Cosa serve (e cosa deve accadere) affinché la blockchain possa esprimere tutto il suo valore? Ovvero, per parafrasare il bel titolo scelto dall’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano, cosa fare perché possa sbloccare il potenziale dell’Internet of Value? Sono tanti i fattori che concorrono alla crescita di questo fenomeno, ne scegliamo quattro tra i contributi e le analisi che hanno animato il convegno di presentazione dei risultati della ricerca.
- La necessità, urgente, di un passaggio da una focalizzazione sulle piattaforme, ovvero da una “proliferazione di nuove blockchain” a una attenzione alle applicazioni, alle soluzioni basate su blockchain esistenti e consolidate
- L’ingresso, in campo, con tutto il loro peso in termini di capacità di innovazione e di amplificazione del fenomeno di grandi attori digital come Facebook, Amazon, Alibaba e altri
- Un quadro normativo e un lavoro sulla standardizzazione che ha fatto passi in avanti e permette alle imprese e alle organizzazioni di progettare e investire sulla blockchain con maggior chiarezza, sapendo in prospettiva di poter contare su interconnessione e interoperabilità
- La disponibilità di Kpi, dati e scenari che permettono di valutare meglio vantaggi, rischi e con quali risorse prepararsi
Sintetizzare in quattro punti il valore della ricerca e della discussione dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger è certamente una forzatura ma puó forse aiutare a inquadrare le prospettive della blockchain per il 2020. Accanto a questo servizio dedicato primariamente ai risultati della ricerca potete leggere il servizio Istituzioni, aziende, provider: lo sviluppo della blockchain è una questione di competenze e normative dedicato agli interventi delle aziende, delle organizzazioni che hanno portato al convegno esperienzee diversi punti di osservazione.
L’Internet of Value arriva a 488 progetti
La ricerca fa parlare i numeri e questi ci dicono, come evidenziato da Valeria Portale, Direttore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger, che nel corso del 2019 i progetti blockchain nel mondo sono arrivati a quota 488 per un totale di 1045 in 4 anni. Avvicinando la lente, per vedere di quali tipologie progettuali stiamo parlando, Portale osserva che solo 158 sono in produzione e meno di 50 (47 per la precisione) sono a tutti gli effetti operativi. Dunque, la blockchain resta un fenomeno caratterizzato da un numero rilevante di Proof of Concept (PoC) e da annunci a testimonianza dell’attenzione e nello stesso tempo della prudenza con cui imprese e organizzazioni si stanno muovendo.
Nel 2019, si contano 488 progetti #Blockchain e #DistributedLedger avviati nel mondo (che portano a 1.045 quelli degli ultimi 4 anni), in crescita del 56% rispetto al 2018 #IoV20 pic.twitter.com/lU8JwjDFxG
— Osservatori Digital (@Osserv_Digital) January 17, 2020
E almeno alcune delle cause di questa prudenza potrebbero essere risolte proprio da due dei fattori chiave che abbiamo indicato all’inizio: più attenzione alle applicazioni e minor propensione a creare nuove blockchain e maggiore chiarezza sul piano normativo come fattori che portano “certezze”.
La blockchain in Italia raddoppia
Restando sui numeri l’Italia conta su 16 progetti e raddoppia in termini di volume di business arrivando a un mercato da 30 milioni di euro rispetto 15 del 2018. Finanza, assicurazioni, PA tra i settori più attivi ma è l’Agrifood il settore che sembra mostrare una dinamica di attenzione e crescita più intensa. La distribuzione dei 488 progetti a livello “mondo” conferma il ruolo guida del finance con 67 progetti, della PA con 25 e conferma anche l’attenzione delle filiere agrifood che arrivano a 15 progetti.
L’Internet of Value passa intanto da pagamenti e document management
Ma per cosa viene utilizzata la blockchain? A questa domanda Valeria Portale risponde che pagamenti e document management sono i processi che mettono in moto questi progetti e l’altro grande ambito nel quale si cerca soluzioni con la blockchain è rappresentato dalle supply chain.
#Finance, #PA e #Agrifood tra i settori più attenti alla #blockchain con una forte spinta allo sviluppo di nuove #piattaforme @valeriaportale #IoV20 pic.twitter.com/ol6oWVvCOY
— Mauro Bellini (@mbellini3) January 17, 2020
E nuovamente la lente con cui Valeria Portale osserva i dati della ricerca ci permette di vedere che “La tendenza delle aziende e delle organizzazioni è stata quella di creare nuove piattaforme tanto che nel 65% di questi progetti si è scelto di non utilizzare piattaforme esistenti”. Il modello? “Realizzo un’app, ma contestualmente creo una nuova piattaforma” con un impegno che richiede mesi prima di diventare operativo. E (purtroppo) solo il 35% utilizza le app su piattaforme già esistenti. Un approccio quest’ultimo che avrebbe il vantaggio indiretto di contribuire al rafforzamento e al miglioramento delle piattaforme esistenti.
“E’ ora di sbloccare il valore!” @valeriaportale conclude il suo primo intervento riassumendo i risultati appena presentati #IoV20 #blockchain pic.twitter.com/cpSvowhq7e
— Osservatori Digital (@Osserv_Digital) January 17, 2020
Grandi piattaforme al lavoro per migliorare le performance
Costi, rischi legati all’interoperabilità, nuove complessità nel percorso di definizione di standard comuni… la scelta di creare una nuova piattaforma a fronte di una prospettiva di sviluppo drena risorse e rischia di indebolire il reale potenziale di sviluppo della blockchain, ma nello stesso su alcune delle ragioni che spingono diversi attori a sviluppare nuove platform rispetto a quelle esistenti (performance, costi di gestione, difficoltà di integrazione) il mondo della blockchain ha fatto progressi: “Le grandi piattaforme stanno lavorando per modificare il protocollo di base per migliorare le prestazioni” e accanto a questo va segnalato anche l’impegno delle Big Tech, le grandi aziende del web e del digital che nel corso del 2019 hanno scelto di avviare progetti sulla blockchain. Un altro fenomeno chiave che farà sentire i suoi effetti nel 2020. E che contribuisce a richiamare l’esigenza di regolamentazione.
Tra i prossimi passi … la regolamentazione #Blockchain #iov20 pic.twitter.com/kOqpgO1tCn
— Roberto Garavaglia (@R_Garavaglia) January 17, 2020
Libra, i Global Coin, l’Internet of Value e gli unbanked
Valeria Portale ricorda come l’annuncio di Facebook che con Libra, si propone di dare vita a un nuovo sistema di pagamento globale, costruito sulla Blockchain, “integrato” e supportato, in termini di diffusione con le applicazioni più diffuse del social network. Una prospettiva che permetterà di scambiare la valuta gobale di Libra tramite le applicazioni del social network, ovvero di gestire i pagamenti con un approccio che vuole innovare sia a livello di strumenti e servizi di payment, sia a livello di asset di valore o di moneta. E uno dei fattori più “potenti” di questo annuncio è che si propone come un progetto con un respiro globale. Forse non a caso le 28 aziende che hanno aderito al progetto Libra Association (gruppo che si è un po’ modificato nel corso del tempo) ha insistito molto sulla potenzialità del progetto di affrontare e dare una soluzione innovativa al problema degli unbanked, grazie alla (annunciata) semplicità d’uso, accessibilità e al fatto che si propone (con molta ambizione) come una vera global currency. Ma lo vedremo presto, il progetto, annunciato a giugno 2019, dovrebbe diventare operativo nella seconda metà del 2020. Un altro progetto sul quale si concentra molta attenzione e molte aspettative è poi TON di Telegram: anche in questo caso il tema è quello dell’accessibilità di servizi basati sulla blockchain tramite social media. Anche in questo caso i tempi di rilascio sono di pochi mesi.
OCSE: una blockchain al servizio delle PMI
Grandi nomi e grandi progetti aiutano ad alzare il livello di attenzione verso la blockchain e con questo c’è stata anche una positiva accelerazione nell’operato di governi e istituzioni, sia in Italia sia in generale in Europa e nel mondo. Lucia Cusmano, Senior Economist at the OECD Centre for Entrepreneurship, Small and Medium-sized Enterprises & Local Development, ricorda che il tema blockchain è uscito dalle stanze degli specialisti e dei tecnici, per diventare di rilevanza più ampia e globale. Cusmano osserva che l’OCSE è un’organizzazione che rappresenta i governi di più di 36 paesi e si muove con una certa inerzia, ma nel caso della Blockchain, ha mostrato un approccio ben diverso e in poco tempo ha creato un Global Policy Forum, che assieme all’AI, mette al blockchain al centro dell’Osservatorio sulla Digitalizzazione e delle attività di monitoraggio e analisi economica.
Certificare provenienza e autenticità per proteggere mercati come l’Italia
Cusmano sottolinea che la blockchain può svolgere un ruolo particolarmente importante nei processi di digitalizzazione delle PMI e dunque in paesi come l’Italia. Perché? È solo un tema di dimensioni delle imprese? Certamente no, la certificazione di provenienza garantita è un asset per il nostro paese. Cusmano ricorda i danni provocati dalla contraffazione dei beni sui mercati internazionali, 1/3 dei detentori dei diritti di proprietà dei beni confiscati è italiano, dopo gli USA e la Francia, l’Italia è il terzo paese al mondo in termini di danni relativi alla contraffazione di beni e servizi. Partendo da questa “Spada di Damocle” che minaccia costantemente il Made in Italy l’Italia ha chiesto all’OCSE di partecipare ad un progetto Blockchain per le piccole medie imprese. “Per questo stiamo lavorando con il MISE – spiega Cusmano – e con l’Osservatorio del Polimi ad un progetto che valuta lo sviluppo di ecosistemi di Blockchain a livello nazionale, per comprendere il ruolo degli attori, delle politiche pubbliche, delle fonti di finanziamento, e in generale l’insieme delle regole e della Governance per sviluppare la tecnologia e le app”.
Dapp e DeFi: l’Internet of Value è decentralizzato
Un altro tema sul quale si sviluppa la possibilità di “sbloccare” il potenziale dell’Internet of Value è rappresentato dagli sviluppi delle Dapp, le Decentralized Application ed è Francesco Bruschi, direttore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger a portare l’attenzione su queste prospettive. È qui che si collocano le applicazioni di “Decentralized finance” (DeFi) che permettono al mondo finanziario di sviluppare nuove tipologie di servizi senza “istituti centrali” ovvero senza intermediazione. Gli strumenti di base sono rappresentati dal wallet e dalla disponibilità di asset di valore come cryptocurrency o token e dalla possibilità di scambiarli e gestire le transazioni tramite blockchain. Si aprono nuovi percorsi di sviluppo per nuovi modelli di business. Bruschi inquadra il fenomeno DeFi in quattro grandi categorie:
- Le App per creare stablecoin e un esempio è rappresentato da MakerDAO
- gli exchange decentralizzati come nel caso di Uniswap
- le App per Lending e nuove forme di investimento e gli esempi sono rappresentati da Compound e PoolTogether
- le App per la tokenizzazione di asset finanziari come Synthetix
Francesco Bruschi illustra le categorie del #DeFi #IoV20 #Blockchain pic.twitter.com/DZ0X4JgQ3l
— Osservatori Digital (@Osserv_Digital) January 17, 2020
Cosa centra una “lotteria dove vincono tutti” con L’internet of Value?
Anche in questo caso, giova ripeterlo, il framework normativo rappresenta il freno principale allo sviluppo del mercato. E Bruschi spiega come le Dapp aprano le porte a tanti nuovi percorsi di innovazione anche con degli esempi che ci dicono come si possa ripensare alle radici il rapporto tra transazioni e asset di valore, ad esempio proponendo con con PoolTogether a una lotteria dove “vincono tutti”. Possibile? Si se il premio è il frutto degli interessi maturati sulle somme che ciascun partecipante decide di scommettere e se naturalmente se si costruisce un “ecosistema” di attori che sfruttano gli asset di valore che si trovano a disposizione. Tutti rientreranno in possesso del valore conferito e i vincitori si “divideranno” il premio rappresentato degli interessi. Oppure come Compound Finance, una app che permette di creare un mercato di prestiti e finanziamenti senza la necessità di una terza parte
Non cè Value se non c’è identità: la Self sovereign identity
L’altro grande tema sul quale la blockchain è chiamata a dare risposte innovative è quello dell’identità digitale. Bruschi ricorda che le criticità legate alle soluzioni basate sul ruolo degli identity provider possono trovare nuove risposte nella blockchain, per le problematiche legate alla scarsa flessibilità, ad esempio se la si vuole estendere a documenti come la patente di guida o a un documento di studio. Il fatto poi che l’identity provider debba essere sempre pronto a certificare la nostra identità, è nello stesso tempo costoso e presenta qualche rischio laddove il servizio non fosse accessibile. Ed è qui che si colloca la prospettiva della Self sovereign identity SSI.
Self Sovereign Identity. Digital Identity e blockchain, un’opportunità da cogliere, sviluppare, mettere a valore e … da perimetrare in un framework regolamentativo#iov20 #SSI #Blockchain #digitalidentity @Osserv_Digital pic.twitter.com/CWxCtYrzTZ
— Roberto Garavaglia (@R_Garavaglia) January 17, 2020
Ssi: il controllo dell’identity passa agli utenti
Deve essere possibile poter creare e gestire in ogni momento la propria identità senza che sia necessario chiedere che sia “concessa” da una terza parte, ma il baricentro del “controllo” viene spostato sugli utenti che confermano i dati associati all’identità. Questa architettura abilitata dalla blockchain consente di rimodulare l’approccio e i costi infrastrutturali, permette di aumentare la flessibilità delle informazioni. Come? Appoggiandosi sul coinvolgimento degli utenti. Questo tipo di gestione dell’identità permette di coniugare il mondo della Blockchain con il mondo dell’identità reale. E se i prerequisiti tecnici sembrano essere a tutti gli effetti superati e pronti, il vero tema attiene alla capacità di portare il dibattito su queste prospettive dell’identità digitale a livello di istituzioni e PA. Ed è anche su questo, sottolinea Bruschi, che appare fondamentale il ruolo dei regolatori e delle istituzioni europee e in particolare il ruolo della European Blockchain Services Infrastructure EBSI.
#SelfSorveignIdentity basata su certificati. Architettura abilitata dalla #blockchain che offre vantaggi tra cui l’aumento della flessibilità delle informazioni. #IoV20 pic.twitter.com/Vn1f1QPtda
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EBSI: capabilities per garantire openness, interconnessione, interoperabilità
Ed è in particolare sulla Self sovereign identity che si concentra l’attenzione di Pietro Marchionni, Coordinatore gruppo infrastrutture e tecnologie della European Blockchain Services Infrastructure, EBSI, e della European Blockchain Partnership, EBP. Nel 2018 28 paesi europei hanno firmato una dichiarazione per la costituzione di una partnership europea per la costruzione di un’infrastruttura che consentisse ai servizi innovativi, disruptive, della blockchain di “avere una casa” e un piano di sviluppo comune. “Se le blockchain non sono globali non sono blockchain” afferma e sottolinea Marchionni e la European Blockchain Services Infrastructure si è data proprio l’obiettivo di sostenere questo percorso verso una interpretazione global della blockchain sviluppando e creando le capabilities che permettono di garantire la openness, la interconnessione, la interoperabilità.
#Italia nella top ten a livello di applicazioni #IoV20 pic.twitter.com/lo1KbZJA9W
— Mauro Bellini (@mbellini3) January 17, 2020
Progetti blockchain: Italia nei primi dieci
L’Europa “gioca” una partita molto importante e l’Italia è tra i prini 10 paesi a livello mondiale in termini di progetti Blockchain. Come sottolinea Valeria Portale ci sono competenze, ci sono sviluppatori che ci stanno lavorando, le aziende hanno investito certamente di più dell’anno scorso (da 15 a 30 milioni di euro), ma ancora manca il coraggio di crederci davvero. Il mondo agrifood, come già è stato evidenziato, appare molto attento al tema della tracciabilità, il mondo finance è da più tempo attivo, il mondo del government e dell’insurance si stanno avvicinando in modo più convinto. Il finance è il settore che prima di altri ha creduto nella blockchain E già nel 2016 aveva fatto partire le prime sperimentazioni da parte dei singoli attori con progettualità impostate “a silos” che avevano l’obiettivo primario di capire cosa si poteva fare con la blockchain. A loro volta le grandi banche hanno dato vita a consorzi internazionali con non poche complessità anche in questo caso con un primo obiettivo legato alla comprensione delle possibilità di sviluppo della blockchain. Agrifood & Government: sono settori partiti nel 2018 con progetti “semplici” prevalentemente basati su time stamping e smart contract. Considerazioni analoghe vanno fatte per settori come il luxury dove c’è ancora una importante carattere sperimentale. Per questi ambiti e per tutti quelli che possono avere come denominatore comune come l’appartenenza al Made in Italy il vero tema, per Valeria Portale è il passaggio alla creazione di un ecosistema italiano, con progetti infrastrutturali in grado di sostenere sviluppi più complessi. In altre parole ci si aspetta che le banche possano dare vita ad applicazioni che sfruttano l’infrastruttura e che il mondo agrifood invece possa capire come costituire progettualità più concentrate sulla supply chain e non solo sulla tracciabilità di prodotto.
Nella “road to” Internet of Value si parte dalla conoscenza
Purtroppo nelle aziende manca ancora la conoscenza completa di queste tecnologie. Solo 4 aziende su 10 grandi dichiara di conoscerle e purtroppo la quota si abbassa nel momento in cui diminuisce la dimensione. Solo 2 su 10 in campo PMI risponde in modo affermativo. Che impatto avrà in prospettiva? Solo il 12% delle grandi aziende e il 3% tra le piccole pensa che “cambierà qualcosa d significativo” nei prossimi 5 anni. Ancora una volta la considerazione è che c’è molto lavoro da fare per rendere questa tecnologia consistente. Peraltro i provider di tecnologia hanno lavorato molto per spiegare il valore della blockchain, ora serve una crescita di commitment: occorre allocare risorse e trasformare le prospettive in risultati. E proprio per arrivare ai risultati tre sono le raccomandazioni che arrivano dalla ricerca dell’Osservatorio:
- Evitare la creazione di ecosistemi chiusi.
- Interagire con le blockchain esistenti e non indirizzare gli investimenti verso nuove piattaforme. Fissando in modo chiaro che interagire non significa diventare subito un nodo di una rete, o partecipare tramite applicazione.
- Infine e soprattutto puntare sulla conoscenza della tecnologia con il coraggio di fare sperimentazione
Tutta la ricerca in un… token, grazie alla collaborazione con KNOBS
Il convegno di presentazione dei risultati della ricerca è stata anche l’occasione per mettere a disposizione il report finale con una modalità innovativa basata sulla distribuzione di un token grazie all’iniziativa dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger e alla collaborazione con KNOBS.
A questo articolo, Dalla carta al token: l’iniziativa dell’Osservatorio Blockchain per distribuire il report della ricerca tutti i dettagli di questa iniziative
Articolo aggiornato da Mauro Bellini il 1 febbraio 2020