Stiamo assistendo, in questi ultimi anni, a una vera e propria “esplosione” del mercato delle criptovalute, costantemente in sviluppo e, soprattutto, sempre più competitivo ed innovativo rispetto all’economia tradizionale. Una delle principali criticità del settore è l’assenza di una specifica normativa che regoli, in caso di decesso del titolare, la trasmissione delle criptovalute, ovvero del patrimonio digitale, agli eredi e, nello specifico, le modalità con cui questi ultimi possono entrare in possesso dei fondi ereditati.
Una indagine statistica globale, effettuata nel periodo ottobre 2019 – giugno 2020, ha rilevato che la maggior parte degli investitori non ha mai considerato l’ipotesi di predisporre un programma per la trasmissione post mortem del proprio patrimonio digitale.
Il rischio è la perdita definitiva e irreversibile dei fondi in portafoglio, date le difficoltà (se non addirittura impossibilità) per gli eredi di recuperare le credenziali di accesso.
Cosa fare, quindi, per evitare che questo accada? Quali precauzioni devono prendere gli investitori per consentire ai propri eredi di ottenere tutte le informazioni utili per entrare in possesso del patrimonio digitale?
E soprattutto, l’opportunità di rendere note agli eredi le credenziali per l’accesso al portafoglio virtuale garantisce l’imprescindibile requisito di riservatezza delle transazioni?
Per poter dare una risposta esaustiva, è opportuno qualche breve cenno sui differenti sistemi di gestione e detenzione delle criptovalute.
Patrimonio digitale agli eredi: criptovalute detenute presso un c.d. exchange
Al momento della registrazione su un exchange, l’investitore crea un account a cui è possibile accedere mediante le proprie credenziali. L’investitore potrà, poi, operare nel mercato virtuale mediante una chiave di accesso privata, che costituisce unica prova della titolarità del patrimonio digitale, fornita e detenuta dall’exchange stesso.
Per evitare che i fondi vadano definitivamente smarriti, l’investitore deve prima di tutto informare i propri eredi di detenere un portafoglio, mettendoli, secondariamente, nelle condizioni di reperire facilmente, dopo la propria morte, la chiave di accesso privata.
Infatti, a differenza degli ordinari servizi on-line, il sistema delle criptovalute non prevede una procedura per il recupero dei dati di accesso al proprio account, con impossibilità degli eredi di recuperare le credenziali del defunto.
Se, invece, il problema è limitato a rinvenire i dati per accedere all’account, l’inconveniente è generalmente risolvibile. Gli eredi sono, infatti, legittimati a presentare all’exchange – che è sempre a conoscenza dei dati dei propri utenti – una richiesta di rilascio delle credenziali per accedere alla posizione del defunto ed operare.
Quest’ultima opportunità è espressamente prevista dalla normativa privacy che consente all’erede di accedere a tutti i dati personali del defunto, ivi compresi quelli digitali.
Criptovalute detenute direttamente dall’investitore
Si tratta indiscutibilmente dell’ipotesi più complessa in quanto le chiavi private necessarie per effettuare transazioni nel marcato digitale sono detenute esclusivamente dall’investitore, mediante:
- paper wallet, ovvero un documento cartaceo sul quale è stampato l’indirizzo blockchain e la chiave privata, generalmente con codici QR;
- software wallet, equiparabile ad una ordinaria applicazione ed accessibile mediante inserimento di credenziali personali.
Per evitare che il patrimonio digitale venga disperso, gli eredi devono essere messi a conoscenza sia delle credenziali di accesso al dispositivo elettronico del defunto, ove è installato il software, sia a quelle del software stesso contenente la chiave privata;
- hardware wallet, ovvero un dispositivo fisico simile ad una chiave USB che consente di trasferire la chiave privata in un luogo non connesso alla rete e, quindi, non attaccabile dagli hacker.
In questa ipotesi, gli eredi dovranno dapprima individuare il dispositivo hardware utilizzato dal defunto per effettuare le transazioni, dopodiché identificare la chiave privata.
Criptovalute detenute in strumenti di investimento comuni (fondi di investimento, futures, certificati)
È il caso meno problematico poiché gli investimenti in criptovalute sono sostanzialmente simili, quanto a caratteristiche e operatività, a un investimento tradizionale.
Non vi sono, quindi, chiavi private da trasferire agli eredi affinché questi possano operare sul mercato digitale ed effettuare transazioni dopo il decesso dell’investitore.
Pertanto, in questa ipotesi, i rischi di perdita del patrimonio digitale sono pressoché nulli.
Le soluzioni per una corretta trasmissione del patrimonio digitale agli eredi
In attesa che il nostro ordinamento si doti di una specifica normativa in materia di eredità digitale, vediamo alcune delle soluzioni ipotizzate dai giuristi digitali per fare in modo che, dopo il decesso dell’investitore, gli eredi entrino in possesso, senza difficoltà, delle credenziali per l’accesso al patrimonio virtuale.
Condivisione delle credenziali con soggetti fidati
Sembrerà banale ma è sicuramente il metodo più semplice per trasmettere la propria eredità digitale evitando la perdita irrimediabile e definitiva dei fondi.
Questo è, senza dubbio, un rimedio tanto semplice quanto rischioso e imprudente poiché lede quelle caratteristiche di riservatezza e anonimato tipiche di questa tipologia di operazioni finanziarie.
Infatti, la condivisione dei dati di accesso, seppur con persone di massima fiducia, non può comunque escludere che queste violino illegittimamente l’account personale dell’investitore.
Testamento
Così come avviene per qualsiasi altro bene materiale, il testamento potrebbe costituire una valida soluzione anche per la trasmissione del patrimonio digitale agli eredi.
In realtà, se utilizzato in un’ottica di trasferimento di beni virtuali, l’istituto presenta molti punti di debolezza, dovuti a un sistema, quello digitale, ben diverso rispetto a quello tradizionale.
Consideriamo, prima di tutto, i rischi di smarrimento, alterazione, distruzione del testamento – casi tutt’altro che infrequenti – che comportano la conseguente perdita delle credenziali private senza possibilità di recupero da parte degli eredi.
Inoltre, citare le proprie credenziali in un testamento significa rendere noti e diffondere i dati per l’accesso al proprio portafoglio digitale.
Pensiamo, ad esempio, cosa avviene al momento della pubblicazione. Il testamento viene letto dal notaio avanti a un numero indeterminato di soggetti tra cui, con tutta probabilità, anche coloro che non sono stati designati dal defunto come beneficiari del patrimonio digitale.
In quel preciso istante, le credenziali verrebbero rese note a chi non dovrebbe venirne a conoscenza e che, quindi, si approprierebbe di dati che non gli competono, con tutti i rischi del caso, in particolare quello di sottrazione e/o trasferimento del patrimonio.
Si è anche discusso di “legato di password”, ovvero una disposizione contenuta nel testamento finalizzata ad attribuire a uno o più beneficiari le credenziali per l’accesso al portafoglio digitale. Il legato è, però, soggetto alla medesima pubblicità del testamento di cui fa parte e, quindi sottoposto ai rischi già esposti.
Alcuni hanno ipotizzato, quale possibile soluzione, la nomina di un esecutore testamentario con il compito di attuare le ultime volontà del defunto tra cui tramandare le credenziali di accesso al patrimonio digitale.
Anche questo rimedio, però, non esclude a priori che le credenziali non arrivino agli eredi, stante la facoltà dell’esecutore di rifiutare l’incarico o di rinunciarvi in un momento successivo (senza tralasciare l’ipotesi di premorienza al testatore), con la conseguenza che le ultime volontà del defunto resteranno inattuate.
Mandato post mortem exequendum
Si tratta del contratto con cui un terzo viene autorizzato dal defunto a eseguire, dopo la propria morte, determinati atti giuridici per suo conto. Tuttavia, anche detto istituto, presenta moltissimi limiti applicativi in tema di successione digitale.
Infatti, dottrina e giurisprudenza ritengono, sulla base di un orientamento ormai consolidato, che il mandato con prestazioni da eseguirsi dopo la morte del mandante non può avere ad oggetto il trasferimento a terzi di beni patrimoniali di proprietà di quest’ultimo, bensì esclusivamente il compimento di una o più attività già perfezionate, in vita, dal medesimo.
Senza alcun dubbio, riteniamo di poter affermare che rientra nel concetto di “attribuzione a terzi di beni di carattere patrimoniale” la consegna delle credenziali e della chiave privata per l’accesso all’exchange o direttamente al portafoglio digitale del defunto.
La conseguenza giuridica non può, quindi, che essere la nullità del contratto.
Le idee di alcuni exchange
Alcuni intermediari garantiscono agli eredi di entrare in possesso delle credenziali di accesso al portafoglio del defunto, previa esibizione di un certificato di morte o di un testamento che dimostri la loro qualifica di eredi.
Altri ancora hanno elaborato la formula del “keep-alive” che prevede verifiche periodiche riguardo alla operatività o inattività dell’investitore (mediante invio al medesimo di email).
Nel caso in cui quest’ultimo non risponda entro il termine indicato dall’exchange, i fondi verranno automaticamente trasferiti su un portafoglio in precedenza individuato dall’investitore, differente rispetto al principale.
L’idea della compagnia assicurativa britannica Coincover
È una soluzione originale e innovativa che si fonda sull’attribuire una card con codice univoco personalizzato a ciascun possessore di criptovalute che poi ne consegnerà una o più copie ai soggetti che intende designare come eredi.
Al momento del decesso del titolare del portafoglio, gli eredi contatteranno CoinCover, comunicando il codice univoco della card e, dopo esibizione di un certificato di morte, verranno messi nella disponibilità dei fondi.
Conclusioni
Dopo aver passato al vaglio tutte queste possibili soluzioni – ed evidenziato i relativi limiti applicativi – come possiamo concludere?
Il principale ostacolo alla trasmissione post mortem dei beni virtuali, ovvero del patrimonio digitale agli eredi, è la mancanza di un quadro normativo in materia, ciò sebbene sia indiscusso che l’operatività nel mercato digitale sia un tema caldo ed attuale nel mondo della tecnologia.
Le criticità e le debolezze del sistema sono quindi oggi studiate esclusivamente dai giuristi digitali che hanno messo a punto linee guida e prassi operative certamente utili, ma non sufficienti a reperire soluzioni e rimedi validi.
Restiamo quindi, sempre in attesa di una disciplina legislativa adeguata al sistema, chiarificatrice degli aspetti più controversi e che stia al passo con la continua e sempre più rapida evoluzione del mercato digitale.