Un po’ in tutto il mondo, negli ultimi tre anni il ricorso alla blockchain e al distributed ledger ha suscitato non poche speranze tra le aziende della filiera alimentare come soluzione tecnologica per la tracciabilità, anche in combinazione con altre applicazioni.
I benefici attesi sono numerosi, ma è ancora presto per avere un primo quadro d’assieme degli effetti arrecati dalla loro introduzione.
Secondo una recente survey condotta dall’Osservatorio Smart Agrifood, promosso dal Politecnico di Milano e dal Laboratorio Rise dell’Università degli Studi di Brescia, sono 42 i progetti internazionali e italiani di blockchain e distributed ledger mappati dal 2016 al 2018, e risultano più che raddoppiati nell’ultimo anno.
Nel 24% dei casi, sono soluzioni applicative sviluppate in maniera trasversale all’interno del settore alimentare, mentre nel 21% risultano dedicate in modo specifico alla filiera della carne (tra i settori pionieri in ambito di tracciabilità, dopo lo scandalo della mucca pazza), nel 17% in quella dell’ortofrutta, nel 10% al cerealicolo. Il 50% dei progetti contempla un forte ruolo guida da parte delle aziende di trasformazione (in primis gruppi multinazionali) e delle catene di distribuzione.
“Il vantaggio principale che le aziende riscontrano in tali piattaforme – ha sottolineato Filippo Renga, Direttore dell’Osservatorio Smart AgriFood, Politecnico di Milano – consiste nella garanzia di un livello di sicurezza dei dati più elevato rispetto agli standard finora raggiunti: ci sono più certezze nell’immutabilità delle informazioni, più trasparenza lungo la filiera e più efficacia ed efficienza nei processi di recupero dei dati in caso di situazioni critiche per la food safety. Va anche detto, però, che sono ancora limitati oggi i case study all’interno dei quali si sono potuti verificare con la dovuta attenzione i benefici derivanti dall’applicazione della blockchain”.
DLT per la tracciabilità nella filiera alimentare
Per di più, all’interno delle aziende agroalimentari permane una frequente sovrapposizione nel ricorso ai termini “blockchain” e “distributed ledger”. Le tecnologie DLT-distributed ledger technologies sono sistemi basati su un registro distribuito, in cui tutti i nodi di una rete possiedono la medesima copia di un database che può essere letto e modificato in modo indipendente dai singoli nodi. In questi sistemi, le modifiche al registro vengono regolate tramite algoritmi di consenso e fanno anche un ampio utilizzo della crittografia. Perciò, secondo l’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano, le tecnologie blockchain andrebbero incluse nella più ampia famiglia dei distributed ledger, a cui aggiungono alcune funzionalità tipiche di altre soluzioni.
Ma al di là delle definizioni tecniche, entrambe le tecnologie possono essere inserite nel contesto più ampio dell’Internet of Value, definibile come una rete digitale di nodi che si trasferiscono valore, in assenza di fiducia, attraverso un sistema di algoritmi e regole crittografiche, che permette di raggiungere il consenso sulle modifiche da apportare a un registro distribuito tenendo traccia dei trasferimenti di asset digitali univoci.
L’approccio verso queste tecnologie delle aziende della filiera alimentare (il 5% della totalità dei casi analizzati dal 2016 al 2018 dall’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger) si contraddistingue per la particolare attenzione dedicata alle problematiche della tracciabilità dei prodotti.
Il fronte dei perplessi
Non manca, peraltro, il fronte dei perplessi a proposito dell’effettiva applicabilità delle tecnologie blockchain e distributed ledger alle filiere dell’agrifood.
C’è chi pone l’accento sulle problematiche tecniche delle stesse piattaforme: come, per esempio, la garanzia di mantenimento del legame tra i movimenti fisici dei prodotti, soprattutto nel caso delle materie prime, e la registrazione dei dati.
O coloro che s’interrogano su quali sono le tipologie di dati da condividere: per esempio, dato che le transazioni per la compravendita di beni includono anche informazioni riservate, bisogna chiedersi fino a quale livello ne è consentita la trasmissione e la condivisione.
E ancora: certe soluzioni blockchain sviluppate e promosse dai player più strutturati e robusti della filiera sembrano destinate a centralizzare la gestione dei dati rischiando così di smorzare le potenzialità della tecnologia.
“In tal senso – ha sottolineato Damiano Frosi, Direttore dell’Osservatorio Contract Logistics e Ricercatore dell’Osservatorio Smart AgriFood – per raggiungere al meglio gli obiettivi per cui viene implementata la tecnologia della blockchain è essenziale il pieno coinvolgimento di tutti gli attori della supply chain. Cosa non banale in una filiera complessa come quella alimentare, composta da una moltitudine di attori che godono spesso di poteri diversi sul piano contrattuale e rispetto al mercato. Né è facile trovare il necessario equilibrio in termini di distribuzione dei benefici concreti tra tutti gli stakeholder, a cominciare dalle aziende agricole, coinvolte nell’85% dei progetti avviati”.
I risparmi gestionali di Marchesi Mazzei
Eppure, non mancano le esperienze incoraggianti di imprese agroalimentari, grandi, medio-piccole e start up, che hanno sperimentato con successo le soluzioni digitali, blockchain compresa, alla propria realtà produttiva.
Come l’azienda vitivinicola Marchesi Mazzei, che ha avviato il processo d’innovazione digitale nel 2005 per rendere la tracciabilità dei propri vini (fino ad allora fattibile, ma quanto mai impegnativa e onerosa) più snella ed efficace. Dovendo integrare una gran mole di dati sui processi produttivi e amministrativi, provenienti per di più da aree geografiche differenti, la casa vinicola ha implementato un sistema gestionale di tracciabilità integrata e ha collegato tutti i dati relativi alla gestione di campo (tracciando ogni attività sui singoli appezzamenti) con tutti i dati di cantina, oltre a quelli amministrativi. Una scelta che ha permesso di prendere decisioni basandosi su considerazioni oggettive, sia nella gestione agronomica che enologica, mentre a livello legislativo e burocratico è stata rilevata una riduzione delle tempistiche legate alla gestione dei registri agronomici e di cantina. Nel complesso, i costi per le lavorazioni in vigna sono calati tra il 10% e il 15%, mentre in cantina s’è registrata una riduzione del 5% nell’utilizzo di materiali utilizzati per la produzione, con un risparmio totale stimato tra 80.000 e 120.000 euro all’anno.
La start up Terra&Grano
Di speciale interesse è anche l’esperienza di Terra&Grano, una start up del Sud Italia, partita a gennaio 2018; che ha sviluppato un progetto di e-commerce di pasta dichiaratamente basato sul valore della tracciabilità, garantita al consumatore attraverso l’utilizzo della tecnologia blockchain. Il modello di business prevede che il consumatore possa “adottare”, attraverso il sito web dedicato, un appezzamento di terreno e ricevere periodicamente la pasta prodotta con la materia prima del suo campo.
Il consumatore può quindi conoscere la storia del prodotto inquadrando il QR Code sulla confezione, ma anche avere accesso in tempo reale alle informazioni sullo stato attuale del prodotto attraverso il sito web. La raccolta dei dati in campo (preparazione del terreno, semina, trattamenti fitosanitari, ecc.) avviene tramite il quaderno di campagna digitale, fornito dalla stessa azienda agli agricoltori aderenti al progetto, ai quali si aggiungono i dati collezionati dai droni.
Lungo il trasporto, le fasi di molitura e di produzione della pasta, i dati sono raccolti tramite i software gestionali degli attori coinvolti. A stabilire il collegamento tra tutte le fasi della filiera vi è una piattaforma blockchain pubblica (sviluppata da una startup italiana), che garantisce l’immutabilità e la sicurezza dei dati inseriti. Le prime “adozioni” degli appezzamenti di terreno sono arrivate nel giugno 2018, coinvolgendo numerosi agricoltori e diversi ristoratori