L’industria automobilistica, o meglio ‘automotive’, comprendente cioè veicoli commerciali, trattori, mezzi militari e quant’altro ne derivi, è un settore dove la competitività del mercato e l’assottigliarsi dei margini hanno creato, anche tramite acquisizioni, fusioni e alleanze, un sistema produttivo tra i più articolati. In verticale, con stabilimenti dislocati in più paesi che producono componenti poi inviati e assemblati sotto vari marchi in altri centri anch’essi distribuiti sul territorio. E in orizzontale, con un’intricata rete di partnership e accordi che vede componenti vitali prodotti da grandi industrie specializzate e indipendenti (tipo Riv o ZF, che fanno cuscinetti e scatole del cambio dai carri armati alle Formula 1); componenti fungibili forniti dalle tante fabbriche del cosiddetto ‘indotto’; e componenti d’ogni genere scambiati tra produttori OEM, in genere facenti parte di un gruppo ma anche indipendenti e concorrenti (tipo i pianali Mazda per le spider FCA). E la produzione è a sua volta solo una parte di un grande ecosistema che vede una dozzina e più di realtà, dai concessionari alle officine autorizzate, dalle finanziarie ai trasportatori e, non ultimi, agli stessi acquirenti dei veicoli prodotti, legate in una rete di rapporti a vari livelli interdipendenti (figura 1).
È inevitabile che una tale complessità crei spazi per inefficienze operative, specie nella gestione della supply-chain, della logistica e dei contratti con partner e fornitori. Proprio le aree dove il distributed ledger (registri distribuiti che consentono la lettura e la modifica da parte di più soggetti partecipanti alla Rete) offre strumenti trasparenti e sicuri di condurre le operazioni. Per di più, la tecnologia blockchain permette di attuare nuovi tipi di business da affiancare alla semplice vendita del veicolo. Per esempio, fornendo agli acquirenti i dati relativi all’impiego del mezzo nel suo ciclo di vita, così che le aziende di trasporto pubblico e in genere chiunque gestisca flotte aziendali, di noleggio o di car sharing sappia chi e come sta guidando il veicolo tracciato. Oppure (come sta testando Porsche) sostituendo l’ormai obsoleta chiave di accensione con un’app che abilita altre persone ad un uso temporaneo e limitato della vettura.
Un’indagine globale sulla blockchain
Per sondare la fondatezza di queste considerazioni e valutarne le prospettive, IBM (più precisamente l’IBM Institute for Business Value) ha di recente condotto in collaborazione con la società di analisi Oxford Economics un’approfondita indagine nel settore. Sono stati intervistati 1.314 senior executives, per il 38% produttori e per il 62% fornitori, ugualmente distribuiti (crediamo in base al volume di veicoli prodotti) in Cina, Giappone, Sud Corea, India, Francia, Germania, Regno Unito, Messico, Brasile e Stati Uniti, e pure equamente distribuiti in dieci aree d’operazione. Di queste, otto sono comuni ad ogni manifattura: Ict, finanza, ricerca e sviluppo, produzione, supply-chain, marketing, vendita e post-vendita; due sono invece proprie dell’automotive e alquanto nuove: mobility services, sull’uso dei mezzi a fini pubblici, e connected car, sulle attività derivanti dall’IoT applicata ai veicoli.
La prima risultanza emergente dall’indagine è che oltre il 60% dei rispondenti (il 61% tra i produttori e il 62% tra i fornitori) vede le blockchain come un’opportunità capace di rivoluzionare l’automotive nel giro di tre anni, specie nel ricavare nuovi servizi e nuove fonti di guadagno dalla sinergia con le reti di business già consolidate. Inoltre, sebbene solo poche realtà abbiano già soluzioni blockchain-based in atto o siano pronte a farlo, vi sono alcune aziende che mostrano un’ottima conoscenza sia della tecnologia sia delle sue opportunità. Questi ‘pionieri’ sono solo il 15% di tutte le imprese analizzate, ma sono per l’80% tra i produttori. Stante la forza trascinante e contrattuale dell’OEM nell’ecosistema automotive è credibile, come afferma il 54% di questi antesignani, che l’implementazione di reti blockchain su larga scala possa avvenire entro tre anni.
Efficienza subito, nuovi business poi
Per la metà degli intervistati (55% dei produttori e 47% dei fornitori) i primi vantaggi della blockchain, nel termine di due-tre anni, si vedranno in un salto di livello nell’efficienza operativa della gestione del business, dovuta in primo luogo, come ovvio, alla qualità delle informazioni. Disponendo, attraverso il distributed ledger, di una versione condivisa unica, aggiornata e sicura dei contratti e del loro iter di attuazione si eliminano i problemi dati da informazioni incomplete, inconsistenti o inaccessibili, frequenti nella supply-chain e ancor più nella logistica, dati i molti attori coinvolti e processi, nei trasporti, spesso ancora basati su telefono, fax e moduli cartacei. Lo stesso discorso vale per le transazioni finanziarie, complicate dalle normative dei paesi nei quali l’ecosistema di un OEM si trova ad operare. Inoltre la sicurezza propria della tecnologia blockchain ridurrà il rischio di sottrazione di dati sensibili relativi sia ai produttori sia ai clienti, una cosa che costa e che danneggia la reputazione del marchio.
Su una scala temporale un po’ più lunga, ma sempre nel giro di tre-quattro anni al più, vi sono i vantaggi, per così dire strategici, che il 56% dei produttori e il 52% dei fornitori si attende dallo sviluppo di nuove aree di attività, abilitate dall’information management e soprattutto dalla trasparenza e sicurezza dei rapporti tra le parti dell’ecosistema garantite dal distributed ledger. Almeno la metà degli intervistati ritiene che le soluzioni blockchain avranno un grande impatto sulla gestione delle flotte aziendali e dei noleggiatori e sui servizi di mobilità. Questa stima non vede grandi differenze tra i vari paesi ma piuttosto una significativa prevalenza degli OEM (coinvolti nella destinazione finale dei veicoli) rispetto ai fornitori. Questi ultimi però entrano in gioco nell’interessante sviluppo previsto per il business dell’in-vehicle marketplace, cioè delle transazioni di e-commerce fatte per mezzo dei sistemi infotainment di bordo, che stanno diventando standard anche su auto medie. Lo scopo è permettere a chi passa ore in automobile di fare acquisti on-line tramite un accesso internet in tecnologia 4G, criptato e sicuro, fornito come servizio extra. La GM (Chevrolet, Buick e Cadillac) fornisce questo servizio già da un anno, secondo un modello di business che non è stato reso noto ma che, come è tipico della Rete, coinvolge diversi attori, a partire appunto dai fornitori dei sistemi di bordo.
Dal dire al fare…
Per quanto promettenti in futuro, le blockchain nel mondo automotive sono, come s’è detto, ai primordi, tanto che quote non trascurabili degli OEM e dei fornitori (12% e 28% rispettivamente) non vi pensa affatto. Dal grafico di figura 3 i fornitori sembrerebbero più avanti dei produttori nell’attenzione alla tecnologia (64% contro 45%) ma si tratta di un’impressione data dal fatto che essendo solo al 7% nelle sperimentazioni, contro il 37% degli OEM, quasi tutti i fornitori intervistati sono in una fase che più che d’attenzione a noi pare di attesa. Il vantaggio dei produttori resta anche nelle fasi realizzative, ma si tratta di quote risibili (6% compresi i casi pilota).
Questo ritardo si deve soprattutto al fatto che gran parte degli executive intervistati (39% tra i produttori e 51% tra i fornitori) ammette di non avere una chiara visione di ciò che l’impresa vuol fare con le blockchain. Hanno anche il loro peso i problemi percepiti. Sia produttori che fornitori temono di non avere gli skill adatti (37% e 42% rispettivamente), mentre c’è un certo divario per la sicurezza, che preoccupa maggiormente i fornitori (44% contro il 31%) e per gli aspetti normativi e legali, che prevedibilmente sono più temuti dai produttori (42% contro il 33%).
Con tutto questo, se ci limitiamo alla fase sperimentale, un buon 37% dei produttori si sta muovendo, trainando il 7% di fornitori di cui sopra, che probabilmente (anche se l’indagine non lo può provare) fanno parte del loro ecosistema. I già citati pionieri sono, come ovvio, i battistrada, mostrando d’essere preparati sia sul fronte organizzativo che su quello della tecnologia, da molti considerata già matura per essere applicata. Questa visione positiva trova riscontro negli investimenti in blockchain che quasi tutti i pionieri (95%) intendono fare nei prossimi tre anni e nel fatto che ben il 69% stimi di poter andare in break-even già nel triennio, un’aspettativa che solo il 29% degli altri OEM e il 20% dei fornitori condivide.
Vista la differenza di vedute tra le poche industrie pioniere (ricordiamo: il 15% delle realtà analizzate) e tutte le altre, viene da chiedersi quali ne siano le cause. Ora, è chiaro che, come qualsiasi progetto collettivo, un’iniziativa basata su blockchain ha successo solo se è sostenuta dalla volontà e dalla capacità di tutti i partecipanti. Secondo l’indagine Ibm le industrie pioniere hanno una maggiore fiducia (che probabilmente viene da una maggiore conoscenza) nell’engagement e nella preparazione tecnica e organizzativa delle figure coinvolte nel loro ecosistema. Questa asserzione trova riscontro nel grado d’importanza rispetto al successo di un progetto blockchain che gli intervistati attribuiscono agli attori in causa. Nel grafico di figura 4 questi sono divisi in due classi: i partecipanti attivi (partner e fornitori ma anche clienti finali) e quella gli abilitanti (vendor Ict, enti regolatori e consorzi industriali). Sebbene l’85% dei pionieri dica di voler avere il controllo sulle proprie reti di business, il divario tra l’importanza data a tutte queste figure rispetto a quella data dagli altri OEM e dai fornitori mostra come nessun vero pioniere creda in realtà di poter fare da solo.