Il dibattito sul ruolo che le piattaforme Blockchain potranno avere nel mondo del business è più aperto che mai. Se per molti analisti e startupper l’immediatezza e l’economicità del meccanismo alla base della tecnologia sono di per sé elementi disruptive per tutte le attività che si fondano su transazioni e autorizzazioni, chi è chiamato ad adottarle fa ancora fatica a identificare casi d’uso che ne dimostrino la reale efficacia. E tanto più è vasto e complesso il settore preso in considerazione – caratteristiche che in teoria amplificano i benefici derivanti dall’implementazione di soluzioni Blockchain – tanto più aumentano le cautele e i distinguo.
In realtà è abbastanza normale se si considera che la DLT funziona al massimo potenziale nel momento in cui è inserita in un quadro di regole condivise – in una community, verrebbe da dire – piuttosto entro i confini di una singola organizzazione. Ed è qui che si arriva al nocciolo della questione: chi dovrebbe erigere i pilastri del framework e quali sono i passi per costruirlo e renderlo il più inclusivo possibile? Nei settori bancario, assicurativo ed energetico stanno fiorendo a livello internazionale diverse iniziative avviate dai principali player – anche italiani – dei rispettivi comparti. Iniziative su cui sono puntati gli occhi di molti investitori: il consorzio R3, per esempio, a cui partecipano Intesa Sanpaolo e Unicredit (attive pure sulla piattaforma sperimentale di SWIFT), ha recentemente raccolto 103 milioni di dollari di finanziamenti. Per quanto riguarda le assicurazioni, si può citare il gruppo di lavoro B3I, a cui ha aderito Generali. Mentre in ambito utilities, Enel ha recentemente dato il via al programma Enerchain, dedicato alla realizzazione di un marketplace europeo per fornitori di energia decentralizzato e basato per l’appunto sulla tecnologia Blockchain. La versione beta della piattaforma potrebbe vedere la luce entro la fine del 2017.
Saranno le Autorità a guidare il cambiamento
Queste sperimentazioni a macchia di leopardo testimoniano la vitalità e il desiderio di condivisione e collaborazione delle multinazionali più innovative, ma dimostrano anche la fondamentale assenza di quello che, secondo Fausto Jori, Communities of Practices Director di Reply, e tra le personalità di spicco sul fronte Blockchain (leggi qui che cos’è la Blockchain e quli sono gli ambiti applicativi) in Italia, dovrebbe essere il principio ispiratore per la diffusione della tecnologia. Raggiunto da Blockchain4Innovation, Jori ha spiegato che la DLT (Leggi qui cosa sono le Blockchain Distributed Ledger Technologies DLT) è una rivoluzione destinata a cambiare l’intero mercato, ma essendo un’infrastruttura fondata sul trust farà sentire i suoi effetti quando sarà adottata da ecosistemi, oltre che da grandi player. «E questo, naturalmente, richiede del tempo», conferma. «A me viene in mente l’introduzione del fax: può sembrare un esempio distante, ma credo renda bene il caso in questione. Dopo che il fax fu reso disponibile, ci vollero parecchi anni prima la portata rivoluzionaria del suo utilizzo sortisse qualche effetto, in quanto come tutti sappiamo poteva funzionare solo se sia l’emittente sia il destinatario si dotavano dell’hardware. Per la Blockchain è lo stesso, e le sue enormi potenzialità saranno evidenti a tutti solo nel momento in cui la tecnologia sarà condivisa e diffusa».
Qui però torniamo al punto di partenza. Chi deve fare il primo passo e costruire business case reali così convincenti da spingere intere filiere ad andare incontro a una trasformazione così radicale? I consorzi e le sperimentazioni in atto sono senz’altro lodevoli iniziative, ma rischiano di creare circuiti chiusi e limitati a specifici ambiti applicativi. Per Jori, infatti, il calcio d’inizio non deve necessariamente avere a che fare con use case di successo, e non deve partire dal privato: «Servono indirizzi chiari, comuni al mercato di riferimento, e sono le istituzioni competenti in materia di regolamentazione, settore per settore, oltre che le associazioni di categoria, i soggetti deputati a fornirli». Non imponendo la scelta delle tecnologie, ma delineando una serie di obiettivi strategici a cui le aziende dovrebbero tendere. Qualche esempio? La trasparenza e la tracciabilità nell’agroalimentare; l’immediatezza e – di nuovo – la completa tracciabilità delle transazioni e dei trasferimenti di denaro nel finance; l’univocità e l’immutabilità nella correlazione tra beni e polizze in ambito assicurativo. «Una volta indicato l’indirizzo, sta poi alle aziende scegliere gli strumenti migliori per seguirlo. E la Blockchain è senza ombra di dubbio la soluzione più interessante, non solo perché è sicura, con uno standard comune e già definito, ma soprattutto perché parliamo di una tecnologia stabile, che pur potendo ancora migliorare non espone chi la adotta adesso al rischio di upgrade stravolgenti nell’immediato futuro».
Sperimentare sì, ma coinvolgendo le associazioni
Nonostante il manager ribadisca che si tratta di una consapevolezza che ha ancora bisogno di tempo per maturare, nel frattempo Reply ha comunque deciso di non rimanere con le mani in mano: il gruppo sta già mettendo in pratica l’approccio esposto da Jori coinvolgendo in un progetto realizzato insieme a CeTIF e dedicato al mondo delle assicurazioni partner istituzionali del calibro di Banca d’Italia, IVASS, ABI, ANBP, AIPB, CONSOB e per l’appunto ANIA, l’associazione nazionale delle compagnie assicurative. L’Insurance Blockchain Sandbox (IBS) è, come dice il nome, un laboratorio di sperimentazione della Blockchain che offre un ambiente protetto in cui le aziende attive nel settore assicurativo possono studiare il fenomeno con un approccio interdisciplinare, accademico e prototipale e testare la tecnologia per sostenere nuovi modelli di business, condividendo le best practice del mercato assicurativo e di altri comparti. Ma la parte più interessante è proprio l’output che dovrebbe generare il progetto: i risultati ottenuti saranno utilizzati per analizzare gli impatti della Blockchain sui processi esistenti grazie al continuo confronto con i partecipanti alla sperimentazione, in modo poi da essere in grado di presentare alle Autorità le attività e ipotizzare possibili applicazioni di mercato, effettuando analisi sul piano operativo e normativo. L’iniziativa segue a ruota i progetti già avviati con la stessa logica in altri mercati, come quello promosso a partire dal 2014 in UK dalla Financial Conduct Authority, il piano dedicato alle startup dello Swiss Federal Council nel 2017 e il framework elaborato, sempre per le imprese innovative e sempre nel 2017, dai Canadian Securities Administrators.
Ma Reply è attiva anche sul fronte della criptocurrency, stavolta con una ricerca promossa insieme al Tavolo di lavoro Blockchain & Distributed Ledger degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e all’Associazione Italiana Istituti di Pagamento e di Moneta Elettronica (AIIP). L’iniziativa si chiama Cryptoeuro e ha l’obiettivo dichiarato di identificare e quantificare i benefici della tecnologia Blockchain applicata alle transazioni finanziarie per cittadini, banche e operatori del settore pagamenti, ma non solo. «Tornando all’ambito assicurativo», spiega Jori, pensiamo che il progetto Cryptoeuro possa rappresentare un interessante banco di prova per ripensare i meccanismi della riconciliazione, che attualmente non può essere automatizzata, e di ridurre drasticamente i costi di back office delle compagnie assicurative». I risultati della ricerca sono attesi per l’autunno e comprenderanno, oltre all’identificazione delle caratteristiche chiave di un potenziale Cryptoeuro e all’analisi dei casi internazionali simili con la definizione dell’infrastruttura Blockchain di supporto, anche la raccolta delle indicazioni e dei contributi degli attori coinvolti nel progetto che, sottolinea Jori, gode pure del benestare della Banca d’Italia. «Noi crediamo che l’adozione della Blockchain possa davvero rivoluzionare il settore finanziario, specialmente nell’ottica di un mercato dei pagamenti unificato: oggi la SEPA (Single Euro Payment Area, ndr) riesce a fare solo una minima parte di ciò che potrebbe realizzare con una piattaforma adeguata».