La storia economica, come noto, è plasmata dagli strumenti del momento in cui si attua e la tecnologia è da sempre la miccia che innesca un nuovo “sistema economico”. In assenza di innovazioni tecnologiche il mondo procede con un andamento lineare e i suoi paradigmi economici, che sono strettamente e inevitabilmente legati a doppio filo con la struttura sociale in cui operano, permangono inalterati.
Volendo fissare il “punto zero” del nostro romanzo tecnologico, forse è l’invenzione della ruota che rappresenta l’incipit; più avanti la lavorazione del ferro, l’uso della scrittura, e così via hanno rappresentato la prima pagina degli innumerevoli capitoli di ciò che è avvenuto nel nostro passato. Con l’invenzione della blockchain è iniziato il più recente di questi capitoli, quello della nostra storia economica a venire, quello che ci apprestiamo a scrivere.
Come ripetuto ormai tante volte, le applicazioni di questa dirompente e recentissima tecnologia saranno molteplici e adottabili in moltissimi campi, alcuni dei quali possiamo già immaginarli, altri non ancora.
Partiamo dalle parole di Jeremy Allaire, cofondatore e CEO della società di pagamenti Circle che, alla MoneyConf di Dublino del 2018, ha dichiarato: «Once you have an open global immutable record-keeping system, [a] transaction-processing system and [a] secure computing environment, you can re-conceptualize on a global basis every aspect of finance… corporate and commercial law, the intermediation of contracts, [and] crucially all of the systems we use in [both corporate and civic] decision making».
Un percorso verso la tokenizzazione
Assumendo la sua vision, possiamo ipotizzare che uno degli scenari generati dalla tecnologia blockchain sarà quello di una società tokenizzata in cui «ogni forma di archiviazione di valore e registrazione pubblica può diventare una criptazione-token» che può riferirsi a un mercato fluttuante e altresì essere oggetto di permuta su scambi digitali globali.
Ma facciamo un passo indietro. Oggi il nostro sistema ruota intorno al possesso di “beni” e di “servizi” nel senso più lato; tramite l’emissione di un certificato, apprezzabile dagli enti autorevoli, dunque tutelabile in termini di diritto, viene attestato un titolo oppure un credito. Rimanendo entro i termini del possesso di beni materiali, facciamo l’esempio relativo a un’opera d’arte: ciò che ne certifica l’indiscussa proprietà è il titolo con il quale è stata trasferita, cioè un atto pubblico di vendita o una scrittura privata autenticata.
L’opera d’arte può essere acquistata sia per l’incanto che provoca nell’ammirarla sia, come accade più spesso, perché rappresenta un tipo di investimento utile ad allocare le risorse economiche non necessarie per la sopravvivenza. Dunque, a oggi, un’opera può essere acquistata per investimento, venduta, affittata per una mostra prestigiosa, tutti atti che possono generare utili e determinare un maggior valore del bene. A memento il recente accordo tra il Louvre e il nuovo museo di Abu Dhabi (per maggiori indicazioni).
Fino a ieri l’oggetto d’arte manteneva una sua unità perché non era frazionabile. Quindi il suo valore d’acquisto non era scorporabile.
La gestione innovativa della proprietà di un’opera d’arte
Per chiarire meglio, analizziamo la vita del celebre quadro di Leonardo da Vinci La dama con l’ermellino che ritrae Cecilia Gallerani, partendo per ragioni di brevità da un recente passato. Il dipinto fu acquistato nel 1800 dal principe polacco Adam Jerzy Czartoryski. La tela, sottratta dai nazisti nel 1940 e riconsegnata alla legittima proprietà dall’esercito americano nel 1945, è stata prestata nel 1972 a Mosca, poi nel 1992 a Washington e a Malmo-Stoccolma; nel 1998 la ritroviamo esposta a Roma-Milano-Firenze, nel 2001-2002 a Kyoto-Nagoya-Yokohama, nel 2002-2003 a Milwaukee-Houston-San Francisco, nel 2009 a Budapest, nel 2011 a Madrid e così via. Recentemente è stato oggetto di cessione al governo di Varsavia.
In linea di principio il celebre quadro, che lo sia stato fin d’ora o meno non importa, è forte catalizzatore di una mostra d’arte, dunque il suo peregrinare come prestito in linea di principio genera due redditi. Uno classificabile come rendita ipotizzabile nella presunta capacità persuasiva di eventuali visitatori e quindi incluso nel biglietto d’ingresso e nell’affluenza. L’altro è la crescita di valore aggiunto per il prestigio che l’opera va man mano assumendo tanto più ne aumenta la notorietà e ne si proclama l’unicità e la bellezza inarrivabile.
Investire, grazie alla tokenizzazione, su un’opera d’arte
Quale investitore del futuro, se ne avesse la possibilità, non desidererebbe mettere al sicuro qualcosa dei propri risparmi, non necessariamente grandi cifre, magari investendo proprio nella Dama con l’ermellino?
Possiamo immaginare che nel prossimo avvenire della nostra società, grazie alla blockchain, moltissimi beni, se non tutti, saranno tokenizzabili e l’esempio appena fatto dell’opera d’arte non è un caso, perché è appena accaduto! Quando, pochi mesi fa, il quadro 14 Small Electric Chairs di Andy Warhol – opera del valore circa di 5,6 milioni di dollari, e di due metri d’altezza – è stato messo in vendita, sono stati raccolti 1,7 milioni di dollari che corrispondono al 31% dell’opera: 800 offerenti hanno partecipato all’asta, che è stata condotta utilizzando un “contratto intelligente” su tokenizzazione tramite tecnologia blockchain.
Gli aggiudicatari di token, regolarmente iscritti tramite blockchain, sono garantiti dalla certezza e dall’immutabilità dell’informazione certificata e possiedono letteralmente “pezzetti” dell’opera che sono rappresentati da certificati di proprietà digitale con caratteristiche di assoluta sicurezza. Gli onori per il buon esito dell’operazione vanno a una start-up con base a Singapore, Maecenas (per maggiori indicazioni), impegnata nel perfezionamento di una piattaforma virtuale finalizzata all’investimento in opere d’arte tramite la nuova tecnologia.
Lo sviluppo di una buy and hold strategy
Ma l’investimento in opere d’arte è una forma d’investimento finanziario particolare perché, almeno fino a ieri, è stato a lungo termine. È proprio per questo, cioè perché non vi è alcuna previsione di rendimento fisso a scadenza fissa, che una fra le più grandi art funds americana, The Art Fund Association, è strutturata per fornire un ritorno economico che si basa sul principio della “buy and hold strategy”, che si può riassumere nella detenzione per un determinato periodo di tempo di un portafoglio ottimale non ribilanciato.
Ciò nonostante la tokenizzazione delle opere d’arte potrebbe innovare e rilanciare questo settore anche con nuove prospettive. E la tokenizzazione in qualunque altro settore della finanza, e non solo, provocherebbe una forte accelerazione economica e una nuova spinta propulsiva dei mercati.
Cercando di chiarire ancora in modo più semplice questo processo dobbiamo intendere che il token, all’interno della tecnologia blockchain ha analoghe prestazioni in relazione al certificato di proprietà in termini di sicurezza, tracciabilità e trasferibilità, ma, non costituendo un elemento strutturale della catena è idoneo a rappresentarla anche in percentuale.
Con il termine tokenizzare s’intende proprio legare la proprietà di un “qualcosa” al possesso di uno o più token che possono eventualmente essere integrati nella loro struttura addizionale e governativa da smart contracts.
Il medesimo principio sopra descritto è abbastanza replicabile su larga scala nel nostro sistema economico.
Una nuova forma di cartolarizzazione
Fino a ieri immaginando di voler cartolarizzare (per maggiori indicazioni) un asset di valore immobiliare elevato per poi offrire sul mercato quote di proprietà a piccoli risparmiatori era necessario dapprima trasferirlo in un fondo, le quote del fondo permetteranno l’opportuno frazionamento. Tokenizzare semplicemente vuol dire associare ogni quota a un token. Ad esempio, possiamo stabilire che 1000 quote equivarranno a 1000 token, o anche maggiori multipli, questo potrebbe allargare la platea d’investitori frazionando e parcellizzando il numero di token in modo predefinito, non dimenticando che i token intesteranno in modo democratico gli stessi diritti ad ogni investitore, in onore della trasparenza, perché ognuno di essi è fungibile tutti allo stesso valore e tutti intercambiabili.
Senza qui enumerare tutti i casi che possono, anzi che nel prossimo futuro saranno, oggetto di tokenizzazione; riprendo le parole ad inizio di questa digressione dove s’immaginava “una società tokenizzata in cui «ogni forma di archiviazione di valore e registrazione pubblica diventa una criptazione-token» che può riferirsi a un mercato fluttuante e altresì essere oggetto di permuta su scambi digitali globali”
Questa è la rivoluzione copernicana della blockchain, che scriverà il nostro capitolo di storia a venire.
La tokenizzazione delle opere pubbliche
Da parte sua, la tokenizzazione delle opere potrebbe innovare e valorizzare persino il patrimonio artistico di un Paese, e per farsi un’idea del peso di quello italiano rimando all’interessante lettura dell’articolo Il valore dell’arte? Nel bilancio 219 miliardi, pubblicato sul “Sole 24 Ore”, 28 dicembre 2017 (per maggiori indicazioni).
Ma ora proviamo a immaginare con un volo onirico come tale modello possa essere messo in atto praticamente, partendo dal presupposto che il nostro Paese, motivo di orgoglio e di vanto culturale, debba smarcarsi dalla crisi che sta vivendo, complice il momento storico, ma anche l’alto debito pubblico che vincola scelte importanti. Le risorse del lavoro inteso come produzione stanno esaurendo il loro corso, tanto più che, come prevedono gli indicatori, sarà forte l’impatto che l’Intelligenza Artificiale avrà in termini di lavoro e disoccupazione mentre i monopoli digitali saranno sempre più pervasivi. Come raggiungere allora un maggiore equità sociale e un maggiore benessere distribuito?
L’Italia ha un punto indiscutibile di eccellenza, che la posiziona fra le nazioni più fortunate al mondo: il turismo è il suo vero tesoro (per maggiori indicazioni) con 40 milioni di presenze sul territorio nazionale nel 2017, e su questo si potrebbe concentrare il massimo delle risorse e degli sforzi.
Sempre nel volo onirico si potrebbe immaginare, per esempio che, in alternativa ai buoni del tesoro, si stabiliscano altre e diverse formule di finanziamento pubblico, da reperirsi nella tokenizzazione: emissioni di token a parziale investimento/vendita di segmenti scissi dei beni dello Stato trasformati in asset finanziari, il che offrirebbe un’inedita direzione di cui varrebbe la pena di considerare seriamente la percorribilità, contando sull’efficienza e l’efficacia della tecnologia della blockchain.
D’altronde l’inventiva non ci è mai mancata, nel bene e nel male, e basta rivedere con un sorriso la celebre scena del film Totòtruffa 62 (per maggiori indicazioni) girata davanti alla fontana di Trevi per ricordarcene.
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