Dal convegno di presentazione dei dati 2018 dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano sono emerse interessanti indicazioni sullo stato e le prospettive delle blockchain in Italia.
Cominciamo subito col dire, come peraltro sottolineato da Valeria Portale, Direttore dell’Osservatorio, in apertura dell’intervento dedicato al mercato italiano, che quanto a blockchain in Italia si parla di volumi e valori decisamente ridotti. Compresi gli investimenti in network e software e in formazione e consulenza si stima infatti un giro d’affari di 15 milioni di euro, che sono pochi sia in assoluto sia specialmente in rapporto ai progetti in corso.
Come osserva appunto Portale: “Se mettiamo insieme tutti i progetti che abbiamo trovato, che sono circa 150, parlare di quindici milioni vuol dire che sono poche le aziende che stanno investendo”. E infatti a fronte di un questionario rivolto a oltre 500 top manager e responsabili dell’innovazione presso grandi aziende italiane, solo 61 hanno risposto.
C’è chi aspetta, ma i più si muovono
Abbiamo esordito con questi numeri non tanto per ricordare come da noi lo sviluppo delle blockchain sia davvero ai primi passi, quanto per far notare come le osservazioni che seguiranno vadano necessariamente prese cum grano salis, essendo basate su cifre molto esigue.
Va anche detto che, avendo l’Osservatorio svolto l’indagine nell’ottobre scorso, è molto probabile che già al momento in cui scriviamo il quadro sia sensibilmente sviluppato. Non è nostro mestiere fare proiezioni, peraltro molto aleatorie in un mercato fluido come quello delle blockchain, ma anche applicando, per essere prudenti, lo stesso tasso di crescita del 76% rilevato dall’Osservatorio nel periodo precedente (cioè 2018 su 2017) dovremmo avere cifre più importanti sia per i progetti sia per gli investimenti.
Who's Who
Valeria Portale
Partendo quindi dai dati in nostre mani, la prima cosa da dire è che la netta maggioranza delle imprese analizzate, cioè il 59%, si sta dando da fare. Se è ancora raro trovare chi ha blockchain operative (solo il 3% dei 150 progetti rilevati), il 35% ha delle sperimentazioni in atto e il 21% ha promesso di avviarne entro un anno, il che significa che oggi una buona parte di questi progetti si sta svolgendo.
Quanto alle restanti realtà, il 31% è nelle fasi preliminari di studio e di raccolta di informazioni, il che riduce al 10% chi non ha fatto proprio nulla.
Nel complesso, per dirla con le parole di Valeria Portale: “Stiamo assistendo a un popolarsi di progetti che fa capire come anche in Italia ci si stia rendendo conto dell’importanza di queste tecnologie”. Ma al di là delle percentuali quantitative, che per i limiti del campione e la dinamicità del settore hanno un valore più che altro indicativo, hanno più importanza a nostro parere le motivazioni e le opinioni che gli attori hanno espresso a proposito del loro operato.
Conoscenza inadeguata delle tecnologie
Se guardiamo a quel 41% che non sta concretamente agendo, risulta che solo uno su quattro afferma di non essere interessato alle blockchain in quanto estranee o inutili al business e al settore dell’azienda. Per la gran parte la ragione fondamentale dell’inazione è la scelta di stare in attesa per capire che fare. Un atteggiamento molto ragionevole, che però nasce da una conoscenza inadeguata delle tecnologie.
Solo un quarto del totale degli intervistati sulle blockchain dichiara di sapere bene di che si parla, mentre il 31% (e ricordiamo che si tratta anche di manager cui spetta l’innovazione digitale dell’impresa) ammette di saperne poco o nulla. Quanto al restante 43% la risposta è di averne una conoscenza “sufficiente”.
Un termine un po’ vago (sufficiente per cosa?) che in realtà copre una scelta attendista. In questa situazione, come chiaramente espresso da Portale: “Lavorare su formazione ed educazione diventa un messaggio fondamentale. Bisogna partire dall’Università e saper coinvolgere tutto il mondo della scuola perché questa tecnologia sia almeno conosciuta”.
Come spostare gli “scettici” verso i “visionari”
Trasferendo il peso della conoscenza alle motivazioni, gli analisti dell’Osservatorio hanno tracciato un diagramma che, un po’ sul modello dei ’magic quadrant’ di Gartner, divide le realtà censite incrociando la visione sul da farsi con l’impegno nel fare (figura 3).
Come intuibile, il grosso degli attori si colloca in una fascia centrale che comprende un 41% di “titubanti” che non si sanno decidere, e meno della metà (18%) di “pragmatici”, che investono oculatamente in modo mirato al business e al potenziale di sviluppo.
Secondo Valeria Portale però, l’attenzione va data ai due estremi: “Sulla blockchain abbiamo diviso il mondo in due, gli scettici, che non vi credono anche perché non la conoscono e i visionari, che vi credono e investono molto. Bisogna quindi capire come fare per portare i primi verso i secondi, aiutandoli ad implementare le corrette soluzioni. Non è detto che tutto debba essere su blockchain, ma bisogna aiutare l’azienda a portarvi quei processi che ne possono trarre maggior valore”.
Per far ciò l’Osservatorio propone un percorso su tre linee:
- capire se l’azienda abbia un’idea del potenziale d’innovazione della tecnologia nel proprio business;
- definire l’impegno necessario (budget, team dedicato…)
- darsi una strategia d’azione che parta da un processo decisionale il più lineare possibile e preveda un aiuto esterno da parte di chi abbia esperienze o competenze già maturate.
I settori più interessanti per l’adozione di blockchain
Come si è visto, le blockchain non sono ancora prioritarie negli investimenti ICT, e gli investimenti sono limitati. Tuttavia la domanda si sta sviluppando, grazie essenzialmente alle maggiori imprese. I settori trainanti, o meglio quelli per i quali l’impatto della tecnologia è percepito come più capace di trasformare il business, sono il finanziario e la logistica. Sul primo settore, con assicurazioni e banche le cui operatività sono sempre più simili, c’è poco da dire: è il numero uno delle blockchain nel mondo.
La geografia e la frammentata urbanizzazione del Paese rendono invece la logistica più importante per noi che altrove. La peculiarità italiana, con molte imprese per prodotti di qualità certificata, vale anche per lo sviluppo previsto per l’agro-alimentare. Interessante infine che dietro questi ampi settori d’industria si collochi un campo relativamente specialistico come la gestione dei diritti di proprietà, segnalata come emergente dal 18% degli intervistati.
Come si è detto, il 59% delle imprese dichiara di avere dei progetti blockchain in corso o in programma a breve. Resta però il fatto che la maggioranza di queste aziende non ha un budget specifico e che quando c’è è in genere inferiore ai centomila euro, e che solo l’8% ha istituito un gruppo di lavoro dedicato. La situazione più comune (39% dei casi) è affidare il progetto blockchain a chi si occupa in generale d’innovazione. Oppure affidarlo a più persone giudicate competenti per capacità tecnologiche o conoscenza del business ma che restano nei rispettivi ambiti e lavorano quindi in modo destrutturato.
Nonostante questi problemi, che ci sentiamo di definire “di crescita culturale”, la visione dell’Osservatorio sullo sviluppo delle blockchain in Italia è positiva.
Gli ostacoli allo sviluppo delle blockchain in Italia
Gli ostacoli sono quelli di sempre: poche risorse disponibili, poche competenze specifiche e pochi strumenti per valutare i probabili benefici.
Se per le risorse purtroppo non c’è molto da fare se non sperare in una ripresa dell’economia o, più realisticamente, spostare sui progetti blockchain risorse tratte dalla crescita del business o da nuovi risparmi, sulle altre due voci un aiuto determinante può giungere dal mondo dell’offerta.
Oltre ai vendor ICT, che in genere danno aiuto anche al di fuori dell’implementazione delle proprie piattaforme, ai corsi ad hoc degli istituti di formazione e alle grandi società di consulenza strategica, integrazione e sviluppo, che seguono le imprese dallo studio dei progetti alla loro realizzazione, l’Osservatorio cita due fonti di conoscenza e cultura più specifiche. Si tratta di giovani società di consulenza focalizzate sulla blockchain, più agili rispetto alle grandi di cui sopra e in grado sia di fare formazione sia di curare piccoli progetti, e delle numerose startup che possono fornire capacità e competenze difficili da reperire sul mercato del lavoro.