Sono finiti i tempi in cui si alzava una saracinesca e chissà come, chissà da dove, arrivavano i clienti a far crescere il fatturato e girare le scorte a magazzino. Oggi si può e si deve sapere chi è il cliente, quanto tempo impiega a diventare tale, quali sono i suoi interessi e i suoi comportamenti, che valore ha il suo acquisto medio e dopo quanto tempo riacquista da noi. Scopriamo le potenzialità dell’analisi dei dati digitali, attraverso le risposte che può fornire.
Cos’è la web analytics
L’associazione internazionale del settore, Digital Analytics Association (DAA) – ex Web Analytics Association -, definì la web analytics come la misurazione, la raccolta, l’analisi e il reporting dei dati Internet allo scopo di capire e ottimizzare l’utilizzo del Web.
Con lo sviluppo e la diversificazione delle piattaforme digitali, siti web, app, social media, si sono resi disponibili sempre maggiori flussi di dati e il termine web analytics apparve limitato allo studio e alla raccolta di dati esclusivamente da siti web. Così si è passati a riferirsi alla digital analytics per indicare il cambiamento del ruolo di un analista verso la capacità di intrecciare fra loro dati di molteplici sorgenti e canali.
Tuttavia il termine web analytics sembra essere ancora molto diffuso, pertanto useremo alternativamente i due termini, riferendoci con essi all’arte della misurazione, raccolta e analisi dei dati provenienti dalle piattaforme digitali in uso oggi.
La web analytics e i benefici per le aziende
Ogni azienda, indipendentemente dalla sua grandezza e dal suo mercato di riferimento, opera in condizioni di risorse limitate: tempo e spazio, persone, denaro e beni materiali in generale. La capacità di creare valore è strettamente correlata all’ottimizzazione di risorse e processi, che portino sui mercati una Customer value proposition ben progettata per il cliente.
Poter misurare sistematicamente l’utilizzo delle risorse e il raggiungimento degli obiettivi aziendali è sempre stato un must per ogni organizzazione di successo; ed oggi, che il digitale è imprescindibile per ogni business, occorre saperlo fare ad arte, e abbiamo tre buoni motivi per questo:
- possiamo arrivare a conoscere con grande livello di dettaglio cliente, concorrenza, mercati;
- tutte le aziende, dalla più piccola alla più grande, possono accedere a moli di informazioni utili in tempi rapidi, traendo informazioni preziose per costruire strategie di marketing più raffinate che mai;
- tutte le aziende possono accedere gratuitamente a sistemi sofisticati di intelligenza artificiale.
Ad esempio, grazie alla web analytics, possiamo rispondere a numerose domande come: chi è il mio cliente? Perché sceglie me e non la concorrenza? Le mie strategie di crescita vanno nella direzione dei suoi bisogni insoddisfatti e importanti (consapevoli e non)?
Vediamo come basare le decisioni sui dati digitali.
Decisioni basate sui dati online: l’approccio multicanale
Segmenti di clientela e buyer personas
Conoscere a fondo i bisogni del cliente è il punto di partenza per ogni decisione strategica. Partiamo da una prima, importante, distinzione.
Ogni processo di pianificazione strategica si basa in primis sull’individuazione dei segmenti di clientela target: si esaminano i bisogni dei clienti (esistono diverse tecniche, una delle più valide si basa sull’analisi dei jobs to be done), si valutano eventualmente i diversi profitti che tali segmenti possono generare per l’organizzazione, e si distinguono i gruppi diversi di target per l’offerta di valore.
In fase di validazione del modello di business o al principio dell’esecuzione di un modello validato, si può procedere con un ulteriore raffinamento della comprensione del cliente tipo, tratteggiando un vero e proprio identikit della cosiddetta buyer persona (ogni segmento ne ha almeno una), facendo attenzione a quanto segue.
Non sempre cliente e acquirente coincidono con la stessa persona. Questo mancato allineamento di identità è infatti critico sia per la durata del processo di acquisto, determinandone la sua lunghezza, che per la strutturazione dell’offerta e delle campagne marketing.
Tipicamente, ad esempio, il B2B presenta processi di acquisto molto più lunghi rispetto al B2C: in un caso, il responsabile acquisti deve rispettare procedure più o meno normate e interfacciarsi con un numero di decisori variabile a seconda del livello di grandezza dell’organizzazione, prima di procedere con la chiusura del contratto; nell’altro, a seconda della tipologia di prodotto, si possono verificare addirittura tempi decisionali rapidissimi, di cui sono un valido esempio i cosiddetti acquisti d’impulso.
Un altro esempio si verifica nel caso di commercializzazione di prodotti per bambini (segmento target), dove la buyer persona è un genitore, spesso la mamma. È su di lei che si dovranno strutturare le campagne di vendita, sebbene l’offerta sia disegnata per i bisogni del bambino.
Customer journey
Ognuno di noi segue, con frequenza quotidiana e in maniera più o meno consapevole, un percorso multicanale, fra punti di contatto (touch points) misti, online e offline, prima di arrivare alla conoscenza e infine alla sperimentazione di un brand.
In modo molto semplificato potrebbe accadere questo.
Potrei leggere un annuncio pubblicitario sul quotidiano nazionale che mi informa dell’attivazione di un nuovo servizio nella mia città, poi potrei chiedere ai miei manager di visitare il sito web dell’azienda fornitrice per avere maggiori informazioni e capire se davvero quel servizio fa al caso nostro; un pop up avverte della possibilità di ottenere promozioni riservate ai nuovi clienti, semplicemente compilando un form dei contatti. Compilato il form, i manager ricevono una mail contenente una brochure corporate che mi offre maggiori informazioni su azienda e servizi offerti. Contattano l’ufficio commerciale del fornitore per organizzare un incontro ed ottenere un preventivo personalizzato e, dopo qualche tempo concludono l’acquisto. Grazie a un’app scaricata su apparecchi smart, intrattengono una relazione post vendita con il nuovo fornitore.
Quotidiano, sito web, mail, incontro, app, sono tutti punti di contatto di un personale customer journey verso il nuovo fornitore di servizi.
Un team, o un’agenzia, di marketing ha il compito di individuare i touch point delle buyer persona individuate, effettuando una vera e propria mappatura del percorso seguito, mentre quell’acquirente evolve nel tempo da lead (nuovo contatto generato), a prospect (cliente potenziale), a cliente effettivo (almeno un acquisto effettuato).
La finalità di una corretta mappatura è capire quali sono i bisogni del cliente dal punto di vista del cliente stesso, per soddisfarli al meglio e piazzare strategicamente i messaggi più coerenti nella forma e nel punto esatto in cui il cliente vuole essere trovato nelle varie fasi del tragitto.
Esistono vari tipi di customer journey, c’è un’ampia letteratura in merito per chi volesse approfondire. Ai nostri fini, interessa sapere che ne esiste più d’uno, per diversi scopi di business e con diversi focus, ad esempio: per il miglioramento continuo del customer journey (giacché cambia con il tempo), per l’individuazione dei bisogni insoddisfatti (anche inconsapevoli), per la focalizzazione sui motivi di base da cui dipende la scelta del cliente e da cui sviluppare futuri cambiamenti desiderati.
Funnel di marketing
Come inviare il messaggio più giusto, nel momento giusto e sul canale più adatto? Occorre considerare il cosiddetto funnel di marketing, ossia le varie fasi di crescente importanza nel livello di interesse di una persona verso un brand. Ne abbiamo parlato in questo articolo.
Fatte queste premesse introduttive, possiamo chiederci quali decisioni possiamo oggi basare sulle statistiche digitali dei siti web istituzionali, degli e-commerce aziendali, delle campagne marketing online, o dei canali social, monitorati a dovere.
Le fonti del traffico online
Motori di ricerca
Quando le persone cercano qualcosa di loro interesse digitano domande (query) sui motori di ricerca, con finalità diverse. Prevalentemente si distinguono tre grandi classi di query: a scopi informativi, con o senza intenzione d’acquisto, inserendo o meno un brand nella domanda (ad es., registrazione marchi Camera di commercio Roma). Queste danno origine a due tipi di risultati all’interno delle pagine che li mostrano (SERP): risultati da ricerche organiche, se le risposte più rilevanti per un dato quesito appaiono senza che per quel contenuto sia stato pagato un annuncio pubblicitario, ovvero, nel caso opposto, risultati da annunci a pagamento.
Nel primo caso occorre lavorare di SEO (ottimizzazione dei motori di ricerca), cioè piazzare bene le più interessanti parole chiave per la nostra strategia, affinché i nostri potenziali clienti ci trovino in vetta ai risultati della SERP e le ricerche generino traffico (visite) sulle nostre piattaforme (siti web, landing pages, ecc.).
Specularmente, possiamo sfruttare i motori di ricerca per analizzare il mercato ed effettuare, ad esempio:
- analisi della concorrenza (chi sono i maggiori competitor online, su quali parole chiave sono meglio posizionati, ecc.)
- individuazione di potenziali partner
- valutazioni per l’internazionalizzazione d’impresa
Se, invece, paghiamo per pubblicare un annuncio e portare traffico sulle nostre pagine di destinazione, allora si parla di SEM (marketing dei motori di ricerca).
Acquistare annunci pubblicitari sui motori di ricerca, vuol dire partecipare ad un’asta online, dove il miglior offerente si piazza nelle posizioni migliori, le più visibili. L’inserzionista che, a parità di offerta, offre la maggiore pertinenza alla domanda dell’utente (cioè descrive più efficacemente di altri i propri prodotti o servizi) viene privilegiato. Quando si parla di pubblicità online sono tre i fattori di rilievo: pertinenza, traffico e concorrenza. Tutti monitorabili da appositi strumenti di analisi delle parole chiave che consentono di evitare lo spreco di risorse finanziarie.
Social media
Anche i social media sono un grande portale di comunicazione e attrazione del pubblico, per quanto oggi il traffico organico su di essi sia pressoché azzerato, se ben gestiti, consentono di perseguire vantaggi complementari a quelli ottenibili ricorrendo alla sola analisi del traffico da motori di ricerca.
Ad esempio, consentono di avere visibilità del sentiment del pubblico, perché si configurano come veri e propri luoghi di dialogo con i seguaci di un brand (e pure con i suoi detrattori), e i parametri di qualità devono sempre affiancare i dati quantitativi, se si vogliono produrre reportistiche complete e maggiormente “parlanti”.
Sono potentissimi mezzi di comunicazione per le campagne pubblicitarie, sia per la grande varietà di strumenti creativi offerti, sia perché sono retti da motori di intelligenza artificiale che consentono di targettizzare pubblici altamente personalizzati.
Anche qui si parla di aste online, anche qui bando agli sprechi di risorse finanziarie e agli investimenti in comunicazione di cui è molto difficile misurarne il ritorno.
Il grande vantaggio della pubblicità digitale sta proprio nella possibilità di intercettare solo chi realmente interessato all’annuncio e tracciarne i comportamenti, aprendo la strada allo sviluppo di ulteriori possibilità relazionali con nuovi clienti, e spendendo solo se l’annuncio desta interesse, ossia se si ottiene un click.
Quando investi in cartellonistica stradale, o in volantinaggio, infatti, non puoi sapere la portata della copertura di quell’annuncio in una data località e per tutto il periodo in cui è esposto, non puoi sapere quante persone hanno visionato l’annuncio, quante di queste hanno poi acquistato il prodotto pubblicizzato o magari altri prodotti correlati. Spendi per affiggere un manifesto, o distribuire volantini, e non ne conosci la resa effettiva in termini di brand awareness e fatturato. In alcuni casi, è possibile addirittura il rischio di raggiungere una sovraesposizione indesiderata del brand.
Email e sms
Un altro modo di portare traffico sui portali aziendali è raggiungere il cliente attraverso attività di email marketing, o in quanto persone tesserate a programmi di fidelizzazione al brand, o perché iscritte a newsletter aziendali. Esiste anche la possibilità di acquistare i nominativi per questa attività, con il consenso più o meno consapevole delle persone, ma consigliamo vivamente di evitarlo, non solo in virtù del GDPR in vigore in Europa, che da solo basterebbe a farne passare la voglia, ma anche per l’inevitabile percezione negativa che lo spamming creerebbe sul brand.
Più recentemente si sono diffuse anche piattaforme per l’invio di messaggi informativi via sms, in tal caso si parla di sms marketing. Gli sms in taluni casi si rivelano molto più efficaci delle email, per via dei loro maggiori tassi di apertura (lettura): raggiungono il cliente direttamente sul cellulare, non si perdono fra altre decine di mail giornaliere, e possono essere arricchiti con landing pages che rendano i messaggi più efficaci.
Molti sono i sistemi con cui attuare questo tipo di invii, integrabili anche con siti web, ecommerce, o tessere di fidelizzazione, al fine di comunicare ai clienti novità e promozioni in corso, o per incentivare le cosiddette azioni di recupero carrelli abbandonati e stimolare l’utente a completare l’acquisto. Più in generale, si parla di attuare iniziative di marketing automation su segmenti di clienti profilati.
Anche in questo caso esiste la possibilità di misurare i rendimenti delle campagne inviate, in quanto ogni software è dotato di un proprio sistema di tracciamento degli analytics, che consente di sapere:
- chi ha letto il messaggio e a cosa era interessato (dove ha cliccato al suo interno),
- chi non ha letto,
- chi ha letto e poi eliminato il messaggio,
- chi, a seguito dell’apertura, manifesta disinteresse e si disiscrive dall’elenco.
Altri siti web
Un breve cenno merita il traffico generato da altri siti presenti sul web che puntano al nostro. Internet è infatti una rete di oggetti/soggetti collegati e interagenti fra loro. Esattamente come accade nel mondo reale quando un negozio di abbigliamento ti indirizza verso una brava sarta, o un hotel ti consiglia un buon ristorante, la stessa cosa può accadere nel web. Infatti, tecniche di link building fanno sì che, ad esempio, il sito web di un travel blogger parli di un delizioso B&B vicino al mare in una famosa località di vacanza, oppure, che una rivista specializzata in logistica parli di un’azienda che attua innovativi sistemi stoccaggio. Questo tipo di traffico verso il nostro sito va gestito con estrema competenza, perché i motori di ricerca dettano regole stringenti in merito ed occorre evitare indesiderate penalizzazioni.
Principali strumenti gratuiti di analisi digitale
Compreso che il digitale impone un approccio multicanale, comprese le fonti principali del traffico online, vediamo a quali strumenti ricorrere per le analisi web.
Search Console
Prima fra tutti citiamo la Search Console di Google: collegata al sito web aziendale consente di monitorare le prestazioni del sito stesso nel motore di ricerca più utilizzato al mondo (e l’Italia non fa eccezione) e come Google vede il sito.
Possiamo scoprire:
- quali sono le ricerche più comuni che portano utenti sul sito
- quali siti rimandano al tuo
- quanto è utilizzabile il sito da mobile (fattore notevolmente critico per la competitività oggi per via della crescente mole di ricerche che vengono effettuate da smartphone) e con quali correzioni intervenire
- rapporti di scansione, di indicizzazione, ecc.
Google Analytics
Strumento di analisi dei dati di una landing page, di un sito web o di un ecommerce tanto più potente quanto più integrato con gli altri strumenti di monitoraggio e analisi di Google (come la appena citata Search Console, ma anche Tag Manager, ecc.).
Grazie ad Analytics possiamo fissare gli obiettivi che diamo al sito e dare un valore alle visite che le azioni di marketing generano, misurare il grado di raggiungimento degli obiettivi, trarre indicazioni per interventi di miglioramento rispetto agli obiettivi da raggiungere, rispetto al posizionamento desiderato, segmentare l’utenza e la clientela, intrecciare i dati provenienti dai social e dalle campagne di advertising.
Google Forms
Ecco un altro strumento di Big G utilissimo per effettuare indagini di mercato quali-quantitative. Offre la possibilità di inviare per email a clienti, o divulgare attraverso i social ad esempio, questionari di gradimento ed ottenere in tempo reale diagrammi sintetici di vario tipo in base alle risposte ottenute. La particolarità è l’estrema facilità di utilizzo e la possibilità di effettuare sondaggi anche in forma anonima.
Facebook Analytics
Strumento di monitoraggio e reportistica offerto dal social di Menlo Park. Non avvantaggiarsi dell’intelligenza artificiale di Facebook è uno spreco. Non solo perché puoi coordinare e misurare azioni di marketing integrate fra quattro dei maggiori player del digitale: Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp.
Il punto di forza di Facebook Analytics rispetto agli Analytics di Google è che il suo sistema di tracciamento dei risultati è basato sulle persone e non sui cookie. Quindi riesce a tracciare con maggiore precisione gli eventi cross-device, cioè i passaggi online effettuati con più dispositivi prima di concludere una azione (acquisto, iscrizione a newsletter, ecc.).
Per quanto sinteticamente raccontato fin qui, le possibilità di tracciamento e misurazione dei dati grazie al digitale sono numerosissime. Per rendere ancora più chiara l’ampiezza delle decisioni che possono essere supportate dai digital analytics, riportiamo di seguito alcune domande a cui è possibile dare risposte precise e personalizzate.
A quali domande è possibile rispondere grazie alla web analytics
Per procedere con le analisi basate sugli strumenti di cui sopra, vanno installati sui propri siti appositi codici di monitoraggio degli analytics (il codice di Google Analytics e il pixel di Facebook). Possiamo misurare, raccogliere e analizzare i comportamenti del pubblico rispondendo a domande come:
- quali i dati demografici degli utenti (età, genere, localizzazione)?
- quali i dati demografici dei clienti che generano maggiori ricavi?
- quanto tempo impiega un cliente a diventare tale (dopo il primo touch point)?
- quale percorso ha portato a comprare (o a non comprare) un utente?
- quali interessi/comportamenti segue un utente?
- quali pagine o contenuti del sito generano clienti paganti?
- quali contenuti non funzionano?
- quali canali sono stati più redditizi? (dall’analisi delle condivisioni social, si può perfino arrivare a capire che il passaparola è stato il canale più rilevante per il raggiungimento di un dato obiettivo)
- quanti visitatori organici diventano clienti? quanti da sponsorizzazioni?
- quali ricavi ottengo per utente pagante?
- quale il numero di acquisti effettuati in un dato intervallo di tempo in media da ciascun utente?
- quale il valore medio di un acquisto?
- dopo quanto tempo un cliente torna a comprare?
- quali ricavi generati dagli utenti che hanno seguito il canale Instagram?
- qual è il territorio (Paese, città) più redditizio?
- quale fatturato dalle donne di una determinata città?
- quali canali usano di più i clienti più redditizi?
- l’obiettivo in termini di nuovi clienti in un certo periodo è stato raggiunto? Se non del tutto, quali elementi sono stati di intralcio?
- l’obiettivo di migliorare i margini è stato raggiunto? In che misura?
Questi sono solo alcuni dei quesiti che trovano risposta interrogando le strumentazioni di analisi digitale.
Ricordiamoci sempre però che:
- digitale e offline sono facce di una stessa medaglia,
- la qualità del traffico è più importante della quantità di traffico,
- i dati senza interventi non aiutano nessuno.