La moneta programmabile? Forse con gli stablecoin …

Pubblicato il 19 Dic 2018

tokenizzazione

Marco è un ragazzo di 16 anni che, trovandosi in viaggio per diporto all’estero, è a corto di liquidità e chiede al padre di poter ricevere un po’ di fondi, così da far fronte alle imminenti spese che dovrà affrontare prima che le sue vacanze terminino. Vitto, alloggio, mezzi di trasporto, frequentazione di locali e luoghi di intrattenimento e cultura, sono i beni di “prima necessità” che, commisurati alle aspettative del viaggio, il ragazzo desidererebbe potere liberamente disporre.

Il padre, pur fidandosi del figliolo, vorrebbe essere certo che la liquidità intenzionato a trasferire al giovane, non “finanzi” altre spese … e, pertanto, vorrebbe “legare” quella disponibilità a beneficio di Marco il più possibile indissolubilmente a una “regola di spendita”: Marco può usare il saldo che gli viene messo a disposizione, ma solo presso taluni esercizi commerciali che non vendono o propongono “altre attrazioni” (diciamo così …).

Uno scenario così descritto molti sanno che è tecnicamente fattibile, laddove il trasferimento di fondi che interessa Marco e il suo papà avvenga in valori monetari caricati su strumenti di pagamento a spendibilità limitata (ad esempio una carta ricaricabile per il solo trasporto o per l’accesso a certuni luoghi d’interesse artistico-culturale). In questa circostanza, la fiducia riposta nello schema che gestisce questa forma di valore monetario (che, lo ricordiamo, non è assimilabile alla moneta elettronica) e negli affiliati, ossia coloro che accettano di negoziare beni e servizi permettendo l’impiego della carta privativa, deve consentire al genitore di trascorre sonni tranquilli.

L’uomo è – necessitate virtute – certo che nessuno (né in alcun caso) vorrà poter convertire il valore monetario privativo in moneta a corso legale, così come non sarà possibile che qualche “furbetto” accetti il pagamento con lo strumento privativo, per la somministrazione di altri beni non prettamente inerenti all’attività commerciale dell’esercizio stesso.

Fuor d’ogni metafora e guardando con l’occhio più realista del re (si diceva un tempo …), è facile accorgersi di come la buona volontà spesso non basti …
Se fosse possibile scrivere una regola che venisse verificata nell’istante (e non successivamente) in cui Marco, vantando quella disponibilità frutto del trasferimento avviato dal padre, si accingesse ad acquistare il bene legittimo, una regola che, per intenderci, fosse tale da permettere al beneficiario di potere, a propria volta, disporre in futuro della somma incassata, solo se effettivamente legittimato ad accettare quello strumento di pagamento presentato da Marco (e magari solo a fronte della vendita di quel bene … e non altro). Se tutto ciò fosse possibile, a quale tecnologia potremmo guardare con maggiore attenzione? Forse alla blockchain e, probabilmente, ad una caratteristica molto particolare degli asset (o, meglio, dei criptoasset) che tramite di essa possono essere scambiati: la programmabilità.

La moneta elettronica è programmabile?

La moneta elettronica, intesa nell’accezione prevista dal TUB (Testo Unico Bancario) come “(…) il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento (…)” (Decreto legislativo del 1 settembre 1993 n. 385 – art. 1, comma 2, lettera h-ter), non consente di essere “programmata” per il rispetto delle regole di spendita. In quanto tale, pertanto, essa può venire accettata da chiunque, purché sia convenzionato con il circuito o con l’istituto emittente.

Gli strumenti privativi, dal canto loro, si limitano ad essere impiegati e accettati sulla base di un accordo commerciale previo, in essere tra lo schema stesso e, rispettivamente, il detentore dello strumento e l’esercente/insegna. Qualsiasi tentativo di introdurre regole sulla spendibilità del mezzo, passa inevitabilmente per il ricorso ad una fiducia che, laddove tradita, pone non poche difficoltà a mitigare qualsivoglia lite legale gestita ex post.

Sulla base di queste semplici considerazioni possiamo affermare che né la moneta elettronica e neppure i valori monetari impiegati in uno schema di pagamento privativo, possano dirsi idonei a adottare regole (e controlli) “eseguibili” nel momento in cui avviene il trasferimento fra un generico pagatore e un generico beneficiario.

La fiducia, sempre necessaria, va riposta nell’ente centrale in quanto soggetto garante della liquidità e fungibilità degli strumenti impiegati. Tale soggetto sarà chiamato a rispondere delle – eventuali – controversie contabili ma, in nessun caso, potrà essergli richiesto di entrare nel merito di un controllo sulle transazioni e il loro ambito di realizzazione, nell’atto stesso in cui dette transazioni si compiono.

Asset, criptoasset, token

A questo punto il lettore, incuriosito dal titolo di questo articolo, se avrà intuito il significato di moneta programmabile per come lo abbiamo sin qui esposto, si chiederà cosa sono gli “stablecoin”.

Prima di esaudire (lo auspichiamo) la richiesta, fugando qualsiasi dubbio interpretativo è opportuno soffermarsi sul significato di tre fondamentali “componenti” di qualsiasi ecosistema basato su blockchain: asset, criptoasset e token.

Procediamo quindi con la proposta di alcune definizioni nelle quali chi scrive crede, convinto della loro “utilità didattica” più che dell’effettiva rispondenza lessicale (un esercizio, quello di mappatura lessicale, su cui insistono diverse proposte di tassonomia, allo stato attuale in fieri)[1].

Asset:

  • Ogni entità materiale o immateriale suscettibile di valutazione economica soggettiva è considerata un asset;
  • I diritti connessi all’utilizzo e allo sfruttamento delle attività, materiali o immateriali che siano, si possono concentrare in titoli finanziari rappresentativi dei diritti stessi;
  • Gli asset sono scambiabili su piattaforme di scambio tradizionali.

Criptoasset:

  • Rappresentazione digitale di valore resa univoca grazie all’impiego di meccanismi criptografici;
  • I criptoasset possono essere “depositati” su piattaforme Distributed Ledger rispettando le regole di un protocollo di blockchain (si parla in questo caso di “asset nativi”);
  • I criptoasset possono essere scambiati su piattaforme Distributed Ledger rispettando le regole di un protocollo di blockchain (anche in questo caso si tratta di “asset nativi”).

Token:

  • È una “legatura digitale” della legittimazione di un diritto al titolo rappresento dal criptoasset che consente di creare un legame tra un bene fisico (oppure un bene “off chain”, ossia che sta al di fuori della blockchain) e un asset nativo delle blockchain;
  • Il token è scambiabile su piattaforme Distributed Ledger;
  • In una transazione in token su Distributed Ledger, la validità dei negozi giuridici sottostanti è garantita da un protocollo di blockchain, anche tramite l’impiego di opportuni “Smart Contract”.

Cosa sono gli stablecoin

Veniamo ora (finalmente!) a definire cosa sono gli stablecoin, non senza informare chi legge che, in altre letterature, sono altresì noti con il termine “fiat Pegged Token”.

Gli stablecoin sono una rappresentazione digitale di valute fiat che potremmo definire “aumentata”. Con rappresentazione digitale di una moneta fiat intendiamo ad esempio la moneta elettronica (come precedentemente definita), ossia una moneta a corso legale smaterializzata digitalmente.

Cosa vogliamo significare invece con l’aggiunta del termine “aumentata”? Nell’analogia con la realtà aumentata, un token di questo tipo è in grado di conferire alla moneta fiat alcune caratteristiche speciali che possiamo riassumere come al seguito:

  • programmabilità,
    l’esecuzione di una transazione su blockchain può essere vincolata a un set di regole predefinite e “cablate” all’interno del token che determinano come (o dove) può essere usata la fiat money rappresentata dal token stesso;
  • frazionabilità delle fonti di liquidità,
    usato come mezzo di pagamento, la transazione con questo token consente di attingere da più fonti di liquidità e inviare il pagamento a diversi beneficiari, garantendo l’atomicità della transazione stessa;
  • verificabilità e tracciabilità,
    tutte le transazioni effettuate mediante queste tipologie di token su una blockchain, permettono di mantenere una traccia immutabile degli scambi avvenuti tramite la moneta fiat rappresentata su un registro distribuito verificabile da terze parti.

Chiariamo anche due altri aspetti importanti che riguardano questi token:

  1. nel novero dei medesimi non è corretto includere ciò che, più comunemente, chiamiamo criptovalute (come ad esempio i Bitcoin e tutte le sue derivazioni) laddove queste ultime non hanno (né potrebbero avere stante l’attuale regolamentazione) alcuna legittimazione di moneta fiat al di fuori dei propri network;
  2. gli stablecoin potrebbero essere utilizzati come mezzo di scambio assolvendo sia le funzioni che abbiamo descritto in precedenza con riferimento a ciò che abbiamo chiamato criptoasset, sia gli obblighi derivanti da un set di regole definibili all’esterno (ovvero off chain), come ad esempio il caso del trasferimento fra il padre di Marco e suo figlio o, per fare altri esempi, in un’economia di scopo o del territorio, o, ancora, in un contesto di donazioni nel quale si vuole avere certune garanzie circa la (effettiva e coerente) spesa/impiego degli importi donati.

Più genericamente, uno stablecoin può essere considerato una nuova fattispecie “facente funzione di moneta”, emessa e gestita tramite l’impiego di tecniche criptografiche tipiche delle blockchain, legata ad un bene fisico o digitale, come l’oro o altre valute come l’euro o il dollaro statunitense.

L’uso corretto degli stablecoin ne permetterebbe l’impiego in associazione agli Smart Contract gestiti su blockchain, evitando il problema dipeso dalla volatilità associata alle criptovalute come Bitcoin.

Grazie agli stablecoin sarebbe quindi possibile “tokenizzare” la vauta fiat, ad esempio tokenizzando la moneta elettronica. È tuttavia necessario un “sistema” che sia in grado di fornire una “stabilità” per questi particolari token, evitando repentine fluttuazioni che ne renderebbero poco praticabile l’impiego massivo, mediante la predisposizione di riserve patrimoniali “reali”.

Una volta che la moneta elettronica viene “tokenizzata”, infatti, per essa (e per le transazioni con essa effettuate) deve essere sempre garantito un cambio 1 a 1 con valuta reale sottostante (valuta fiat).
Ogni stablecoin deve corrispondere a un bene reale mantenuto (sotto forma di riserva) da un soggetto che “concorre” all’emissione del token (ad esempio una piattaforma tecnologica operata da un consorzio o da un’associazione). A tal proposito si potrebbe pensare a un ruolo, molto efficace ed opportuno, delle banche o degli istituti di moneta elettronica, in quanto soggetti vigilati da autorità competenti di settore e autorizzati a gestire l’emissione di moneta collateralizzata.

Come garantire il prezzo stabile degli stablecoin

Esistono almeno quattro approcci generali per una strategia di emissione di queste particolari tipologie di token; riteniamo utile trattare in questo contributo solamente la prima strategia denominata “fiat-collateralized”, in quanto quella che (a opinione di chi scrive) meglio potrebbe contemperarsi con le esigenze di regolamentazione.
Con riferimento al soggetto (o entità) che garantisce la stabilità di cambio di questi tokens, è la presenza di fiat asset nelle riserve che tale soggetto è obbligato a detenere che collateralizza gli stablecoin, garantendo in questo modo la stabilità dei prezzi, ancorando il valore simbolico del token al valore nominale del patrimonio detenuto e mantenuto; un patrimonio di vigilanza su cui può (rectius, deve) intervenire una specifica autorità competente.

Le altre modalità che si prefiggono di operare a supporto dell’emissione di stablecoin (crypto-collateralized, algorithmic non-collateralized, ibride) possono essere oggetto di attenzione ma, almeno per ora, non si caratterizzano per offrire garanzie sufficienti a rendere fungibile un impiego diffuso di questi token.

L’impiego degli stablecoin in diversi contesti

Riprendendo il caso di Marco e di suo padre raccontato in incipit di questo articolo, è opportuno rimarcare come, laddove il trasferimento di disponibilità avvenisse mediante l’impiego di moneta fiat tokenizzata, i fondi non verrebbero necessariamente trasferiti in quanto tali, ma semplicemente come rappresentazione digitale dell’importo equivalente scambiato sotto forma di IOU digitale; “I Owe You”, che liberamente tradotto in italiano suonerebbe come un “pagherò” o, come spesso chi scrive è solito dire, un “criptopagherò”.

L’IOU digitale trasferito su blockchain diventa programmabile (grazie all’impiego di opportuni Smart Contract), il che significa che è possibile, ad esempio, creare prodotti finanziari e assicurativi digitali che potrebbero rappresentare una garanzia per la portata a termine di una transazione commerciale, economica, finanziaria.

Potrebbero essere stabilite delle regole che garantiscono il pagamento a fronte di un particolare servizio o bene forniti, ad esempio un acquisto di azioni o obbligazioni con clausole di regolamento già programmate nell’asset.

Da “pecunia non olet” a “pecunia olet”?

È importante sottolineare che, nella logica dell’IOU digitale, il debito implicitamente contratto con il beneficiario e ad esso trasferito, potrebbe volutamente non estinguersi qualora la regola (o le regole) associate al suo trasferimento non venissero soddisfatte, lasciando pertanto il beneficiario che accetta la transazione nell’impossibilità di poter disporre ulteriori trasferimenti, ad altri beneficiari o destinatari, dei token che avesse accettato non rispettando le disposizioni di spendita. Vale osservare a tal riguardo che, fra i possibili destinatari cui poter (tentare) di trasferire la disponibilità ricevuta, comparirebbero anche eventuali exchange autorizzati a convertire lo stablecoin in valuta a corso legale.

In altre parole, riprendendo metaforicamente la frase attribuita a Vespasiano, se il denaro non ha odore e, perciò, nessuno può accorgersi della sua provenienza all’atto stesso dell’accettazione, qualora invece emanasse un’esalazione riconoscibile, ognuno potrebbe avvedersi della sua derivazione decidendo, eventualmente, di non accettarlo, consapevole del fatto che, in definitiva, tale “impronta” sarebbe altrettanto riconoscibile da chiunque, compresi i futuri destinatari verso i quali potere successivamente impiegare l’incasso.

La metafora, di là della provocazione, ben rappresenta ciò che la moneta tokenizzata potrebbe offrire in termini di controllo delle regole in corso di accettazione, suscitando un comportamento “in coscienza” ex ante, piuttosto che un problema di (rin)tracciabilità ex post.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare che così facendo si perderebbe la fungibilità di una moneta fiat, ma è altrettanto vero che non si sta parlando di valuta a corso forzoso in senso stretto, bensì di un sistema che, riconosciute le proprie qualità, potrebbe affiancarsi parallelamente alle monete ufficiali per essere adottato in specifici contesti, dove l’efficacia di un controllo “in linea”, estendibile in una filiera anche più ampia, potrebbe rendersi apprezzabile.

Altri campi di applicazione

Un ulteriore contesto di applicazione per questi token potrebbe essere quello delle donazioni, laddove un sistema di controlli distribuiti (e con una decentralizzazione della governance attentamente proposta) quale è quello realizzabile sulla blockchain, potrebbe rendersi molto utile a contrasto dei fenomeni di dissipazione e drenaggio dei fondi raccolti o, aumentando la trasparenza, essere appannaggio per una migliore garanzia che i fondi siano realmente destinati all’obiettivo di raccolta, nonché correttamente impiegati per la realizzazione delle opere finanziate (in questo senso s’intendeva l’estensione dei controlli “in linea” su una più estesa filiera poc’anzi accennata).

La possibilità che una moneta tokenizzata possa essere “acquistata” tramite l’impiego del credito telefonico, aprirebbe il campo a un uso in circolarità planetario, laddove fosse impiegata come moneta di compensazione fra operatori di rete.
Si pensi anche in questo caso alle primissime forme di remittance effettuate con sistemi quali M-PESA[2], in zone dove l’inclusione finanziaria è molto problematica, o, in un ambito completamente diverso, in quei contesti dove si rende necessario monetizzare piccoli importi (micro-incassi) a fronte della fruizione di certuni servizi.

Un ultimo (ma non per questo motivo meno importante) settore strategico in cui l’adozione degli stablecoin potrebbe rappresentare una notevole opportunità, è quello concernente i sistemi di welfare (sia pubblico sia privato). Anche in questo caso, la trasparenza e la programmabilità della moneta tokenizzata, potrebbero giocare un ruolo determinante ponendosi come strumenti che, nativamente, oppongono una certa “resistenza” di fronte a tentativi di distrazione fraudolenta.

Su quali blockchain possono operare gli stablecoin

Non poteva mancare, in chiusura di questo contributo, un accenno a quali tipologie di blockchain potrebbero implementare con successo gli scambi in moneta tokenizzata.

Se si pensa a una logica permissioned, quale quella che caratterizza le blockchain private e federate, gli stablecoin avrebbero poche difficoltà di implementazione, soprattutto in quelle architetture dove è già presente un asset nativo o dove è comunque possibile prevedere un asset trasferito (mediante un processo di tokenizzazione). Su tali architetture, peraltro, non essendovi problemi di mining, in quanto non previsto dalle regole del protocollo di consenso distribuito, non si avrebbero neppure grosse criticità legate alle performance e alla necessità di scalare.

Sulle blockchain permissionless (quelle essenzialmente pubbliche) lo stablecoin può comunque essere implementato, a patto però che siano presi debitamente in considerazione almeno due aspetti: il costo di validazione, le prestazioni.

Se si opera su una blockchain pubblica dove il protocollo del consenso distribuito prevede una ricompensa (sottoforma di PoW o PoS) per i nodi validatori, è necessario considerare il costo (una sorta di “costo di sistema” distribuito) dell’esecuzione di ogni Smart Contract.
Sotto il profilo delle prestazioni, è suggerito prevedere l’adozione di logiche basate su State Channels, che permettano di raggiungere un trade-off accettabile fra esigenze prestazionali, di scalabilità e di decentralizzazione.

NOTE


[1] Le definizioni sono tratte da “Tutto su blockchain”, R. Garavaglia, HOEPLI editore, aprile 2018

[2] M-PESA è un servizio di trasferimento di denaro tra utenti del servizio di telefonia cellulare nato in Kenya nel 2007 sulla rete mobile di Safaricom, una società affiliata di Vodafone, per permettere alle istituzioni di microfinanza di inviare e ricevere denaro con facilità dai prestatori.

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