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I primi ETF su Bitcoin autorizzati dalla SEC e il ruolo dei cripto-assets nei portafogli finanziari



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Una nuova voce di commento sul mondo crypto ci arriva da Pietro Massimo Marangio, Counsel dello studio LEXIA

Pubblicato il 1 feb 2024



Pietro Massimo Marangio, Counsel dello studio LEXIA
Pietro Massimo Marangio, Counsel dello studio LEXIA

A seguito dell’autorizzazione rilasciata, lo scorso 10 gennaio, dall’Autorità regolamentare statunitense (la Securities and Exchange Commission – SEC) ai primi ETF spot su Bitcoin, dal 16 gennaio, – data di debutto in borsa, tra gli altri, l’iShares Bitcoin Trust di BlackRock – è consentita la negoziazione di tali veicoli di investimento a gestione passiva presso i mercati d’Oltreoceano, il che contribuirà sicuramente all’ulteriore successo di tale criptovaluta nei portafogli degli investitori, anche retail, di tutto il mondo ed al probabile incremento del suo valore.

Come noto, gli ETF sono fondi contrattuali o SICAV negoziati in borsa, caratterizzati dalla replica fedele del rendimento di determinati assets o panieri, indici (azionari od obbligazionari) o materie prime e dalle basse commissioni di gestione. In questo senso, il Bitcoin è assunto quale attività sottostante (come, ad esempio, l’oro) che funge da benchmark a cui è parametrato l’andamento del relativo ETF.

L’autenticità del Bitcoin nel panorama monetario

Questa notizia potrebbe offrire l’occasione per ripercorrere le tre diverse funzioni (quella di riserva di valore, di mezzo liberatorio di pagamento e di unità di conto) della moneta, osservando che il Bitcoin, quale strumento di investimento (perlopiù speculativo, in considerazione della sua elevata volatilità) assolve in particolare la prima funzione, difettando invece della seconda e della terza funzione.

E, al riguardo, si potrebbe aggiungere che, al contrario della moneta fiat, il Bitcoin è moneta crittografica alla cui emissione non corrisponde il debito di alcuna Autorità centrale che le riconosca valore legale, in quanto è l’attività della sua stessa “estrazione” decentralizzata, attraverso il calcolo computazionale e la tecnologia blockchain, a garantirne autenticità ed immodificabilità.

La disputa legale che ha aperto le porte agli ETF su Bitcoin

Oppure potrebbe essere interessante ricordare che l’autorizzazione di questa categoria di ETF è il risultato di una lunga ed aspra battaglia legale avviata contro la SEC da parte di Grayscale Investments, il maggiore gestore patrimoniale del mondo di digital assets e definita soltanto lo scorso mese di agosto.

La società ha vinto il contenzioso in ragione del fatto che la SEC non sarebbe riuscita a dimostrare quali differenze sostanziali giustifichino la disparità di trattamento tra l’ammissione a quotazione nei mesi scorsi di due ETP (Exchange Traded Products) sui futures sui Bitcoin ed il diniego all’ammissione degli ETF spot sulla medesima criptovaluta.

Il significato per gli investitori

Attraverso gli ETF sui Bitcoin autorizzati dalla SEC, sarà ora consentito agli investitori acquisire posizioni d’investimento e disinvestimento attraverso un prodotto finanziario regolamentato, senza la necessità di disporre di wallets digitali, di aprire un conto di negoziazione e custodire con cura le chiavi digitali o di ricorrere agli exchanges di cripto-attività, che al momento non sono affatto (negli Stati Uniti) o non sono ancora pienamente (in Europa, in cui però è stata emanata una regolamentazione all’avanguardia mondiale, qual è il MiCAR – Market in Crypto Assets Regulation – che entrerà in vigore entro la fine di quest’anno) disciplinati e vigilati. I casi di mala gestio delle società FTX e Binance hanno fatto tristemente scuola al riguardo.

L’autorizzazione dei primi ETF su Bitcoin determinerà verosimilmente una legittimazione generalizzata per banche d’affari e gestori del risparmio ad investire direttamente e massicciamente in tale criptovaluta, destinata ad apprezzarsi ancor più significativamente, mentre la concorrenza tra i gestori di ETF sta già conducendo alla progressiva riduzione delle commissioni di gestione applicate.

ETF spot vs. ETP in Europa

In realtà in Europa sono già domiciliati circa 130 ETP (non fondi comuni, ma comunque prodotti finanziari comprendenti ETC – Exchange Traded Commodities ed ETN – Exchange Traded Notes) su criptovalute, qualificabili come strumenti di debito quotati su varie Borse europee (quali Euronext Paris, Euronext Amsterdam, XETRA e SIX Swiss Exchange) e dalla durata lunghissima o illimitata (titoli di debito irredimibili).

In termini finanziari, l’autorizzazione agli ETF spot sui Bitcoin accorcia la catena dell’intermediazione finanziaria rispetto ai precedenti ETP sui futures sui Bitcoin, in cui l’esposizione di tale “wrapper” quotato alla criptovaluta in esame è solo mediata, nel senso che essa riflette l’andamento dei contratti futures sullo stesso Bitcoin ovvero quello delle azioni di società attive nel mondo cripto (CASP – crypto-assets service providers, come definiti dal MiCAR).

Al contrario, i sottoscrittori di un ETF sono titolari di quote investite direttamente nell’asset sottostante. Mentre gli investimenti effettuati dagli ETP non costituiscono patrimonio separato da quello dell’emittente, nei genuini ETF (come in tutte le tipologie di fondi) assume un ruolo fondamentale quello del soggetto depositario, che attribuisce concretezza qualificante al principio della separatezza patrimoniale, tipico della gestione collettiva del risparmio.

Non è un caso che gestori come Blackrock e Fidelity, nei loro filing autorizzativi, abbiano presentato alla SEC – per superare le sue perplessità – proposte di schemi di deposito volti a prevenire i rischi di malversazione o mismanagement come quelli che hanno condotto al fallimento della piattaforma FTX. ETC ed ETN, quando replicano l’andamento di un singolo asset, in luogo di un indice o di un paniere di attività, si sono diffusi in Europa proprio in alternativa ai fondi UCITS armonizzati, che invece impongono obblighi di diversificazione delle attività di investimento a tutela della clientela retail.

ETF spot su Bitcoin: cosa significherà per il mondo cripto

In conclusione, al momento esistono già molti ETP domiciliati in Europa ed anche alcuni ETF tematici legati alla tecnologia blockchain ammessi alla negoziazione sul segmento ETFplus di Borsa Italiana, ma nessun ETP negoziato in Italia e tantomeno ETF con esposizione verso un’unica criptovaluta che, come visto, per l’attuale assetto della regolamentazione finanziaria comunitaria non potrebbero nemmeno essere organizzati quali UCITS – ma, semmai, quali fondi di investimento alternativi (FIA) riservati.

È pero indubbio che l’autorizzazione di 11 ETF spot sui Bitcoin nel mercato più liquido del mondo attribuisce, de facto, un’importante e storica legittimazione a questa asset class, nonostante tutte le perplessità in termini di manipolazioni del mercato o di (asserita o reale) attitudine alla violazione degli obblighi antiriciclaggio che le criptovalute sollevano presso decisori politici ed Autorità di vigilanza.

Del resto, in un mondo dominato dall’abbondante liquidità (prima della recente fiammata inflazionistica) alla spasmodica ricerca di rendimenti, anche decorrelati dalle attività fondamentali (che alle spinte inflazionistiche sono appunto esposte), la speculazione è un fattore che non può essere trascurato per spiegare l’appetito degli investitori, ivi inclusi quelli retail, verso una determinata asset class.

Così si spiega, per esempio, anche il recente aumento, di poco meno del 10% in 24 ore, di Ether, la seconda criptovaluta più diffusa al mondo, sulle aspettative che, dopo quelli sui Bitcoin, i prossimi ETF ad essere autorizzati saranno quelli spot su Ether.

In realtà, l’innovazione tecnologica avanza inesorabile e la regolamentazione di settore si trova spesso costretta a rincorrere per disciplinare fenomeni nuovi e complessi: in tal senso, in Europa il Regolamento MiCA è una tappa fondamentale per coniugare innovazione tecnologica e protezione degli investitori.

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