce, ordinato e puntuale.

È per questo oggi più che mai necessario interrogarsi su come preparare il new normal sulla base di questi insegnamenti: dobbiamo partire dall’assunto che siamo entrati in una fase di cambiamento epocale in cui la capacità di comprensione e interazione con i clienti e con i partner assume un’importanza determinante e rappresenta un asset strategico che incide in modo sempre più diretto sul business, sulla competitività delle imprese e sulla sua capacità di innovazione. Siamo cioè in una situazione in cui la conoscenza è un asset che permette di comprendere e “sfruttare” al meglio le tante accelerazioni a cui stiamo assistendo. Gli esempi sono numerosi e in particolare tra quelli che ci “consegna” il lockdown troviamo la necessità di gestire la crescita dell’e-commerce, l’organizzazione e la governance dello smart working, gli adempimenti legati al social distancing che accelerano tra l’altro la tendenza già ampiamente in atto verso la ricerca di un nuovo rapporto tra dimensione fisica e dimensione digitale. In questa prospettiva e in questa costruzione di un new normal c’è un ruolo nuovo, molto più importante rispetto al passato, del digitale e dell’Intelligenza Artificiale: si delinea un percorso di innovazione in grado di aumentare la capacità di ascolto, la capacità di trasformare il dato in conoscenza e di rispondere alle esigenze di cittadini e consumatori.  Abbiamo voluto analizzare il ruolo che può svolgere l’AI nella costruzione del prossimo new normal con un confronto con Omar Fogliadini, Founder e Managing Partner di LIFEdata e Luca Flecchia, Data Driven Innovation Practice in P4I  

 

Il lockdown sta trasformando il modo con cui guardiamo ai dati

Secondo Luca Flecchia questa fase della digital transformation ha contribuito ad accelerare la trasformazione del modo in cui ci relazioniamo con i dati. Fino a qualche anno fa erano “collegati” alla presenza in un luogo di lavoro, in un ufficio ed erano associati ai sistemi gestionali delle aziende, ad esempio a fatture, ordini, progetti e si lavoravano con strumenti che fornivano una rappresentazione “numerica”. Il lockdown ha accelerato un processo in corso e tutti noi, oggi più che mai, produciamo in qualunque momento una grandissima quantità di dati, spesso in una maniera più o meno conscia. Pensiamo al ruolo dei social network, dei wearable, degli smartphone, degli assistenti vocali e di tutto il mondo dell’Internet of Things etc. Stiamo assistendo all’accelerazione di un fenomeno che arriva da lontano e che poggia le sue basi su una prima “ondata” di cambiamenti che partita nella metà degli anni ’80 e che ha iniziato a vivere spinte sempre più intense in particolare con l’arrivo del fenomeno big data.  Uno dei settori oggi più impattati dal Covid-19 è proprio quello del lavoro e il suo rapporto con i dati. Un rapporto che con lo Smart working ha vissuto un’impennata. E passare ad uno smart working con questa rapidità richiede non solo l’uso di strumenti digitali, ma anche lo sviluppo di organizzazioni, leadership, modelli particolari e la disponibilità di competenze nuove.

Il tema del “nuovo lavoro” va poi messo in diretta relazione con quello della Customer experience che ha vissuto a sua volta una accelerazione, grazie anche ai trend di crescita dell’eCommerce.

“Un mese di Fase 2: affrontare le sfide con l’Intelligenza artificiale” 

I temi e le prospettive dell’Intelligenza Artificiale per costruire il New norma sono al centro del webinar che ha permesso la realizzazione del confronto con Omar Fogliadini e con Luca Flecchia e che è disponibile in modalità di ondemand.

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Verso una Customer experience sempre più completa

Per quanto sia sempre più fondamentale, solo 1 azienda su 5 secondo Forrester è in grado di garantire una Customer experience ai clienti in modo veramente soddisfacente. Uno degli errori più frequenti è pensare che la Customer experience si possa risolvere nel solo rapporto con il cliente e alla relazione con le sue esigenze. Customer experience vuol dire innovare a livello di supply chain, vuol dire applicare modelli di Machine learning o Artificial intelligence per aumentare la capacità di previsione della domanda e come capacità di aumentare la precisione nella risposta delle supply chain. La Customer experience è un fattore rilevante anche nel momento in cui si progettano e realizzano le misure necessarie a garantire una maggiore sicurezza e livello di business continuity, per affrontare emergenze o situazioni di disruption. Grazie ai dati si può garantire una migliore pianificazione e una migliore flessibilità sulla base delle esigenze degli utenti, ottimizzando ordini e consegne e ottenendo, aspetto non meno importante, una riduzione degli sprechi.

Non possiamo poi dimenticare che sempre di più si devono gestire enormi moli di dati: secondo una stima di IDC pre-Covid i dati, a livello globale, raggiungeranno i 163 ZB e l’analisi di quantità crescenti di dati non è affrontabile oggi con gli strumenti tradizionali: se si vogliono raggiungere i risultati che questi dati sono in grado di abilitare, se si vuole sfruttare il potenziale di conoscenza che possono esprimere, non è più possibile rimandare l’introduzione di sistemi intelligenti che siano in grado di estrarre valore affiancando l’uomo, esonerandolo dalle azioni più ripetitive lasciandogli più tempo per le attività a valore aggiunto, di interpretazione e di decisione.

E verso una AI che mette la persona al centro

Omar Fogliadini, Founder e Managing Partner di LIFEdata

LIFEdata è una startup innovativa che promuove e sviluppa un approccio all’AI basato sulla convinzione che la persona deve essere sempre al centro e che serve creare una prospettiva in cui la conoscenza è un asset primario. In questa prospettiva LIFEdata propone una sua visione del valore che la conoscenza può portare nelle imprese a tutti i livelli, sia interni sia esterni, in chiave di Self Learning Enterprise dove tutti gli attori sono coinvolti e dove si sviluppa una prospettiva che permettere la realizzazione di una vera Omnichannel Customer Experience e proprio su questi temi abbiamo articolato la conversazione con Omar Fogliadini, Founder e Managing Partner di LIFEdata, coinvolgendo in questo confronto anche Luca Flecchia.

Quali sono i fattori chiave: in termini di nuovi bisogni e nuove opportunità che ci consegna il post lockdown? Quali sono le risposte che possono arrivare dai dati e dalla tecnologia? 

Per noi la tecnologia deve ridurre i tempi di risposta, crediamo sia necessario dare una visione alternativa alla classica prospettiva dove la conoscenza dell’azienda spesso è qualcosa di statico e limitato a determinati ambiti. Se vogliamo creare vero valore dobbiamo creare e utilizzare tutta la conoscenza che le aziende e le organizzazioni possono esprimere e dobbiamo orchestrare persone, sistemi e processi, ovvero dobbiamo agire su tutti i livelli in modo coordinato. Per ottenere questo obiettivo è necessario partire oggi dalla conoscenza precisa dei new needs dei customer. Su questo punto di partenza si deve collegare tutto il potenziale dell’azienda di rispondere ai bisogni in un processo di produzione continua di conoscenza per dare vita a un modello di Self learning enterprise.

 

Come LIFEdata utilizzate una espressione molto efficace che parla di knowledge as a service come base per una Intelligent Enterprise. Cosa vuol dire per una organizzazione oggi investire sulla conoscenza e valorizzarla in modalità as a service? 

Il sapere è qualcosa di unico, che distingue un’azienda dall’altra ed è esattamente quello che crea nuove prospettive di sviluppo. Il percorso di conoscenza di un’azienda può essere gestito dalla tecnologia in maniera automatizzata ma ha bisogno di un rapporto innovativo tra AI e persone. Dobbiamo infatti considerare che l’azienda deve essere sempre più orientata al cliente e che l’approccio deve essere sempre più quello del servizio. Siamo convinti che la parola chiave per comprendere il new normal sia nel concetto di “Helping is the new selling”, un tema che esprime molto bene il valore del servizio e che parte dalla necessità di rafforzare le relazioni e di portare il valore della conoscenza aziendale al servizio del cliente.

Luca Flecchia, Data Driven Innovation Practice in P4I

Luca Flecchia concorda: “Helping is the new selling” è effettivamente un paradigma che risponde in modo molto coerente ai new needs, perché oggi i consumatori si aspettano esperienze sempre più ricche, coinvolgenti e complete e hanno bisogno di unicità e di personalizzazione. Avere strumenti intelligenti che generano esperienze personalizzate è un differenziale competitivo ormai indispensabile. Siamo in contesto di mercato in cui gli utenti se lo aspettano e in prospettiva si sentiranno sempre di più anche gli effetti della Consumerization, ovvero della prospensione delle persone a cercare anche sul lavoro le modalità e le esperienze di utilizzo degli strumenti digitali e dei dati che vivono quotidianamente nella loro vita privata.

 

Con il lockdown è “cambiato il mondo” e stanno cambiando tantissimo le esigenze e i comportamenti dei clienti. Quali sono i principali vantaggi per le imprese che investono in Customer Experience e quali sono invece i rischi per quelle che non focalizzano questi aspetti?  

A nostro avviso la Customer Experience dovrebbe essere tradotta più compiutamente come People Experience e non dovrebbe essere legata solo al marketing come spesso ed erroneamente è successo. La People experience è costituita da una componente importante di product experience, dall’analisi dei nostri comportamenti e delle nostre esigenze e non ultimo del nostro grado di soddisfazione. Siamo convinti che il new normal ci dovrebbe portare verso una Customer Experience capace di comprendere davvero tutti gli aspetti in cui si esprime il rapporto tra un’azienda e i suoi clienti, sia in modo diretto sia in forma indiretta.

 

In questi mesi abbiamo visto tante aziende e tante organizzazioni attuare forme di smart working. C’è stata un’accelerazione straordinaria in molti casi senza una programmazione o pianificazione. Il lavoro da remoto è servito per garantire la business continuity ma abbiamo anche visto che dietro allo smart working ci sono grandissime opportunità. Cosa può fare la tecnologia e l’AI in particolare per il “nuovo lavoro”?  

Prima di tutto non dobbiamo dimenticare che anche la Customer Experience incide in modo fondamentale nel conseguimento di obiettivi di business continuity. Dobbiamo avere la consapevolezza che garantire sempre una risposta ai cittadini o ai clienti è una parte rilevante della continuità del business o della continuità dei servizi. Se poi guardiamo al fenomeno smart working e al ruolo che può avere l’AI dobbiamo partire dalla considerazione che il vero valore aggiunto che dobbiamo raggiungere è quella della massimizzazione della conoscenza, con vantaggi che possono essere anche molto rilevanti rispetto alla dispersione di conoscenza che spesso abbiamo conosciuto in contesti di lavoro tradizionale.

Proviamo a fare qualche esempio?

Per farlo occorre schematizzare e semplificare. Immaginiamo che un impiegato tradizionale al produce al giorno 5 Mb di documenti e che per raggiungere questo obiettivo impieghi, a livello di ricerca di informazioni, qualcosa come il 20% del proprio tempo. Se monetizziamo questa componente del lavoro possiamo osservare quali importanti spazi di miglioramento, anche economico, si possono raggiungere, lavorando proprio sugli strumenti che sono al servizio della conoscenza.  In concreto, una corretta applicazione della tecnologia in questo ambito significa migliore produttività e miglior rapporto tra ciascun operatore e gli strumenti di conoscenza (dati) necessari a raggiungere gli obiettivi. Non solo, con la tecnologia si può disporre di un maggior controllo a livello di compliance e di governance della conoscenza.  In questo scenario poi lo Smart working si va a integrare con le logiche di collaboration, in cui una serie di strumenti permettono sia la ricerca e l’accesso ai dati in chiave di multicanalità, sia la condivisione in forme nuove della conoscenza stessa che arriva da questi dati.

Su questo punto Luca Flecchia interviene con una precisazione: Nella definizione delle prospettive sul “Nuovo lavoro” il ruolo dell’AI appare particolarmente importante e nello specifico un ruolo rilevante lo svolgeranno le applicazioni di Natural Language Processing (NLP). Grazie a queste applicazioni emerge la possibilità di interpretare e produrre il linguaggio naturale in modo sempre più preciso e ricco aumentando le possibilità di collaborazione e rendendole più immediate e più accessibili a chiunque. L’altro aspetto chiave dell’AI in relazione allo smart working è rappresentato dalle possibilità di interazione che si possono attuare sfruttando appunto le user experiences che arrivano dal mondo consumer, anche grazie alla possibilità di integrare queste soluzioni sui canali che usano nella vita di tutti i giorni come alexa, whatsapp, messenger. Portare quindi le informazioni reali sul canale che usiamo con maggior facilità, nel momento in cui ci servono. è un aspetto fondamentale che può rendere molto più efficace lo sviluppo di logiche di collaboration.

La comprensione e la gestione del rapporto tra consumatori e informazioni è oggi più che mai aperto. Cosa vuol dire costruire una vera e completa capacità di ascolto? E cosa vuol dire dare vita a una impresa che impara e che serve i propri clienti sulla base di una conoscenza che cresce ogni giorno?  

Il Covid ci ha confermato che l’omnicanalità è un dato di fatto, ragioniamo con logiche che vanno oltre la dicotomia fisico-digitale, noi tutti scegliamo uno o l’altro a seconda dell’utilità e del bisogno. La tecnologia deve essere semplice e conveniente e deve permette di gestire queste scelte. Noi umani puntiamo alla soluzione più conveniente e diretta. La tecnologia ci deve ascoltare, capire e aiutare. Questo è il punto. A nostro avviso la tecnologia dovrebbe rispondere in termini di utilità concreta sui canali di comunicazione e di contatto che già si stanno utilizzando, senza invitare o imporre di aprirne di nuovi. Questo è un passaggio fondamentale della customer centricity. Ma dall’altra parte occorre anche considerare che spesso in azienda permane un coefficiente di interpretazione umana che può distorcere i processi. Occorre saper orchestrare i ruoli e le priorità. La tecnologia può accelerare i processi che permettono di recuperare i dati e di metterli in ordine. Il rapporto con le persone deve permettere di stabilire è gestire le priorità e il consolidamento di una conoscenza aziendale. In altre parole, serve la costruzione di una self learning enterprise in armonia tra persone e Intelligenza artificiale.

Le aziende che hanno scelto di focalizzare il loro impegno sui servizi hanno dimostrato in questa fase una maggiore resilienza (pensiamo a chi ha attuato logiche di service transformation con modelli di servitization) e una maggiore capacità di adattamento. Cosa vuol dire applicare un modello Service First e che ruolo può svolgere l’AI? 

Prendiamo l’esempio dell’eCommerce. Qui si lavora su un catalogo di informazioni strutturate, si mette a disposizione del cliente un set di dati che gli permette di personalizzare acquisti, modalità di raccolta delle informazioni, di pagamento, di delivery etc. Guardiamo invece allo smart working: la maggior parte delle aziende non ha una modalità di fruizione condivisa di conoscenza, e men che meno una modalità e una governance per usufruire di questa conoscenza in ogni momento e su ogni device. La sfida più importante per muoversi in una logica service first è quella di integrare tutte le applicazioni e tutti i canali informativi per fare in modo che la conoscenza sia effettivamente fruibile. È questo un percorso che la crisi ha accelerato.

 

Per Luca Flecchia “siamo davanti a un passaggio culturale nel rapporto tra strumenti digitali e utenti nel senso, ad esempio, che molte delle app che oggi utilizziamo sono concepite per “farci seguire determinati percorsi” e per condurci a determinate scelte. Ma serve fare ben di più, serve portare l’attenzione sulle informazioni di cui l’utente ha bisogno e serve rispettare i percorsi di conoscenza che servono effettivamente agli utenti. In questo l’AI avrà un ruolo fondamentale nel permettere la realizzazione di soluzioni e di app che mettano l’utente al centro”.

Vediamo il ruolo dell’AI in relazione allo sviluppo del business? 

L’AI è uno strumento che si innesta su logiche comuni: si parte dalle nostre relazioni che si basano sulla conoscenza e sulla fiducia. Si costruiscono esperienze, si aumenta il valore della relazione, si crea un’offerta che possa soddisfare i clienti sul mercato. Il tema di fondo è che l’innovazione è imprescindibile e che deve essere totalmente integrata con il valore della conoscenza: si può sopravvivere solo innovando. Noi viviamo in un contesto uomo-macchina, ed è su come viene gestito questo rapporto che si può fare la differenza. La ricerca di un valore aggiunto deve partire dai bisogni delle persone e possiamo arrivare a dire che è l’azienda che deve diventare persona grazie alla capacità di ascolto. L’azienda deve saper ascoltare, capire, interpretare e costruire una esperienza. Siamo poi convinti che sia necessario lavorare in chiave business ready, con la consapevolezza che tutti i percorsi sono costruiti attorno ai dati. Noi come LIFEdata ci poniamo ad esempio nei confronti delle aziende in modo semplice e con un’attenzione speciale al ROI in qualsiasi progetto. 

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