Blockchain: come realizzare microprogetti in campo alimentare

Spesso sono proprio le aziende agroalimentari più piccole ad avere maggiore bisogno di “comunicare” la propria eccellenza e la particolare congiuntura economica, assieme alle nuove tendenze green, eco e bio dei consumatori rischiano di far perdere molte occasioni. Ecco allora l’idea dei microprogetti

Pubblicato il 04 Nov 2020

Simone Moncini

Solution Representative-Brand Specialist: Data and AI Portfolio distaccato c/o Computer Gross (IBM Business Partner) - Channel Coach

blockchain agroalimentare

Tutto o niente? Parlando di blockchain applicata a una filiera alimentare la tendenza è quella di mettere a disposizione della GDO e/o del consumatore il maggior numero di elementi possibili, andando a cercare di aumentare la “certificazione” dei dati, ricorrendo a enti esterni o a sistemi di cosiddetto hyper trust come i dati provenienti da sistemi IoT. Nulla da eccepire, anzi, questo approccio è auspicabile, ma spesso l’altra faccia della stessa medaglia è la complessità che si va creare, l’impossibilità o la difficoltà nel reperire tutti i dati, i costi non proporzionati ai benefici attesi o i costi non sostenibili da aziende medio piccole. E il risultato è un “no go” al progetto: “niente”. Ecco allora che sempre più spesso stiamo assistendo al varo di microprogetti blockchain in campo agroalimentare.

Due presupposti di partenza

Il primo presupposto, e diversi articoli apparsi su blockchain4innovation lo hanno ampliamente messo in risalto, è che per quanto riguarda la filiera alimentare le aziende ricorrono quasi sempre a Public Permissioned Ledger: questo si traduce nel fatto che le informazioni a cui il consumatore accede tramite ad esempio un QRC stampato sul prodotto è di fatto notarizzato (esistenza da una certa data, immutabilità…) dalla tecnologia, ma non certificato. Un prodotto non è certificato bio o dop perché questo dato risulta su una Distributed Ledger Technology.

Nasce allora la necessità di assicurare il consumatore che il dato notarizzato sulla DLT sia anche corrispondente al vero e qui le tecniche usate dai singoli sono state le più svariate anche se la possibilità di frode in fondo rimane.

Certificare che una carne è stata ottenuta da animali a cui non sono stati somministrati antibiotici può essere una semplice autodichiarazione legata al lotto, può essere certificata da un ente esterno che rilascia un attestato all’allevatore che non utilizza questo tipo di trattamento e quindi legata a tutti i lotti per 1 anno, può essere certificata da ripetuti attestati di un veterinario che fa controlli settimanali e che lega le sue attestazioni a un numero ristretto di lotti a così via.

Il processo di hypertrust inserisce costi spesso inaccettabili per una piccola-media azienda.

Il secondo presupposto è che, a differenza di quanto accade in altre nazioni, in Italia la tracciatura del lotto è da tempo ben regolamentata ed è entrata a far parte del DNA delle aziende alimentari italiane: non è possibile “vendere” a queste aziende una soluzione blockchain per… tracciare il lotto nella filiera, si deve dare molto di più. A volte, spesso, una piccola-media azienda non ha la forza per imporre alla propria filiera variazioni nei processi o nella raccolta dati utili ad avere “quel qualcosa in più”.

Uniamo questi due elementi e avremo una barriera d’ingresso abbastanza alta da bloccare sul nascere almeno l’80% dei progetti. È però vero che spesso sono proprio le aziende agroalimentari più piccole ad avere maggior bisogno di “comunicare” la propria eccellenza e la particolare congiuntura economica assieme alle nuove tendenze green, eco, bio dei consumatori ci pongono di fronte a un’impressionante serie di occasioni perdute. Ecco il perché dei microprogetti blockchain in campo agroalimentare.

Perché la micro-blockchain nell’agroalimentare può essere un’alternativa

Un’azienda che vuole trasmettere all’esterno, alla GDO, ai consumatori, a un altro operatore della filiera un messaggio che ritiene vitale per se stessa non può rinunciare per le difficoltà che abbiamo descritto sopra e quindi, anche se i puristi possono storcere il naso, si parte con microprogetti.

Nasce così una blockchain che notarizza tutti i dati solo di una parte della filiera, oppure progetti che coprono solamente l’origine e non tutti i processi di lavorazione o viceversa una particolare lavorazione senza il dettaglio dei passaggi iniziali della filiera o anche solo la documentazione bio o l’eticità del trattamento dei lavoratori o la sostenibilità della filiera e così via.

Il microprogetto di blockchain realizza quello che viene comunemente chiamato “fact telling” rispetto a un più completo “story (and fact) telling”.

Se il fine era la fidelizzazione del cliente o l’apertura di un nuovo mercato si ha comunque un ottimo successo andando a operare “chirugicamente”, il messaggio di fiducia e di trasparenza passano perché il marketing ha spesso perfettamente individuato il punto debole della comunicazione e lo va a rimuovere con la notarizzazione delle sole info necessarie.

Un’altra caratteristica che stiamo vedendo come determinante nei microprogetti è l’utilizzo di piattaforme e semilavorati di mercato: si tratta di cambiare il paradigma da “creo una blockchain partendo da zero o quasi” a “fai l’on boarding su un template agrifood” e questo porta due grandi vantaggi:

  1. velocità di realizzazione (settimane, spesso 4 o 5) e costi ridotti con conseguente abbattimento della barriera d’ingresso, economica e di complessità, per piccole e medie aziende;
  2. network di blockchain che favoriscono la creazione di cluster di prodotti o veri e propri ecosistemi produttivi.

Ecco i vantaggi di un microprogetto blockchain in campo agroalimentare.

Una serie di esempi pratici di blockchain nell’agroalimentare

C’è il caso di Molitoria Umbra, uno dei partecipanti all’Umbria Food Cluster che produce, ovviamente, semola: stando alle premesse non avrebbe mai dovuto/potuto mettere i suoi dati su una DLT perché troppo piccola, perché con disponibilità di dati limitati, perché brand non conosciuto dal consumer, ecc. ma lo ha fatto ugualmente. Ha fatto un microprogetto blockchain utilizzando una nota piattaforma permissioned di mercato e ha ottenuto in poche settimane risultati incredibili, compresa l’apertura di un nuovo mercato in Canada dove cercavano proprio una semola “sotto” blockchain, rendendo inoltre disponibili i suoi dati ad altre DLT.

C’è il caso della prima pizzeria gourmet di Firenze che ha deciso, pur avendo dimensioni piccole e pur non avendo la possibilità di notarizzare tutti i dati di tutti gli ingredienti utilizzati, di fare un microprogetto blockchain utilizzando una nota piattaforma permissioned di mercato e andando a comunicare con un “fact-telling” efficacissimo la provenienza dei principali ingredienti usati e legando la propria DLT, guarda caso, alla molitoria di cui sopra creando le basi di un piccolo network di DLT. Tra meno di un mese potremo mangiare la prima pizza … con QRcode!

C’è il caso, questo ancora in fase di pilot, di un’azienda che commercializza pesce surgelato, una piccola azienda che non ha a disposizione capitali da poter investire in una blockchain completa, non può certo paragonarsi alla Bolton che recentemente ha annunciato il progetto con IBM su una marca di tonno molto popolare, che porterà il consumatore a conoscere dettagli sulla zona di pesca, la modalità, il tipo di tonno e persino il nome della barca. Questa azienda non ha ovviamente la forza commerciale per imporre alla sua filiera metodi hyper trust sulla raccolta e la distribuzione di dati. Anziché rinunciare hanno deciso di notarizzare su DLT quello che possono “garantire” ed è nato un microprogetto blockchain totalmente orientata alla catena del freddo: per questa azienda, per differenziarsi dai propri competitor, era determinante comunicare questo aspetto ed è nato quello che potremo ancora definire come un progetto micro blockchain, ancora su piattaforma di mercato permissioned.

La stessa cosa che è stata fatta negli Stati Uniti dalla Golden State Food per la carne con IBM Food Trust.

Conclusioni

Stiamo assistendo a una maturazione delle aziende, soprattutto medio-piccole, nella comprensione del “mezzo” blockchain come canale di comunicazione verso clienti, fornitori e GDO. Questo porta a superare quei limiti, corretti, anzi ineccepibili sotto certi punti di vista, ma che spesso bloccano sul nascere le idee: oggi è possibile avvicinarsi a questa tecnologia anche a piccoli passi che non vuol dire, come nel passato che “si mettono sotto” blockchain solo 10 stock unit su 1000 o 10.000, ma vuol dire che un progetto si può fare anche andando a coprire solo una parte della filiera o della produzione.

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