La SIAE, la società che tutela i diritti degli autori e degli editori, ha adottato la blockchain, in particolare gli NFT (Non Fungible Token) per gestire i numerosissimi contenuti dei suoi circa 95mila iscritti. Ecco come funziona il sistema che tutela il diritto d’autore.
Come funziona la blockchain nella protezione del diritto d’autore
La blockchain funziona in modo diverso dai DRM dell’editoria elettronica. Lì, informazioni vengono applicate all’oggetto in cui l’opera viene resa fruibile. Con la blockchain, invece, un autore che vuole provare che un’opera dell’ingegno è sua, non memorizza l’opera nella catena di blocchi. Piuttosto, l’autore registra un hash (una stringa univoca crittografata di lettere e numeri) che identifica in modo univoco l’opera dell’ingegno, consente la verifica dell’autore e fornisce la prova che l’opera dell’ingegno esisteva in un dato momento, ma lo fa senza rivelarne il contenuto. In altri termini, la tecnologia blockchain può aiutare nella creazione di un registro di diritti d’autore e diritti connessi, in quanto può facilmente fornire prove del momento della creazione, informazioni sulla gestione dei diritti.
Di questo, con lungimiranza, si è accorta la SIAE. Pur essendo la blockchain sinonimo di disintermediazione, la SIAE, che è un intermediario istituzionale, ha deciso di promuoverla. Lo ha fatto in partnership con Algorand, la società statunitense fondata dall’italiano Silvio Micali, professore presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) e vincitore del Premio Turing.
Algorand ha creato una piattaforma blockchain open source che si presta ad applicazioni in vari ambiti, compreso quello finanziario e che si fonda sul cd. proof of stake, dove l’algoritmo di consenso che permette di convalidare un nuovo blocco e aggiungerlo alla “catena di blocchi” altrimenti detta blockchain non è gestito da un miner (cioè un singolo hardware o data center con immense risorse computazionali) come accade per Bitcoin, ma mediante l’impiego di un sistema di selezione randomizzata di tanti hardware (nodi) possessori di “token non fungibili” (NFT) della Algorand.
Un po’ come succede con le azioni (titoli rappresentativi di una quota di proprietà di una società, suscettibili di circolazione secondo la disciplina dei titoli di credito), anche gli NFT incorporano un diritto; però lo fanno digitalmente, e possono circolare mediante transazioni che avvengono direttamente nella blockchain.
Il progetto SIAE-Algorand
Secondo notizie di stampa, la prima tappa del progetto SIAE-Algorand ha visto la creazione del database dove i singoli diritti d’autore e diritti connessi intermediati dalla SIAE sono registrati sotto forma di NFT e abbinati ad account corrispondenti ai 95mila autori ad essa iscritti.
Nell’immediato, la nuova soluzione verrà usata per i diritti connessi alle opere musicali (come i diritti degli studi di registrazione sui master); in prospettiva, si allargherà anche agli altri diritti, e sarà a disposizione di autori meno coinvolti nella digitalizzazione delle opere come pittori, scenografi, ecc.
La SIAE ha capito che la blockchain può essere l’equivalente di quel registro dei diritti gravanti sulle opere che non è mai esistito. Tuttavia, quello di Algorand sarà un registro decentralizzato, utile sia a chi dovendo usare opere altrui deve capire a chi rivolgersi per le licenze, sia agli autori, perché l’uso degli NFT, specialmente quando sarà agganciato alla gestione diretta dei compensi tramite l’euro digitale, permetterà loro di occuparsi personalmente della cessione dei loro diritti e perfino della riscossione dei pagamenti.
Quando nei prossimi anni questo sarà a regime, la SIAE lascerà autonomia agli autori nella gestione dei loro diritti, concentrandosi sul fornire assistenza all’infrastruttura blockchain, ad esempio in modo da renderla pienamente usabile anche per opere non digitalizzate (ad es. libri, dipinti) e da fornire il necessario coordinamento di servizio, dalla verifica sulle informazioni alla messa a punto di condizioni di concessione delle licenze, dalla gestione dei diritti alla riscossione dei compensi. Una prospettiva molto interessante.
Diritto d’autore e diritto del lavoro
Qualcosa lega il diritto d’autore al diritto del lavoro; senza il secondo, i lavoratori sarebbero sfruttati e non avrebbero tutele; senza il primo, chi crea e chi interpreta si vedrebbe impunemente saccheggiate le creazioni e le esecuzioni da chi le sfrutta in modo diretto, commercializzandole, o in modo indiretto, usandole per attirare pubblico e quindi investimenti pubblicitari, o anche soltanto da chi vuole godersele da consumatore di cultura, musica e spettacolo senza pagare nulla.
Quando da utenti pensiamo a un’opera dell’ingegno (una canzone, un balletto, un film, un dipinto, una scultura) siamo portati a sottovalutare quanti sono i diritti che vertono su di essa, e quanti i titolari di diritti che andrebbero remunerati per i vari sfruttamenti economici e riutilizzi commerciali di quelle opere.
Forse, ci viene in mente che chi vuole sfruttare imprenditorialmente un album di canzoni di un cantante deve pagare chi ha i diritti allo sfruttamento economico di quell’album (ad esempio, la casa discografica). Però, spesso non consideriamo che possono esserci diritti diversi (sulla musica, sul testo, sull’interpretazione) e che ci sono attività affini alla produzione artistica che ne garantiscono la riproduzione e la diffusione. Sulla registrazione dell’interpretazione di un cantante, fatta in studio, ci sarà il diritto d’autore sul master (dell’autore e/o dell’editore musicale) e i diritti connessi (dello studio).
La copia digitale
E possiamo sottovalutare anche altri aspetti. Se copiamo l’immagine digitale di una scultura per dare forza comunicativa a un sito web che ci serve per la nostra attività d’impresa, rischiamo di dimenticare che ci sono due opere: la scultura, sulla quale ha diritto d’autore lo scultore, e la fotografia, su cui ha diritti il fotografo.
Sintetizzando, ogni volta che vogliamo sfruttare le potenzialità del digitale per riutilizzare nella nostra attività imprenditoriale, professionale o anche artistica opere che possono sembrarci “pubbliche” e disponibili, dovremmo preoccuparci di capire quali e quanti diritti vertono su quelle opere, e di individuare chi li detiene attualmente. Infatti, i diritti sono oggetto di trattative, di successione in caso di morte, di contenziosi, ecc. e non è detto che titolare del diritto sia il primo che ci viene in mente pensando all’opera dell’ingegno. Purtroppo, le possibilità di copia offerte dal digitale favoriscono infinite varianti di usi illegittimi di opere fruibili sul web, dalla pirateria intenzionale a riproduzioni non consentite.
Specie in ambiti come quello discografico e cinematografico la dinamica di creazione, produzione e circolazione vede più passaggi e più protagonisti. Lì, sarebbe ottimale avere un unico grande registro, tarato sulle opere, analitico, sempre aggiornato ai passaggi di diritti, consultabile da tutti. Tuttavia, non è così, nel senso che non esistono registri pubblici con informazioni complete sulle opere protette.
La legge 633/1941
Piuttosto, abbiamo una norma della legge 633/1941 e successive modifiche (“legge d’autore”), che ha recepito il sistema DRM (Digital Rights Management) tipico dell’editoria elettronica. Secondo l’art. 102-quinquies della legge d’autore, informazioni elettroniche sul regime dei diritti possono essere inserite dai titolari di diritti d’autore e di diritti connessi sulle opere o sui materiali protetti o possono essere fatte apparire nella comunicazione al pubblico degli stessi. Le informazioni elettroniche sul regime dei diritti identificano l’opera o il materiale protetto, nonché l’autore o qualsiasi altro titolare dei diritti. Queste informazioni possono contenere la licenza d’uso, nonché un codice identificativo o altra misura tecnica di protezione del supporto (CD, DVD, ecc.).
L’abusiva violazione di queste misure o l’alterazione di queste informazioni elettroniche costituisce reato. Per di più, ai sensi del D.lgs. 231/2001, espone a responsabilità amministrativa d’impresa e a sanzioni anche pesanti l’ente cui appartiene l’individuo che lo ha commesso, naturalmente se il reato è avvenuto nell’interesse o a vantaggio dell’ente medesimo. Insomma, per le opere su supporto elettronico un sistema legale di deterrenza c’è. Tuttavia – quando i contenuti sono caricati in rete – chiunque può scaricarli, farne copia e farla circolare, eludendo facilmente questa barriera. L’inserimento delle misure di protezione sulle opere in formato digitale non basta a contenere gli abusi.
Le piattaforme di User Generated Contents
Le piattaforme di UGC (User Generated Contents), che permettono agli utenti di caricare contenuti che potrebbero essere (e spessissimo sono) oggetto di diritti d’autore altrui, una soluzione la hanno trovata. Tramite il sistema Content-ID, YouTube permette al titolare dei diritti di bloccare la visione di un video caricato senza il suo permesso, o di monetizzare il video pubblicando annunci; talvolta condividendo le entrate con chi ha caricato il video. Quando riceve segnalazioni, YouTube esamina i video caricati e li confronta con un database di file che ha ricevuto dai titolari di diritti d’autore che sono riusciti a dimostrare che hanno diritti esclusivi. Non tutti, però, possono risolvere il problema come fa Google con YouTube.
Per tutti quelli che non hanno modelli di business e i mezzi tali da costruire un meccanismo flessibile come quello di YouTube e che tuttavia hanno interesse a sfruttare opere altrui, la via maestra è rivolgersi alla SIAE e chiedere una licenza. La SIAE è un ente pubblico a base associativa, strutturato come società di gestione collettiva senza scopo di lucro, che svolge da intermediario nel rilascio delle licenze e nella riscossione dei diritti patrimoniali per conto degli autori che scelgono di aderirvi o di conferirle mandato. Certo, il rivolgersi alla SIAE comporta una serie di passaggi amministrativi, talvolta percepiti come lunghi.
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