Era il 31 ottobre 2008 quando Satoshi Nakamoto pubblicava un breve paper, dal titolo “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System”, segnando la nascita delle criptovalute. A distanza di tredici anni, il fenomeno è in continua crescita (attualmente si contano più di 7500 criptovalute) e sta attirando l’attenzione dei legislatori. Se da un lato vi sono paesi apertamente ostili al fenomeno, come la Cina, che ha dichiarato illegali le criptomonete vietando tutte le attività ad esse legate; dall’altro lato vi sono Stati, come Cuba ed El Salvador, che hanno adottato un approccio opposto.
Criptovalute a Cuba e El Salvador
Alla fine del mese di agosto 2021, il Banco Central de Cuba ha emanato una risoluzione con cui sono state riconosciute espressamente le criptovalute (“activos virtuales”) definite come “rappresentazione digitale di valore che può essere venduta o trasferita virtualmente e utilizzata per effettuare pagamenti e investimenti”; il documento ha affermato altresì la volontà della Banca Centrale di regolamentare il loro utilizzo mediante la concessione di licenze per coloro che vorranno fornire tali servizi nel territorio nazionale.
Un approccio più radicale è stato invece seguito a El Salvador dove si è scelto di attribuire corso legale al bitcoin (che viene acquistato, dallo Stato, durante i suoi forti cali sul mercato, così da costituire delle “riserve auree”) e di affiancarlo al dollaro come valuta nazionale. Ma vi è di più: il presidente di El Salvador, Nayb Bukele, ha dichiarato di voler emettere titoli di stato, per un valore di un miliardo di dollari, garantiti da bitcoin, da utilizzare per finanziare la costruzione di una “bitcoin city” che baserà la sua economia sul mining della criptovaluta.
Al di là delle considerazioni in merito ai rischi e ai benefici che le criptovalute possano comportare, e della validità di tale scelte, è interessante comprendere quali siano stati i motivi alla base del loro riconoscimento: per quanto concerne Cuba le ragioni sono da ricercarsi nel pluridecennale embargo, imposto dagli USA, inaspritosi sotto l’amministrazione Trump e confermato dal presidente Biden. Nel 2020, gli Stati Uniti hanno infatti imposto nuove sanzioni che hanno impedito alla Western Union (società americana specializzata nei trasferimenti di denaro internazionali) di operare, con le istituzioni finanziarie cubane, portandola così a chiudere tutte le proprie sedi sull’isola. Ne è derivata l’impossibilità per i cubani emigrati di inviare rimesse, mediante l’utilizzo dei tradizionali canali finanziari, ai propri parenti nel paese.
Per ovviare a tale situazione si è pensato di aggirare l’embargo ricorrendo alle criptovalute: i cubani residente all’estero comprano criptomoneta che poi rivendono agli abitanti dell’isola in cambio di un prezzo, che viene versato, dall’acquirente, in contanti direttamente ai parenti del venditore. Questo sistema, iniziato in maniera rudimentale, mediante scambi di messaggi su WhatsApp si è col tempo evoluto fino alla creazione, di piattaforme di exchange locali, quali BitRemesas, pensate per mettere in contatto venditori di criptovalute presenti fuori da Cuba con acquirenti residenti nel paese.
L’Avana (fonte Pixabay)
Criptovalute a Cuba e El Salvador: i motivi della scelta
È all’interno di questo fenomeno che si innesta l’intervento della Banca Centrale che vuole sì permettere tali attività ma al contempo (coerentemente con lo status di paese socialista e statalista che caratterizza Cuba) vuole comunque provare a mantenere una forma di controllo su strumenti decentralizzati pensati per essere esenti da ingerenze statali.
Con riguardo a El Salvador, il motivo ufficiale, addotto dal governo, sarebbe dato dal risparmio che l’utilizzo del bitcoin genererebbe riducendo i costi di transazione (stimati in 400 milioni di dollari l’anno) necessari per effettuare rimesse nel paese con i metodi finanziari tradizionali. A ben vedere, tuttavia, la motivazione è più complessa: da un lato infatti il governo vuole attrarre nuovi capitali esteri, motivo per cui la legge, che ha adottato il bitcoin come valuta, ha previsto la concessione automatica della cittadinanza a chi investa nel paese centroamericano almeno tre bitcoin; dall’altro lato va notato come l’economia di El Salvador sia fortemente legata alle sorti del dollaro, essendo stato adottato come valuta ufficiale nel 2001 per superare una situazione di iperinflazione accentuatasi con la crisi del debito argentino. In tale contesto l’adozione del bitcoin può essere vista anche come un tentativo di emanciparsi dalla valuta USA senza però generare gravi ripercussioni economiche quali potrebbero esserci nel caso di un ritorno a una valuta nazionale autonoma.
Conclusioni
In conclusione, è evidente come le ragioni che abbiano portato al riconoscimento di tali strumenti di pagamento non siano da rinvenirsi in motivi ideologici bensì nella convinzione che le criptovalute possano aiutare questi a stati a risolvere problemi strutturali che caratterizzano le loro economie.
Sarà interessante vedere se le loro scelte pagheranno nel medio termine o se si riveleranno dannose per i cittadini.