Analizzare le tematiche giuridiche più interessanti nell’ambito degli smart contract: è questo l’obiettivo di un report pubblicato dall’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano dal titolo: “Gli smart contracts: Una analisi giuridica”.
Il rapporto, di cui si parlerà anche venerdì 17 gennaio, in occasione della presentazione dell’edizione 2020 dell’Osservatorio, parte con un aspetto sicuramente necessario: la definizione di cosa siano effettivamente gli smart contract, sottolineando i diversi distinguo inseriti ad esempio nella legislazione maltese oppure dalla Banca Centrale Europea, che ne parla come di “accordi quasi-contrattuali inseriti in un codice software”, per arrivare al tentativo di uniformare definizione e ambiti messo in atto dalla Smart Contract Alliance (“SCA”).
Dalla definizione degli smart contract…
C’è consapevolezza, va detto, che la discussione non solo sulla definizione di smart contract, ma soprattutto sul loro valore giuridico degli smart contract è ancora molto accesa e non ha trovato ancora uniformità di intenti né sulla normativa di volta in volta applicabile, né sulle responsabilità che si vengono a creare in capo alle parti coinvolte anche al di là dei soli adempimenti contrattuali.
Per questo motivo, è proprio la stessa SCA che propone una distinzione tra gli smart contract e gli “smart legal contract”, dando a questi ultimi un valore giuridico che li mette in grado di “eseguire a livello giuridico, i termini di un accordo concluso tra due o più parti”.
Il report mette in luce le criticità e anche gli scetticismi che accompagnano questo tipo di applicazione tecnologica, da molti considerati tutt’altro che “smart”, intelligenti, e soprattutto privi di effettivo valore giuridico.
Non è dunque un caso che molti, in particolare in Italia, preferiscano considerare gli smart contract di fatto come “una trasposizione di una funzione c.d. if … then …” e che siano dunque da intendersi come algoritmi “condizionali o condizionati” per cui al verificarsi di una situazione, quest’ultimo provocherà o farà scattare determinate azioni.
Sono distinzioni tutt’altro che irrilevanti, si legge nel report, soprattutto se si vuole, come stanno facendo Italia e Francia, far entrare queste tecnologie in modo organico nel proprio sistema giuridico. Si pensa infatti a implementare smart contracts Blockchain-based “per garantire una maggiore efficienza nei meccanismi di enforcement delle leggi o dei regolamenti amministrativi”.
…alle loro criticità
È un percorso non privo di criticità, si legge nel report: se i benefici degli smart contract anche nelle precedenti edizioni dell’Osservatori Blockchain sono stati messi in luce, non si può non tenere in considerazione le criticità che vanno dalla difficoltà a redigere contratti complessi e in una modularità non sufficiente a coprire tutte le casistiche possibili, alla criticità nella gestione della naturale ingerenza/influenza di altre categorie giuridiche, o ancora alla difficoltà nel determinare correttamente il giudice territorialmente competente.
C’è un ulteriore tema che viene analizzato nel report: in quale tipo di Blockchain viene inserito lo smart contract. In effetti, lo scenario cambia se si tratti di una Blockchain permissioned (cioè privata) o una permissionless.
Gli smart contract in Italia, Malta e Svizzera
Il report passa poi ad analizzare come i diversi Stati stiano effettivamente approcciando il tema: dall’istituzione di un gruppo di lavoro, incaricato di sviluppare una strategia nazionale, come ha fatto il MISE in Italia, agli atti legislativi della Repubblica Maltese, fino al legal framework sviluppato dalla Svizzera.
Il documento si chiude con una ulteriore, interessante disamina: qual è il rapporto tra la Blockchain e il GDPR? Perché anche questo è un aspetto da non sottovalutare: “alcuni obblighi e i diritti stabiliti nel GDPR si scontrano con le modalità di memorizzazione utilizzate dalla Blockchain”, si legge. È dunque importante capire come intervenire per far sì che non vi siano contravvenzioni rispetto al regolamento.
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