“Le nuove generazioni, soprattutto i millennials, hanno iniziato a spendere e a diventare protagonisti del mercato. Si tratta di ragazzi nati con il digitale e per di più estremamente curiosi. Per loro è naturale utilizzare lo smartphone per informarsi, e le aziende se vogliono conquistarli come clienti devono essere all’altezza delle loro aspettative fornendo informazioni attendibili e ‘sicure’ sui propri prodotti. Grazie alla blockchain ciò che è contenuto in un’etichetta digitale è immutabile, e non conviene inserire dati falsi, che potrebbero essere contestati prima di tutto dalla concorrenza”.
“Questo processo è in grado di mettere in moto una dinamica virtuosa che orienta la concorrenza su standard di qualità alti, e non soltanto sulla logica del prezzo più basso: a vincere è il più bravo, non il più furbo – prosegue Vitale – Questo può contribuire tra l’altro a redistribuire la ricchezza all’interno della supply chain, dove spesso oggi il produttore viene pagato cifre irrisorie anche a fronte di prodotti di alta qualità. La logica della certificazione metterebbe un’arma in più nelle mani di chi produce le materie prime di qualità, che si tratti dei pomodori di Pachino o delle arance di Sicilia, evitando che si paghino i produttori 20 centesimi al chilo per prodotti che poi arrivano sui banchi dei supermercati a costare venti volte tanto”.
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