Dogecoin e il rischio di una bolla speculativa

Generata “per gioco” nel 2013, arrivata a segnare oggi un fenomenale +10.000% nel saldo complessivo, Dogecoin è considerata un culto nell’ambiente dei programmatori. Ma dietro il successo c’è il rischio di una bolla speculativa

Pubblicato il 28 Giu 2021

Gianluigi Pacini Battaglia

CEO Consulcesi Tech

Dogecoin

È Dogecoin mania. Continua imperterrita la corsa sfrenata della criptovaluta, generata inizialmente per gioco nel 2013 e oggi arrivata a segnare un fenomenale +10.000% nel saldo complessivo. Al punto che, nell’ambiente dei programmatori, Dogecoin è considerata ormai come un «culto». Inserita tra gli strumenti su cui poter investire grazie soprattutto al visionario Elon Musk – che via Twitter ha dimostrato in più occasioni molto interesse per la valuta – ha ricevuto l’endorsement anche da eToro, la multinazionale di social trading e brokeraggio multi asset, che ne ha esaltato le performance e la ratio con cui è stata concepita: «Dogecoin è stata sviluppata da ingegneri informatici che l’hanno studiata per renderla una delle blockchain più veloci per fare operazioni, grazie a intervalli di blocco di un minuto».

Dogecoin, come viene utilizzata

La moneta «canina», il cui simbolo è appunto un cane di razza giapponese (lo Shiba Inu), si pone insomma nel mercato del digitale come una valuta allo stesso tempo simpatica (era stata inizialmente pensata come un meme) e performante. Ma la fama di cui gode presso gli investitori è dovuta principalmente al trend attuale del settore, che premia soprattutto i progetti basati sulla blockchain che promuovono operazioni di prestito, finanziamento e trading, senza la presenza di intermediari. E non è poco.

dogecoin

Dogecoin, infatti, è utilizzata esclusivamente per effettuare pagamenti: basta creare un account su uno degli exchange dove è disponibile – come, ad esempio, Kraken, Binance o Bittrex – e inserire un metodo di pagamento, e il gioco è fatto. In tal senso, è simile al Bitcoin, perché permette di comprare beni o servizi secondo un metodo di pagamento decentralizzato, sicuro e bassi costi di commissione. E, come per il Bitcoin, mette in competizione tra loro i miners, sfruttando un’enorme potenza di calcolo (dunque richiede enormi consumi di energia elettrica) e intervenendo direttamente sul mercato.

Il rischio di una bolla speculativa

Tutto questo sembra soddisfare le aspettative degli investitori. C’è, però, un possibile rovescio della medaglia: «L’ascesa di Dogecoin è un classico esempio di una stupida teoria in gioco. Le persone stanno comprando la criptovaluta, non perché pensano che abbia un valore, ma perché sperano che gli altri facciano altrettanto. In questo modo, il prezzo aumenta e poi potranno vendere e guadagnare velocemente. Quando tutti seguono questa strategia, la bolla inevitabilmente è destinata a scoppiare», è il giudizio oltremodo severo di David Kimberley, analista presso Freetrade. A cui si sono aggiunti molti altri commenti non proprio lusinghieri di esperti e analisti del digitale, che non apprezzano l’animale digitale.

Secondo Money, ad esempio, esistono validi motivi per cui gli investitori retail dovrebbero evitare il Dogecoin: dalla limitata utilità all’assenza di un vero driver, il quotidiano economico ha segnalato cinque «red flag» sul possibile trading con Dogecoin. La prima, a ben vedere, è già di per sé una sentenza: utilità limitata. Scrive Andrea Ferrari: «Il Dogecoin non è utile, o meglio, in termini di applicabilità, non sembra trovare spazio nel mondo reale. Inoltre, a differenza del Bitcoin, questa cripto non ha un tetto di produzione. Ovvero, con il passare degli anni ci saranno sempre più Dogecoin sul mercato, almeno fino a quando ci sarà qualcuno disposto a minarli».

130 miliardi di token Doge in circolazione

Attualmente, i token Doge in circolazione sono poco meno di 130 miliardi e il rischio inflazionistico è dietro l’angolo, anche se sono in decrescita al ritmo di oltre 5 miliardi di unità l’anno. Seguono altre incognite, non di scarso peso: una è la mancanza di differenziazione, che fa di questa moneta virtuale una «simile a decine di valute che non godono tuttavia dello stesso hype». Un’altra consiste nel fatto che il progetto sia «monco da diversi anni» perché Billy Markus e Jackson Palmer, i due sviluppatori che hanno creato Dogecoin, hanno da tempo abbandonato a se stessa la loro creazione, «e lo sviluppo del Doge è affidato da allora a una comunità di fedelissimi dell’asset».

Manca un vero driver

Infine, si lamenta l’assenza di un vero driver che possa favorire un ciclico incremento della quotazione, diversamente dal Bitcoin. Dove invece «ci sono dei fattori tangibili, come l’investimento da 1,5 miliardi di dollari di Tesla o l’integrazione della criptovaluta nei sistemi di alcuni colossi dei pagamenti online». Mentre al momento il Dogecoin è solo «hype da social media, con una spolverata di tweet made-in-Musk. Troppo poco per poter immaginare ripetute fiammate del prezzo», conclude l’analisi di Money.

Il giudizio che sembra la pietra tombale sul futuro di Dogecoin arriva inaspettatamente da Billy Markus, proprio uno dei due sviluppatori del «cane digitale», che ha definito la quotazione della sua creazione «assurda». Anche se, in questo caso, le ragioni che sottendono a questa dichiarazione potrebbero essere interessate, e dunque fuorvianti per un investitore. In ogni caso, con un valore che ha ormai raggiunto i 62 miliardi di dollari, la capitalizzazione di Dogecoin ha superato persino quella di Twitter, della Ford e ora anche delle non meno controversa criptovaluta Tether. Insomma, Dogecoin abbaia e, per il momento, morde anche il mercato.

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