Perché la blockchain sta diventando sempre più importante per le aziende? Ne sentiamo parlare sempre più spesso e un crescente numero di ricerche confermano la crescita della blockchain a livello di infrastruttura, di applicazioni, di integrazione e di sviluppo di soluzioni (leggi le ricerche di Osservatorio Blockchain del Politecnico, Gartner, Tractica, PwC). Il punto vero è nella domanda su come e quando la blockchain può essere utile per le imprese e in particolare per quelle che operano in una logica di filiera. A FARETE 2018 di Bologna si è voluto cercare di dare una risposta a questo tema su iniziativa di Decentra, Accademia dei Registri Distribuiti con i contributi di Franco Cimatti, presidente di Bitcoin Foundation Italia, primo traduttore del Software Bitcoin in Italiano e figura di riferimento della blockchain in Italia; Filippo Briguglio, giurista e consulente sui temi della sicurezza alimentare, Fabrizio Tonelli, Presidente di Decentra e Sergio De Prisco, membro del comitato scientifico di Decentra.
L’innovazione digitale e la blockchain per la certificazione alimentare
Filippo Briguglio
La Blockchain, l’Internet of Thing, l’Intelligenza Artificiale, la robotica e i Big Data sono parole chiave per leggere questa trtasformazione. Sono termini fondamentali per decifrare dove andremo nel futuro e sono imprescindibili per le imprese, anche e soprattutto nel settore food. Siamo davanti a una rivoluzione epocale e in particolare la Blockchain è un fenomeno dirompente dal punto di vista tecnologico, ma anche culturale, perché le aziende che si approcciano alla blockchain devono prima di tutto affrontare un cambiamento di mentalità. L’azienda deve essere pronta a un nuovo concetto di trasparenza, deve essere in grado di dare una risposta a questo tipo di approccio al cambiamento. Entriamo in un ambito in cui grazie alla blockchain le aziende e le filiere si devono confrontare con dati tracciati, trasparenti, immutabili, che impattano direttamente sul modo stesso di operare dell’azienda.
Briguglio ricorda poi l’iniziativa che coinvolge anche l’Università di Bologna Alma Mater Studiorum con l’accreditamento per una società startup spinoff nell’ambito della certificazione alimentare. In particolare, nel settore dell’agrifood, di cui noi ci occupiamo in maniera specifica, la sicurezza è un tema fondamentale. L’Università ha creato un master sulla sicurezza alimentare per formare degli operatori giuridici che sappiano muoversi nel settore importantissimo della certificazione alimentare. Ma per l’agrifood, questo fenomeno della blockchain quanto incide? Incide in maniera esponenziale. Noi stessi che ci rendiamo conto del cambiamento così rapido (gli analisti prevedono che nei prossimi 5 anni ci saranno più scoperte negli ultimi 40 anni). Quello che arriverà a livello di device connessi e Internet of Things: nei prossimi 2 anni ci saranno più di 20 miliardi device connessi, ci sarà il problema della gestione della enorme quantità di dati e sorgerà un problema di data quality, di sicurezza e di certificazione dell’identità delle fonti di dati.
Nel settore del food inizialmente ci occupavamo solo di formazione, ci rendiamo conto che il cambiamento è così rapido che chi si iscrive a giurisprudenza oggi rischia di uscire fra 5 anni con competenze che sono già superate. Questi cambiamenti devono essere vissuti immediatamente, il problema del mondo della formazione è anche quello di saper leggere per tempo queste innovazioni.
Portare la formazione blockchain nella certificazione alimentare
Nel master quest’anno cominciamo ad esempio con l’alfabetizzazione blockchain, proprio per supportare i nostri operatori a muoversi e avere questo tipo di conoscenza. Perché, nel momento in cui entriamo nel mercato, e andiamo a fare una certificazione (l’esempio attiene in modo particolare al mondo vegan, quindi a tipologie di prodotto 100% vegetale), abbiamo la necessità di introdurre fra i vari meccanismi di controllo anche una filiera trasparente e tracciata.
Occorre considerare che consumatori considereranno in modo sempre più importante i temi della sicurezza alimentare. Cosa c’è di meglio che poter avere un prodotto che va dal campo alla tavola, di poterlo certificare in una filiera che è trasparente e che passa ovviamente attraverso la blockchain? Non è solo questo il punto, tutte queste tecnologie devono integrarsi e dialogare fra di loro. Se io voglio migliorare la mia produzione, devo rendermi conto che avrò sempre di più connessioni, ad esempio con l’Internet of Things che è sempre più fondamentale: device connessi sui terreni, gli ambiti del precision farming, la logistica, tutti questi dati, da un lato, rendono la filiera sempre più trasparente e permettono di attuare nuove forme di certificazione, nuove metodiche. Inoltre c’è il tema e le prospettive della grande distribuzione, dove si portano prodotti che hanno alle spalle una storia sicura e verificabile e che consente di provarne in modo sicuro la qualità. Tutta una serie di sensori su tutta la supply chain consentono di arrivare a un certo tipo di dimostrazione della qualità del prodotto, e questa qualità può essere certificata dalla blockchain. Per la grande distribuzione e il retail si tratta di disporre, sullo scaffale, di prodotti con un alto valore aggiunto.
Il tema centrale della blockchain: Governance
Il tema della governance nelle filiere che adottano la blockchain è centrale. Non dobbiamo parlare di governance intesa come regolamentazione, ma come un modo per definire un corretto equilibrio fra un’innovazione dirompente (come appunto quella della blockchain) e creare nello stesso tempo una organizzazione in sintonia con le procedure e le modalità operative delle aziende.
Attualmente le piccole aziende non stanno investendo come dovrebbero su queste innovazioni tecnologiche, ma devono rendersi conto che tutti questi fattori di innovazione faranno la differenza dei prossimi anni. Siamo assolutamente certi che chi capisce questa innovazione, chi sa scegliere e investire, nei prossimi anni “mangerà gli altri”, perché muoversi quando il fenomeno ha codificato una sua logica di approccio rischia di essere tardi.
In molti casi la blockchain viene assimilata ai bitcoin. E’ molto importante far comprendere che la blockchain non è solo questo: si parte da Bitcoin ma ha una serie di applicazioni straordinarie, in tanti campi diversi.
Rivoluzione Blockchain Bitcoin: una sintesi unica tra etica e tecnologia
Franco Cimatti
Perché la blockchain ha valore? Per capire occorre fare qualche passo indietro. Occorre partire dall’interesse delle tecnologie peer to peer. Si deve risalire all’epoca caratterizzata da software che permettevano lo scambio di dati fra più persone. Il primo software di questo genere è arrivato con Napster, ed significativo ricordare che è stato chiuso perché pur essendo uno scambio fra gli utenti che si collegavano usavano comunque un server centrale, e le autorità hanno poi deciso e potuto chiudere. Ci sono stati poi altri software peer to peer sempre più distribuiti, ma comunque centralizzati.
Con la blockchain si andava ad eliminare l’elemento debole di questa tecnologia, ovvero la necessità degli utenti di collegarsi ad un server centrale, che poteva essere bersaglio delle autorità o di hacker. Attualmente esistono ancora dei servizi peer to peer molto evoluti che consentono lo scambio di file, musica, altri tipi di documenti ecc… Ma perché è importante questo tipo di evoluzione? Bitcoin è un software peer to peer, una soluzione tecnica che permette di avere una distribuzione di dati tra utenti, ma anche e soprattutto una distribuzione della sicurezza. Sparisce il punto debole della centralizzazione. Ad esempio quando ci si collega a un servizio bancario ci si collega a un servizio centrale, che in quanto chiaramente identificabile e univoco può essere bersaglio di minacce o di azioni. Può essere oggetto di un’azione da parte di chi intende prenderne il controllo, ma può entrare un’autorità che ne limita l’uso, o può anche essere chiuso.
Bitcoin è una rete peer to peer e può funzionare senza la possibilità di essere facilmente attaccato. Prima del Bitcoin, c’erano altre monete, che però avevano un servizio centrale, e a loro volta, per ragioni diverse, sono state chiuse. Il Bitcoin c’è ancora anche perché non ha un elemento centrale da colpire. Gli utenti installano un software, che è un insieme di regole, e decidono di seguire tutti insieme queste regole installandolo. All’inizio non c’era un valore, il bitcoin era solo un numero. Ora sta diventando una conoscenza comune.
La blockchain e i bitcoin sono molto collegati. La blockchain è il database alla base della rete peer to peer bitcoin, un database distribuito, che può essere usato, oltre che per trasferire moneta e valore, anche per salvarci dei dati, o delle impronte di dati, che permettono a questi dati di non essere modificabili. Ad esempio, la blockchain può essere usata per salvare i dati del trasferimento di prodotti alimentari. Si è sicuri che quel dato non può essere modificato, il cliente stesso può controllare tutto quanto, in qualsiasi momento, e vedere come e dove sono state effettuate modifiche o se è stato postato un dato falso. Si può cioè scoprire chi è che lo sta modificando, e lo si può vedere immediatamente. Questa tecnologia permette di avere la sicurezza di quando il dato è stato scritto, chi l’ha scritto e si ha la sicurezza che non venga modificato.
Fiducia, sicurezza, onestà, trasparenza e tecnologia
Come si può definire la sicurezza della blockchain? Si può dire che non è possibile essere disonesti. Quando c’è un elemento centrale (banca, governo) vuol dire che c’è un essere umano che può intervenire, non solo in modo positivo, ma anche in negativo. Ci possono essere ovviamente controlli, ma questi hanno un costo, che poi finisce anche sull’utente finale. Se andiamo a distribuire il controllo sugli utenti vuol dire che questo costo sparisce, e magari possono servire norme minori, meno burocrazia, per avere, anche, una maggiore sicurezza. È questo il vantaggio: andare a distribuire il controllo sfruttando la tecnologia permette di rendere impossibile fare un attacco e consente di modificare questi dati. Non c’è più un’autorità o un elemento terzo che interviene contro l’interesse degli stessi utenti che stanno sfruttando questa tecnologia. Sparisce la burocrazia e spariscono i costi: è questo il vantaggio futuro.
Quando serve e quando non serve la blockchain?
Sergio De Prisco
Sicuramente la blockchain non serve a un’azienda sola. La blockchain è una scrittura di dati in cui vengono annotate interazioni di qualsiasi natura (sociali, giuridiche, economiche) tra più soggetti che condividono gli stessi principi. La blockchain è un ecosistema, in cui una pluralità di soggetti deve accedere agli stessi dati e vede gli stessi dati. È più ragionevole pensare che una singola azienda si possa orientare fra vari progetti e tra diverse interlocutori (di filiera ad esempio) più che intraprendere il proprio progetto blockchain. Normalmente un’azienda sarà portata a scegliere fra vari progetti; non è necessario richiedere all’interno dell’azienda delle competenze per valutare questi progetti, perché normalmente queste competenze non ci sono, però sicuramente un progetto che coinvolge una sola azienda non ha senso. La blockchain deve contemplare una pluralità di soggetti.
Ha poco senso anche un progetto basato su autorità centrali a cui far riferimento, tradisce l’idea stessa della blockchain. Bisogna pensare che tutto si può fare con un database centralizzato. Dove non si può fare con un database centralizzato (che è molto più economico, efficiente)?
Se c’è una pluralità di soggetti che deve accedere agli stessi dati e non può/non vuole/non ha interesse a istituire un’autorità centrale che tenga questi dati, magari perché non c’è fiducia reciproca. Ad esempio nel caso di network di banche. In questo caso ha senso parlare di blockchain.
Dove vengono scritti questi dati? Non sulla blockchain. La blockchain è un registro distribuito presente presso tutti gli utenti, o almeno una parte. L’idea di fondo è che ce l’abbiano tutti. Immaginate quanto costa dover avere i dati di tutti sulla blockchain. Se un progetto si propone questo, probabilmente rischia di non essere sostenibile. I dati devono essere altrove, distribuiti in vari modi, possono essere archiviati peer to peer, o ci può essere un mercato di archiviazione, di spazio misto dove registrare questi dati, magari gestito anch’esso su blockchain, però è essenziale che i dati non siano sulla blockchain. Sulla blockchain di solito si porta una impronta di dati, una traccia che dimostra che quei dati esistono altrove e sono coerenti, esistevano quel giorno a quell’ora e in quella forma. In questo modo la blockchain ha senso. Perché la blockchain non è un database più veloce, più efficiente ed economico: la blockchain è un database che rischia di essere lento, inefficiente e costoso. Non è per queste ragioni che si deve scegliere la blockchain.
Dalla fiducia centrale alla fiducia di tutti
Perché questo è il prezzo che si paga ad avere un algoritmo di consenso che metta tutti d’accordo senza bisogno di una fiducia centrale. Ovviamente questo è costoso, quindi è necessario che i dati siano da un’altra parte. Nella storia non abbiamo mai conosciuto altro che registri centralizzati; ad esempio tutti noi abbiamo identità, ma l’anagrafe ce l’ha il comune, abbiamo del denaro, però il registro è nelle banche, abbiamo delle società, però questo è un registro che sta nelle camere di commercio ecc… Per la prima volta abbiamo una tecnologia che permette agli utilizzatori di avere in mano questi registri. Dobbiamo ancora capire cosa questo significhi, persino noi facciamo ancora fatica a capire dove si può arrivare con questa tecnologia. Il lavoro che facciamo in Decentra, oltre alla formazione, è quello di vagliare delle suggestioni che ci arrivano, che ci arrivano in forma di progetti, e trasformarle in progetti. Questo è il lavoro più difficile.
Tutto parte dall’assessment
La blockchain è come internet: le aziende che vogliono avere un vantaggio competitivo ne devono sposare la filosofia completamente, non solo in parte. Quelle che riusciranno a sposarla completamente, avranno un vantaggio competitivo, ma devono crederci e devono contare sul valore delle competenze. Non si può pensare di avere un referente interno dell’azienda, del tutto marginale e magari assunto un anno prima, con la responsabilità di traghettare l’azienda, il processo produttivo, le persone verso un’organizzazione del tutto diversa. Devono essere coinvolti i titolari, l’amministrazione: devono essere loro a fare la strategia, e poi delegare.
Il rapporto tra blockchain e startup: ICO
Con la blockchain è arrivato anche la prospettiva dell’Initial Coin Offering (ICO) come un sistema per cercare i capitali di rischio – e non capitali di credito – direttamente sul mercato, scavalcando tutte le normative andando direttamente ai finanziatori. Anche i finanziamenti delle startup hanno subito una rivoluzione, con questi modelli e via via che maturano le tecnologie e le tecniche, compaiono piattaforme e nuove modalità per finanziare le startup in modo diverso.
La mortalità delle startup è elevatissima nei primi due anni, chi le finanzia ha grosse probabilità di vedere il suo capitale sfumato, o bloccato, quindi era veramente un’operazione da temerari. Con blockchain e smart contract si può innovare. Noi abbiamo pensato di dare un ruolo completamente diverso agli sviluppatori/incubatori d’impresa; gli incubatori devono per forza finanziare le imprese, è nel loro interesse. Essi propongono un paniere di startup agli investitori, poi questi le finanziano autonomamente con la criptovaluta interna della piattaforma e ricevono in cambio i token dell’incubatore. L’incubatore possiede le azioni delle startup e quando l’investimento si completa in 4/5 anni di tempo, quando si arriva all’exit, va sul mercato, le vende e con la vendita compra i suoi token, facendoli aumentare di valore. Questo sistema fa sì che gli investitori possano investire non verticalmente su una startup, ma su un paniere, abbassando il rischio. Se il paniere va male o se non piace l’attività di affiancamento dell’incubatore, si può vendere i token dell’incubatore, permettendo di liquidare gli investimenti in qualsiasi momento.
Le tre caratteristiche di questo approccio
- Non è più capitale bloccato
- Si riduce il fattore di rischio
- Si può investire su molte startup
Decentra: serve una cultura che sappia sviluppare la blockchain
Fabrizio Tonelli
Decentra nasce da una suggestione: volevo costruire una scuola per due persone (i miei figli) e i loro amici per spiegare a loro il meraviglioso mondo in cui stiamo per entrare e in cui entreremo con più vigore. Così, due anni fa, quando costituii una società finanziaria di criptovalute, chiesi a loro se fossero disposti a fare un finanziamento per una scuola. A metà dell’anno scorso ci siamo resi conto che una scuola era necessaria, perché ci siamo trovati con una notevole mole di lavoro (non ci sono sviluppatori che hanno le giuste competenze).
Da settembre abbiamo cominciato questa iniziativa, che è una scuola che fa corsi di formazione a sviluppatori che vogliono imparare a sviluppare su blockchain, bitcoin, ethereum ecc. I nostri corsi iniziano ad ottobre e Decentra è a Bologna. Il nucleo portante di questa accademia è il comitato scientifico che è autonomo ed è formato da persone di altissimo livello.
Le persone in grado realmente di poter insegnare questo tipo di tecnologie sono poche. Il comitato scientifico si occupa di selezionare le persone che insegneranno a utilizzare questi strumenti.
I primi corsi sono per sviluppare su bitcoin. Il primo comincia a ottobre, il secondo è a novembre, il terzo è a gennaio. Diverse aziende del comparto offrono borse di studio, alcune imprese contribuiscono perché hanno l’interesse a formare personale interno o nuovo personale da assumere. L’esigenza di avere sviluppatori con questo tipo di skill è enorme e sarà sempre più grande nel futuro. Inoltre, il contenitore giuridico di Decentra è un’associazione, ci si può associare e questo offre la possibilità agli associati di frequentare l’associazione, di poter parlare col comitato scientifico e conoscere in modo più approfondito questo argomento, sapendo che hanno dall’altra parte interlocutori preparati.