Abbiamo appurato che l’Agenzia Entrate consideri le criptovalute alla stregua di valute estere. Considerato che l’art. 67 del Tuir afferma che la plusvalenze derivanti da cessioni di valute estere sono soggette a tassazione, la domanda da porsi è la seguente: se vendo dei bitcoin ad un prezzo superiore rispetto al costo di acquisto, devo pagare le tasse sulle plusvalenze? Analizziamo brevemente cosa dice la legge. Se parliamo di valute estere, sono imponibili, quindi soggette a tassazione, le plusvalenze aventi le seguenti caratteristiche:
- realizzate mediante cessione di valute estere
- rivenienti da depositi o conti correnti
- se la giacenza in valuta nei depositi e conti correnti sia superiore a euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza è stata realizzata.
Questi concetti sono applicabili anche alle criptovalute? Proviamo ad analizzarli uno per uno.
Innanzitutto, cosa si intende per cessione? Se parliamo di criptovalute, parliamo dello scambio di tali beni nei vari exchange. Fin qui dovrebbe essere tutto chiaro.
Nella nozioni di cessione di valute estere però, rientra anche il solo prelievo dal conto corrente. Per la legge, anche il prelievo di valute estere dal conto corrente è assoggettabile a tassazione. Come mai il solo prelievo assume rilevanza fiscale? Secondo la circolare ministeriale 165 del 24/6/98 l’equiparazione alla cessione del prelievo “è giustificata dalla considerazione che quando la valuta è uscita dal conto corrente non è più possibile stabilire se e in che momento essa è stata successivamente ceduta”.
Devo pagare le tasse sulle criptovalute quando le sposto dal mio wallet?
Considerato che sappiamo benissimo che le criptovalute si trovano da nessuna parte se non sulla blockchain, sorgono diverse problematiche applicative. La prima riguarda i wallet e se possono essere considerati conti correnti. Qualora non lo fossero, le criptovalute potrebbero essere considerate alla stregua del denaro contante detenuto al di fuori dei circuiti bancari. E di conseguenze non soggetto a tassazione. Dopodiché cosa si intende per prelievo di criptovalute? Il banale trasferimento di beni da un wallet all’altro? Se poi effettuo solo scambi tra diverse criptovalute senza mai ottenere euro in cambio?
Proseguiamo nel ragionamento. Abbiamo detto che per la legge, anche il solo prelievo di valute estere dal conto corrente è assoggettabile a tassazione. Ma possiamo veramente parlare di prelievo di criptovalute? Tecnicamente no, se consideriamo che se una criptovaluta esce da un wallet entra necessariamente su un altro wallet. Non può uscire dal circuito bancario come se si trattasse di contanti. E’ però opportuno ricordare ai lettori che l’Agenzia ha paragonato tutti i wallet a dei conti correnti; per cui apparentemente siamo di fronte ad un cane che si morde la coda.
Il focus dovrebbe orientarsi all’eventuale esistenza dell’operazione sottostante lo spostamento delle criptovalute. Ad esempio, lo spostamento di criptovalute da un wallet ad un altro a seguito di un’operazione come una compravendita; solo così si genererebbe reddito imponibile. Per cui non dovrebbe costituire reddito imponibile il mero spostamento (e non prelievo) di criptovalute tra wallet dello stesso contribuente alla stregua di un giroconto.
In quest’ottica, l’equiparazione del “prelievo” di valute estere allo spostamento di criptovalute tra wallet sembra avere rilevanza fiscale solo quando il contribuente non riesce a dimostrare quanto avvenuto. Qualora il contribuente dovesse subire un controllo da parte dell’Agenzia delle Entrare, dovrebbe essere in grado di dimostrare che le criptovalute “prelevate” sono state in realtà solamente “girocontate” su un altro wallet di proprietà. E che al di sotto di questa operazione non sussiste alcun accordo e/o negozio giuridico valido ai fini fiscali.
La documentazione che il contribuente dovrebbe produrre potrebbe comprendere: accordi contrattuali, presenza o assenza di movimenti bancari connessi all’operazione di prelievo, dimostrazione che le criptovalute sono ancora possedute in altro wallet e non sono state trasferite a terzi,…
Quale rilevanza fiscale per le operazioni da Cripto a Cripto?
Altro aspetto fondamentale: se scambio una criptovaluta con un’altra e ottengo un plusvalore, devo pagare le tasse? Se consideriamo la grande volatilità delle criptovalute, la tassazione del potenziale plusvalore derivante dalla conversione di una criptovaluta in un’altra potrebbe sfociare nella tassazione di un incremento patrimoniale inesistente laddove la seconda dovesse perdere valore in modo significativo. E conoscendo il mercato, anche in modo repentino.
A ben vedere l’attività di accertamento che l’amministrazione finanziaria dovesse imbastire per monitorare questo tipo di movimenti, sarebbe quanto meno dispendiosa ed eccessivamente onerosa. Tra l’altro sui vari exchange troviamo centinaia di criptovalute scambiabili ad un tasso di conversione che spesso non comprende l’euro ma perlopiù dollaro, bitcoin o stablecoin.
Per cui, se seguiamo il ragionamento dell’Agenzia, staremmo parlando di semplice scambio di valute estere più che di prelievo. In questo caso, ai fini di un’eventuale tassazione da plusvalenza, sarebbe fondamentale verificare esclusivamente il limite quantitativo di giacenza di 51.645,69 € che spiegheremo meglio nel prosieguo dell’articolo.
Ad ogni modo l’Agenzia delle Entrate afferma che “ai fini della eventuale tassazione del reddito diverso occorre, dunque, verificare se la conversione di bitcoin con altra valuta virtuale (…)“. In altre parole: per ogni conversione tra criptovalute dovrebbe determinarsi l’eventuale plus (minus) valenza confrontando il costo in euro sostenuto per acquistare la prima criptovaluta e il controvalore in euro attribuibile alla criptovaluta acquisita alla data di conversione.
Ci si auspica che le conversioni tra criptovalute siano trattate come operazioni irrilevanti dal punto di vista fiscale. Così come sarebbe opportuno assoggettare ad imposizione soltanto il plusvalore emergente dalla conversione di “valute virtuali” in valute tradizionali. Solo questo spread rappresenterebbe l’effettivo arricchimento ottenuto dal contribuente.
Devo pagare le tasse sulle criptovalute? Dipende dalla giacenza media
Chiariti almeno in parte i concetti di cessione e di conti correnti, vediamo cosa intende la legge quando parla di giacenza. Quest’ultima “va verificata rispetto all’insieme dei wallet detenuti dal contribuente indipendentemente dalla tipologia dei wallet (paper, hardware, desktop, mobile, web)”. L’esame deve essere condotto considerato l’anno solare oggetto di analisi, considerando tutte le variazioni intervenute tramite acquisti e/o cessioni. Successivamente, dovrà calcolarsi il loro controvalore in euro secondo “il rapporto di cambio al 1° gennaio rilevato sul sito dove ha acquistato la valuta virtuale”. Posto che la legge tributaria richiede il superamento di una giacenza complessiva di 51.645,69 euro “per almeno sette giorni lavorativi continui”, si ritiene che per quanto riguarda le criptovalute non si applichino distinzioni tra giorni lavorativi e non.
In pratica, se dall’elaborazione svolta dovesse risultare che le criptovalute possedute hanno superato per almeno sette giorni continui la soglia dei 51.645,69 euro, eventuali plusvalenze o minusvalenze realizzate in quell’anno sarebbero rispettivamente imponibili o deducibili. Di base, la risposta alla domanda “Devo pagare le tasse sulle mie criptovalute?” è: dipende. Innanzitutto dalla giacenza detenuta tramite la totalità dei wallet a disposizione. Se durante l’anno il controvalore massimo dei miei beni non ha mai superato 51.645,69 € posso dormire sonni tranquilli. Eventuali plusvalenze non saranno tassate ai fini Irpef. Vedremo nel prossimo articolo come comportarsi qualora la franchigia venga superata e come effettuare i calcoli delle tasse in maniera corretta.