Uno dei principali limiti per un’ulteriore espansione della blockchain è la quantità di potenza di calcolo e il consumo di energia che molti dei processi fondamentali richiedono. È il caso del mining, il processo tipico con cui le reti di computer generano nuovi bitcoin e altre criptovalute, le mettono in circolazione e verificano le nuove transazioni. Ogni singola registrazione di Bitcoin consuma abbastanza energia per il fabbisogno giornaliero di una casa, come ha evidenziato il CEO di Intel Pat Gelsinger, in un’intervista a Bloomberg rilasciata metà febbraio di quest’anno.
Attività ad alto assorbimento di energia
La stessa localizzazione delle attività di mining è sempre più problematica per ragioni legate ai costi dell’energia, alla necessità del raffreddamento, alle diverse legislazioni locali. Da quando la Cina ha bandito le criptovalute, gli Stati Uniti sono diventati il leader mondiale per il mining di bitcoin. I fattori chiave sono l’accesso alle fonti di energia rinnovabile, i bassi prezzi dell’energia e le politiche a favore della criptovaluta.
La maggior parte dei paesi europei sembra, ad esempio, non avere le caratteristiche adatte, mentre molte installazioni dedicate all’attività di mining sono state realizzate nel Texas, grazie una rete elettrica deregolamentata con prezzi spot che consentono agilità nella scelta e nella modifica dei fornitori di energia.
Esiste dunque il rischio che una serie di attività vengano rallentate sia per regioni energetiche, sia per la scarsa disponibilità di chip che caratterizza la fase attuale. La difficoltà di approvvigionamento avrebbe spinto alcuni produttori come Nvidia ad abbassare le prestazioni dell’hash (la velocità di criptazione) di alcuni suoi chip. L’obiettivo era renderli meno attraenti per il mining per spingere gli operatori nel campo delle criptovalute a rivolgersi ad altri produttori specializzati e poter così soddisfare le richieste di altre categorie di clienti.
Il chip Intel dedicato al blockchain
In questo panorama, l’annuncio fatto a febbraio da Intel di un nuovo chip specializzato, un ASIC (Application-specific integrated circuit) pensato per un uso specifico blockchain, rappresenta un’importante novità. L’obiettivo è rispondere alla crescente domanda, attuale e prevista per i prossimi tempi, non solo nel campo delle criptovalute e di altre applicazioni blockchain ma anche in area Metaverso. Da questi campi emerge, infatti, la richiesta di capacità di elaborazione crescente con i conseguenti assorbimenti di energia.
Il 4 aprile Intel ha fornito ulteriori particolari relativi al nuovo ASIC, ottimizzato per eseguire le complesse equazioni matematiche necessarie per aggiungere nuovi blocchi alla catena. Un componete centrale di questo processo è il proof-of-work (PoW), l’algoritmo di consenso alla base della rete blockchain, utilizzato per confermare le transazioni e produrre i nuovi blocchi della catena. In assenza di una camera di compensazione centrale, la blockchain prevede infatti che le transazioni peer-to-peer vengano validate dai particolari nodi, i miner. Qui devono essere eseguiti complesse attività computazionali come il PoW con la massima velocità, coinvolgendo funzioni “crittografiche” di hashing (SHA-256 è quella comunemente usato nel mining dei bitcoin).
L’obiettivo di Intel con il lancio dell’ASIC Blockscale (è questo il nome assegnato al nuovo chip) è raggiungere un equilibrio fra la velocità effettiva di hashing e l’efficienza energetica, qualunque sia l’ambiente operativo. Per farlo mette sul piatto la sua esperienza di ricerca nel campo della crittografia, in particolare l’hashing, e dei circuiti a bassa tensione.
L’azienda di Santa Clara promette inoltre, per dispendere la preoccupazione dei suoi clienti in settori non blockchain, che la produzione di questo nuovo chip non comprometterà la produzione delle sue CPU e GPU, ma che, sfruttando le caratteristiche del silicio che alimenta questa tecnologia, sarà in grado di fornire un volume adeguato di nuovi chip Blockscale senza compromettere la fornitura altri prodotti.
Ciò potrebbe significare che il nodo di processo su cui verrà prodotto il chip Blockscale non sarà lo stesso utilizzato dalle sue CPU e GPU. Si intende come il nodo di processo un parametro correlato livello di miniaturizzazione che si sta avvicinando al limite fisico del materiale (in particolare del silicio).
A questo proposito ricordiamo che Intel aveva precedentemente delineato due generazioni del suo chip dedicato alla criptovaluta, noto come Bonanza Mine. La prima generazione era praticamente un prototipo, mentre la seconda rappresenta il punto di partenza per l’attuale Blockscale ASIC.
Questo potrebbe utilizzare un nodo di processo diverso rispetto alle CPU di Intel, per la maggior parte realizzate nelle fabbriche Intel, mentre le GPU, che sono costruite da TSMC. L’architettura di Blockscale verrà probabilmente realizzata su un supporto di silicio di dimensioni decisamente ridotte (un nodo a 7nm) per ridurre al minimo il consumo energetico senza ridurre la potenza di elaborazione.
Per questo nuovo ASIC la concorrenza non sarà, almeno per ora, costituita dai grandi player come AMD o Nvidia, ma da aziende molto più piccole come Bitman e MicroBT, che offrono ASIC dedicati al mining di bitcoin.
Più potenza con bassi consumi: non solo bitcoin
L’ASIC Blockscale, disponibile per i clienti a partire trimestre del 2022, sarà impiegato inizialmente da aziende specializzate in criptovalute e pagamenti elettronici, come Argo Blockchain, Block Inc., Hive Blockchain Technologies e GRIID Infrastructure.
Tuttavia, il nuovo chip Intel può avere applicazioni anche in ambiti differenti, in particolare nei sistemi basati su cloud. Un processore aggiuntivo come l’ASIC Blockscale, collegato ai sistemi esistenti e, adottato dai produttori di sistemi, può svolgere il ruolo di acceleratore proprio come accade oggi con le schede aggiuntive (ad esempio l’elaborazione video). Con un doppio risultato di contribuire all’intensità di calcolo e all’assorbimento di energia che attualmente appesantiscono CPU e GPU.