Nel 2014 l’FBI fece richiesta a Microsoft di rendere pubblici alcuni file che un abbonato di Office365 conservava sul cloud di Azure. Microsoft impugnò la richiesta e, motivando che era contraria ai principi del primo emendamento della costituzione americana, ottenne il permesso di non rivelare il contenuto dei file. La vicenda fece però scalpore, perché portò all’attenzione pubblica un fatto, in realtà ovvio, ma dalle profonde implicazioni: il gestore dello storage poteva avere liberamente accesso ai file dei propri utenti. Questo fatto sollevò quesiti e inquietudini attorno alla reale privacy e sicurezza dei file che vengono salvati in cloud.
Quello di una possibile ingerenza governativa è solo uno dei limiti tecnici legati alla gestione dello storage in cloud. Altri comprendono l’effettiva garanzia di una corretta ridondanza del dato in caso di guasto fisico dell’hardware dei server.
Ma è stata soprattutto l’esigenza di una maggiore privacy dei documenti sensibili a motivare la ricerca verso tecnologie di storage in grado di garantire una totale protezione del dato dall’accesso di utenti non esplicitamente autorizzati dal proprietario dell’informazione. La blockchain, in questo senso, può rappresentare una soluzione.
InterPlanetary File System
InterPlanetary File System (IPFS) è un protocollo per lo storage di file di ogni tipo (testo e multimediali) dotato di capacità di condivisione Peer To Peer, cioè con una tipologia di rete simile a quella di servizi come BitTorrent, in grado di garantire la gestione di un file system distribuito. Il limite dell’hosting centralizzato viene superato grazie al meccanismo di indirizzamento del contenuto (content addressing) proprio del protocollo, che in questo modo è in grado di identificare in maniera univoca ogni file all’interno della rete che connette i nodi IPFS, senza dover fare riferimento a un percorso fisico sul server. Una caratteristica rivelatasi particolarmente disruptive del protocollo IPFS è stata la sua capacità di distribuire siti web multimediali accessibili da browser con i soliti protocolli HTTP e HTTPS, che lo ha reso appetibile al grande bacino di sviluppatori web.
Per l’accesso ai file, IPFS non utilizza un indirizzo su un disco locale, ma un Identificativo del Contenuto (CID). Un CID è, dal punto di vista logico, simile ai puntatori utilizzati in alcuni linguaggi come il C per accedere alle variabili e permette di recuperare il dato senza preoccuparsi dei nodi su cui è fisicamente salvato.
Questo sistema di indirizzamento dei file catturò l’attenzione di alcuni ingegneri che stavano sviluppando soluzioni Web3 impiegando la blockchain, perché permetteva loro di implementare uno storage non centralizzato e di liberarsi dall’obbligo di dover impiegare le soluzioni cloud già esistenti, che erano contrari ai principi con cui stavano sviluppando le loro applicazioni innovative.
Lo storage sbarca sulla blockchain
IPFS apparì ai loro occhi la base ideale su cui sviluppare soluzioni di storage potenzialmente affini ai principi della decentralizzazione. La sua capacità di replicare e indirizzare i file in base al loro contenuto e non alla loro locazione ha fatto sì che nel 2017 venisse fondato un progetto il cui scopo era di appoggiarsi a IPFS per realizzare la prima soluzione di storage sulla blockchain. Protocol Labs, un’azienda che annovera tra i suoi stakeholders anche uno dei padri di IPFS, con il progetto FileCoin realizzò una delle più riuscite raccolte fondi della storia della Fintech.
FileCoin è stato sviluppato approfittando di tutte le funzionalità offerte da IPFS per fornire uno storage decentralizzato e solido dal punto di vista della privacy. L’obiettivo di FileCoin è stato di creare un vero e proprio marketplace dello storage in cui il prezzo del servizio non venga imposto da un’autorità centrale, ma determinato dinamicamente dalla contrattazione tra la domanda e l’offerta degli utenti. Per ottenere questo risultato, FileCoin ha introdotto un proprio token e un algoritmo di consenso proprietario: il Proof of Storage, che distingue la blockchain del progetto dalle altre blockchain già esistenti, come ad esempio Bitcoin. Con questo meccanismo di consenso, infatti, il miner riceve ricompense in criptovalute in proporzione allo spazio di storage che mette a disposizione della rete.
L’evoluzione dello storage su blockchain
FileCoin assistette in breve tempo a una significativa crescita della propria base utenti, e il suo successo diede vita a una scia di competitors, che cercarono di migliorare alcuni limiti dell’implementazione originaria o di estendere il servizio ad altre blockchain. Una di queste proposte alternative è Arweave, una soluzione di storage nata all’inizio principalmente per la rete Solana, una blockchain che vanta una scena NFT particolarmente attiva. Arweave si impegnò per offrire ai creatori di NFT un’esperienza di storage trasparente, che garantisse la preservazione per un tempo garantito infinitamente degli asset su cui l’NFT era costruito.
Un’altra proposta di storage su blockchain è il progetto Crust, particolarmente focalizzato sulla privacy. Crust assegna un token univoco all’utente per ogni file salvato, e solo chi è in possesso di quel token può visualizzare il contenuto del file, che rimane inaccessibile ai gestori dello storage.
Un altro progetto che ha destato recentemente interesse è Storj. Storj offre all’utente un’interfaccia intuitiva come Google Drive, ma permette di accedere a un’infrastruttura di storage interamente su IPFS.
Oltre alle nuove infrastrutture di storage, sono sorti anche dei servizi che ne estendono le funzionalità o che nascondono agli utenti gli aspetti più tecnici. I creatori di NFT, ad esempio, possono avvalersi di provider di storage (come Pinata) per poter usufruire di interfacce che semplifichino la gestione IPFS preservandone tutte le funzionalità avanzate.