Da al qui al 2140, anno nel quale verrà estratto l’ultimo Bitcoin, c’è spazio per fare alcuni ragionamenti su come procurarsi la valuta alternativa. Senza contare che, anche quando non ne verranno più minati di nuovi, i miner saranno comunque incentivati dalle commissioni intascate per la gestione e il controllo delle transazioni. Una possibile alternativa all’estrazione di Bitcoin fai da te è rappresentata dall’affitto di risorse elaborative presso provider di servizi, ovvero il cloud mining.
Cos’è il cloud mining
In pratica, con il cloud mining si noleggiano porzioni di server, CPU e disco per un certo lasso di tempo, dedicandole a minare i Bitcoin e tenendone sotto controllo l’andamento attraverso una pagina web o una app su smartphone. SI diventa così parte di un pool di minatori ricavando una quota proporzionale di profitti in funzione dello hash power noleggiato.
In cambio il fornitore del servizio trattiene per sé una certa percentuale a copertura dei costi per l’energia, i locali e in generale per la fornitura del servizio. Il vantaggio è una evidente e immediata riduzione dei costi complessivi di mining, il che fornisce a tutte le categorie di investitori, compresi quelli refrattari alla tecnologia, la possibilità di estrarre criptovalute.
Modelli di cloud mining
Quella in “hosting” è probabilmente la forma più diffusa di cloud mining. Si tratta di noleggiare l’hardware necessario all’estrazione delle criptovalute direttamente presso la struttura che lo ospita, rimanendo responsabili della manutenzione dell’attrezzatura e delle sue funzionalità, accollandosi i costi accessori per la conduzione.
Le economie di scala della farm garantiscono che gli alti costi collegati all’estrazione siano comunque gestibili, lasciando ai clienti il controllo diretto sulla criptovaluta estratta.
Un altro modello è quello dell’affitto del solo hash power. In questo caso la potenza di calcolo necessaria all’estrazione della criptovaluta viene affittata presso una mining farm. Il guadagno dei minatori è in percentuale sul profitto complessivo ricavato dal processo di estrazione di tutta la farm, definito al momento dell’apertura dell’account, contestualmente alla durata del noleggio e alla potenza di calcolo desiderata.
Cloud mining, pro e contro
Nel caso del cloud mining è evidente il vantaggio nel risparmiare sui costi dell’hardware e dell’energia permettendoci di incassare periodicamente i nostri profitti stando tranquillamente seduti sul divano e senza preoccuparci del costo dell’elettricità o della manutenzione delle macchine.
Ma non è tutto oro quel che luccica: la volatilità intrinseca delle cripto ne mette a dura prova la stabilità nel lungo periodo e di conseguenza i profitti dell’estrazione in cloud potrebbero diminuire sensibilmente.
L’idea di un cashflow passivo dall’estrazione di criptovalute è certamente allettante, ancor più se consideriamo che allo stato attuale attrezzare una farm casalinga acquistando in proprio l’hardware si scontrerebbe con la difficoltà anche solo dell’hosting fisico di una serie di macchine estremamente energivore e con una serie di requisiti di raffreddamento e potenza che ci obbligherebbero ad installarle in cantina o in garage per evitare il frastuono delle ventole.
Ed è per questo che la soluzione cloud appare come la più semplice e rapida da approcciare.
Eppure, sebbene il legislatore si adoperi per una regolamentazione della cripto-jungla, appare ancora difficile distinguere l’offerta di servizi legittimi dagli innumerevoli scam che ci vengono propinati.
Nello specifico, non avendo una visibilità dettagliata sull’infrastruttura che governa il cloud della mining farm, siamo vulnerabili alle truffe che proliferano parallelamente al crescere della popolarità degli altcoin.
Le truffe nel settore delle criptovalute: come proteggersi
Recentemente un gruppo di ricercatori ha svelato tutta una serie di truffe basate sul cryptomining, veicolate attraverso decine di fake apps Android.
Si parla di quasi centomila vittime truffate utilizzando poco meno di duecento app. In particolare, quasi diecimila utenti sono stati ingannati aderendo a sedicenti servizi di cloud mining che nulla avevano a che fare con l’estrazione di Bitcoin.
Queste app in realtà non installavano malware o backdoor sugli smartphone dei malcapitati, ma semplicemente… non facevano proprio nulla. Il malcapitato installava l’app e pagava la sua quota di hashpower, ma dall’altra parte non c’era alcuna mining farm che lavorava per lui. Il vuoto assoluto, a parte un’accattivante interfaccia grafica che illustrava in tempo reale quanta criptovaluta veniva estratta e a quanto ammontava il guadagno. Quando la vittima realizzava di essere stata truffata, i soldi dell’investimento iniziale si erano già volatilizzati.
Si stima che nel 2020 le gang criminali abbiano frodato più di 1,8 miliardi di dollari tra furti di criptovalute, hack, frodi, schemi Ponzi, schemi a piramide, boiler room.
Il consiglio, dettato soprattutto dal buonsenso, è quello di approcciare al mondo delle cripto tramite servizi con una reputazione impeccabile.
Che si stratti di compravendita o cloud mining è indispensabile informarsi e verificare l’affidabilità del servizio, attraverso forum, gruppi di discussione, siti specializzati, scandagliando fino allo sfinimento ogni singolo dettaglio del servizio: dopotutto, sono soldi nostri.
Considerazioni a margine
Mentre El Salvador è diventato il primo paese al mondo ad ammettere il Bitcoin come valuta legale, le monete virtuali costruite sulla tecnologia della blockchain stanno dimostrando di avere potenziale per trasformare diversi settori, a partire ovviamente da quello dei servizi finanziari.
Se da una parte i governi e le banche centrali possono stampare denaro dal nulla portandosi dietro tutta una serie di problemi legati all’inflazione, i Bitcoin possono essere definiti degli asset “deflazionistici” in quanto hanno una offerta limitata (18 milioni di BTC “scoperti” su un totale di 21 milioni) e verosimilmente dovrebbero seguire il destino di quei beni la cui disponibilità diminuisce nel tempo, ovvero accresce il proprio valore.
Sappiamo che il processo funziona un po’ come una lotteria: i minatori competono per produrre hash partendo da:
- a) un numero casuale;
- b) nuovi blocchi di transazioni;
- c) l’ultimo blocco sulla blockchain.
Per vincere la lotteria, il miner deve trovare un hash che inizia con un certo numero di zeri, determinato dalla potenza di calcolo collegata alla rete.
Quando i minatori aumentano la potenza di calcolo sulla rete, aumenta di conseguenza la velocità di creazione dei blocchi, ma la rete rileva il cambiamento e reagisce aumentando il livello di difficoltà.
A questo punto le nuove transazioni vengono registrate sulla blockchain e il vincitore della lotteria viene ricompensato con quanto appena coniato, oltre alle commissioni aggiunte alle transazioni.
Il mining è quindi una forma di attacco bruteforce realizzato utilizzando hardware con moduli specificamente progettati per questo genere di operazioni, che richiede un investimento non indifferente in termini di denaro, elettricità e spazio fisico per alloggiare le macchine.