Dal Capitalismo al Digitalismo

Con la rivoluzione che arriva grazie alla Blockchain sorge in modo sempre più forte la necessità di dar corso a un sistema di Governance che sappia essere inclusivo, che fornisca nuove forme di tutela e che nello stesso tempo permetta di fornire nuove mezzi all’innovazione competitiva

Pubblicato il 23 Giu 2018

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Giovanni Perani

L’evoluzione umana è dominata, tra gli altri fattori, anche dal progresso tecnico e scientifico che interagisce con il mondo reale e impatta sull’economia e, di riflesso, sulla nostra società e le nostre vite. Ogni era storica, dunque economica e politica, ha avuto un suo corso peculiare, con caratteristiche specifiche che hanno generato i paradigmi della relativa collettività. A seconda del periodo, perciò, possiamo rilevare i mutamenti che tracciano i fili dell’economia e marciano di pari passo con le esigenze del mercato e le innovazioni che i “desiderata” o l’“utile” dell’epoca generano. Da ciò si dipana la rappresentazione della società nel suo intero, a completare l’ordito.

Diversi modelli economici portano alla creazione di diverse classi sociali (per esempio gli schiavi, i gladiatori, i cavalieri, i commercianti, per arrivare agli operai, agli imprenditori e così via), e ogni epoca ha messo in atto con sforzo, talvolta con un’inerzia maggiore o minore, una serie di norme e di tutele che rispondessero alle esigenze del momento e costruissero una sorta di traccia per un vivere migliore. Regolamentazioni e tutele potrebbero essere rubricate come le “regole del gioco” su cui si basa una società, una sorta di libretto d’istruzioni per una partita, quella umana, più equa e sostenibile. Questa è, o dovrebbe essere, la “mission” di ogni regolamentazione, e così è stato sin dal principio della storia – a memento la massima latina «Ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi jus. Ergo ubi homo, ibi jus» –, quando cioè sono state stabilite le prime tracce per promuovere una coesistenza pacifica.

La correlazione sempre più stretta tra innovazione e governance

Oggi non può sfuggire quali profondi mutamenti stanno investendo, e si accingono a mutare in modo radicale, la nostra società. Esiste un nesso di correlazione evidente tra la rivoluzione tecnologica digitale e innumerevoli aspetti e ambiti del momento storico attuale, in particolare il mondo del lavoro, che sta vivendo una radicale riorganizzazione con conseguenze a cascata e di ampia portata sull’intera collettività.

Nulla di nuovo: senza andare troppo indietro nel tempo così è stato per la rivoluzione industriale e così sarà per l’odierna rivoluzione digitale. Al momento ci troviamo infatti nella stessa condizione che fu già ottocentesca, quando l’innovazione dei macchinari introdotti nelle fabbriche travolse la società del mondo appena antecedente. Da quel momento si sono originate le lotte per migliorare le condizioni e il luogo di lavoro, l’impatto ambientale della produzione, le normative sull’ecologia, il diritto allo studio, il welfare e molti altri aspetti ancora. Ripartendo da quella fase abbiamo creato di fatto il modello di democrazia liberale e l’impianto politico e sociale di oggi, il migliore della storia.

La Terza Rivoluzione Industriale delle tute blu e la rivoluzione Blockchain dei colletti bianchi

Se la terza rivoluzione meccanica industriale è stata pagata dalle tute blu, cioè gli operai che hanno visto, e che tuttora vedono, contrarsi il proprio ruolo nella società, la nuova rivoluzione che ci aspetta, con particolare riferimento alla tecnologia della blockchain, sarà pagata dai colletti bianchi, perché il loro apporto lavorativo sarà pesantemente ridimensionato.

Sono già evidenti i segni prodromici dei cambiamenti epocali in atto: non a caso soffia ovunque il vento dell’antipolitica, e non a caso si cerca più l’appoggio dell’uomo forte che del partito. Si configura lo smembrarsi della coesione pubblica basata su un sistema di valori consolidati e comuni, il cui rovescio della medaglia è un profondo senso di solitudine sociale che sfocia in rabbia e smarrimento. È il risultato della spaccatura sempre più profonda fra le masse e un’élite globale colta, preparata, digitalizzata, progressivamente più esigua e più potente che avanza di bolina in un mondo interconnesso e digitale; d’altro canto troviamo un appiattimento sociale verso il basso della classe media, che vede mutare le certezze delle realtà economiche di ieri e fatica a comprenderne gli sviluppi e trovare soluzioni di continuità, e che nel nuovo modo digitale e globale ha smarrito la bussola e insieme anche l’identità. Il tutto amplificato dal gigantesco problema della privacy, che viaggia in parallelo con il concetto di libertà e autodeterminazione.

Tuttavia non ci è permesso scendere alla fermata “futuro” e non ci è possibile rigettare quanto nella storia abbiamo conquistato a caro prezzo e grazie all’ordito delle regole, ovvero le nostre democrazie liberali, l’economia di mercato, l’apparato complesso delle tutele sociali in continuo e perenne sviluppo, l’impianto nell’etica pubblica, il principio dei diritti e doveri civili. La vera forza dell’homo sapiens è stata mantenere il filo della coesione sociale e civile creando ammortizzatori che, sulla base dei cambiamenti storici ed economici, ha saputo tessere un sistema di norme, il famoso “libretto d’istruzioni” che, adattato alle esigenze, ha come rotta il futuro di una società mai perfetta, certo, ma sempre un po’ migliore. Mi torna in mente una frase di vecchio saggio: «Ciò che avviene conviene per l’uomo intelligente», e questa dovrebbe essere la nostra direttrice.

Dall’Era del Capitalismo all’Era del Digitalismo

Vivere il presente spesso si traduce nell’impressione di vivere una bolla unica ed esclusiva del tempo, ma ogni epoca e ogni tempo sperimentano la medesima sensazione. È già stato ciò che è ora e, come è già avvenuto, oggi dobbiamo disegnare il nostro futuro, comprendendo che l’era del Capitalismo va sfumando e ci apprestiamo a vivere una nuova era: quella del Digitalismo.

Buona parte del potere che, volenti o nolenti, era appannaggio della politica, ovvero degli Stati nelle loro organizzazioni sociali ed economiche, oggi sta migrando in mano alla rappresentanza digitale che può essere anche di natura privata (si pensi a Google, Facebook, Uber, per fare solo degli esempi), perciò non è affatto trascurabile il peso che avrà, nell’imminente, la tecnologia della blockchain. In questa prospettiva credo che sia opinione condivisibile che il controllo dell’informazione intesa come forza e diritto, ora centralizzato, potrebbe, o meglio dovrebbe, essere decentralizzato e condiviso dalla rete, e che la dominanza tecnologica digitale non debba finire per essere appannaggio di privati bensì ricchezza condivisa della collettività.

Sarà necessario aprire tavoli governativi di lavoro per analizzare la portanza dell’impatto del digitale e comprendere che la tempesta perfetta deve essere navigata e non subita. Incentivi all’innovazione competitiva, sponsorizzazione di progetti innovativi pubblici che possano inserire a livello germinativo prospettive per un’autoregolamentazione efficiente, intervento del legislatore per creare un sistema di regole duttili ma utili a dissuadere concentrazioni potenzialmente pericolose, tutela del diritto alla privacy e all’informazione davvero libera: è necessario questo e molto altro, e forse siamo già in ritardo.

La soluzione, e la speranza, risiede in una normativa focalizzata sul bene comune che, come tale, per una società serena e di benessere, deve essere tutelativo. Un concetto che trova lucida espressione nelle parole di Edward W. Younkins: «Mentre la società è un ordine spontaneo, lo Stato è un agente protettivo con il ruolo monopolistico di far rispettare le regole della coesistenza civile».

*Giovanni Perani

Laureato in giurisprudenza nel 2015 ha da sempre maturato una grande passione per le tematiche e i processi della digital trasformation. Tale interesse lo ha spinto ad intraprendere un dual LLM tra Singapore e Londra durato due anni per studiare le implementazioni legali e economiche tra commercial law e IT law. A coronamento degli studi svolti ha scritto una tesi specifica sulle implementazioni della blockchain e sulle tematiche di un’eventuale regulation. Con esperienze lavorative tra J.P. Morgan e presso alcuni studi legali internazionali a Milano, ha deciso di dedicarsi al processo di digital trasformation, in particolare negli ambiti della blockchain. A tal fine ha partecipato e tutto segue diversi corsi e studi specifici come: “Computer Science” (online) presso la Harvard University e un summer program (online) sulla blockchain presso la MIT University. Professionalmente è parte attiva in diversi progetti legati alla blockchain come founder and business developer.

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