La convergenza tra gaming, intelligenza artificiale e digital asset basati sulla tecnologia blockchain punta a realizzare la promessa, ancora non mantenuta, di un universo virtuale globale e persistente, così come lo aveva immaginato Neal Stephenson in Snow Crash. Metaverse, di cosa stiamo parlando? Dei mondi virtuali in cui ci si immerge quando si gioca a Fortnite, Minecraft, Roblox o Animal Crossing. Chiamarli videogiochi è fortemente riduttivo, perché in questi spazi non si può solo giocare, ma anche costruirsi un avatar, incontrare amici, fare acquisti (anche in moneta virtuale), partecipare a eventi online, e non solo.
L’articolo di Marc Andresseen “Why Software Is Eating The World”, pubblicato dal Wall Street Journal nell’agosto 2011, risuona più forte quasi dieci anni dopo. Le tecnologie software oltre a rivoluzionare business, interazioni sociali e delineare nuovi limiti di esperienza del reale, sempre più aumentata, stanno dando vita a un vero e proprio mondo secondario e alla possibilità di una nuova vita extra-corporea per milioni di persone.
NFT: se il digitale si fa scarso
Se fino a qualche anno fa l’acronimo “NFT” rientrava solo nel vocabolario di crypto-enthusiast e smanettoni della blockchain, oggi i volumi di ricerca su Google per questa parola sono al loro massimo di sempre. Come già abbiamo avuto modo di introdurre parlando di arte digitale, i “non fungible token” (NFT) sono dei pezzetti di informazione memorizzata su un registro digitale distribuito in tutto il mondo. Solitamente custoditi all’interno di una applicazione che funge da wallet, questi digital token rappresentano in formato elettronico un bene di qualche tipo. Avere proprietà uniche e inconfondibili, non fungibili appunto, distingue questo tipo di “gettoni digitali” dalle criptovalute più diffuse come Bitcoin ed Ethereum.
Comparsi per la prima volta nel 2015, gli NFT costituivano inizialmente il titolo di proprietà di beni puramente digitali. CryptoPunks e, i più virali, CryptoKitties sono a tutti gli effetti delle figurine digitali impresse, chissà per quanto tempo, su una blockchain e la cui proprietà può essere dimostrata dai legittimi proprietari in modo indisputabile. Da qui il concetto di NFT si è nobilitato, elevandosi a vera e propria “Crypto Art”.
Il “rogo” del dipinto di Bansky poi diventato un NFT
La tokenizzazione della realtà
Ma l’applicazione di questa tecnologia ad aver registrato un vero e proprio boom è la trasformazione in NFT di qualcosa di reale e fisico. Su NBA TopShot, della canadese Dapper Labs, vengono trasformate in token collezionabili le migliori giocate dei top player NBA. In questo caso il token non si limita a codificare un’immagine statica ma un estratto multimediale dell’azione del singolo giocatore. La piattaforma ha creato nel giro di pochi mesi un mercato di compravendita con un volume cumulato di oltre 230 milioni di dollari.
Questo passaggio da reale a digitale è stato quasi ritualizzato con il rogo del disegno di Banksy “Moron” e la creazione di un NFT in sua sostituzione: la vendita del token dell’opera distrutta e digitalizzata ha registrato una cifra record di 274.000 sterline. In questo rito di passaggio, quasi un salto paradigmatico, il digitale grazie a blockchain non è più una riproduzione diluita del reale, ma la consacrazione di una singola opera in una dimensione perenne e inattaccabile dal logorio del tempo.
Metahumanity
E se questo battesimo fosse possibile anche per un essere umano? Nei primi anni 2000 erano stati i videogiochi Second Life e The Sims a darci la possibilità di creare avatar virtuali che interagissero tra loro in una realtà alternativa. La piattaforma creata da Linden Lab consentiva già di vivere virtualmente esperienze diverse imitando le dinamiche della vita reale. Lavoro, formazione, intrattenimento e relazioni sociali ed economiche interamente virtuali hanno riempito le ore di milioni di persone, per la prima volta alle prese con una vita tutta elettronica. Per molto tempo, questo tentativo si è tradotto solamente in un esperimento ambizioso, messo a dura prova dai limiti della tecnologia allora disponibile in termini di risorse computazionali e configurazioni di rete. A distanza di 20 anni, i progressi raggiunti dall’industria del gaming fanno apparire quei primi tentativi di uomo virtuale un esercizio quasi naïf.
Grazie ai nuovi paradigmi del cloud computing, creare il proprio “io” digitale non è mai stato così rapido ed efficace. Metahuman Creator è un’applicazione interamente “cloud-streamed” che consente di accedere alla potenza del ben noto motore di gioco Unreal Engine – lo stesso alla base dello sviluppo di Fortnite e tanti giochi multipiattaforma – per creare avatar virtuali fedelissimi alla realtà, fino alla ruga più sottile. Se prima erano necessari settimane o mesi di lavoro di un esperto designer, oggi qualsiasi utente può raggiungere risultati molto più sbalorditivi in meno di un’ora.
Virtuale ma decentralizzato
Le condizioni che Second Life non poteva soddisfare per essere un vero e proprio Metaverse non erano non solo qualità grafica e fluidità dell’esperienza. Un limite ancora più cruciale riguardava la gestione centralizzata dell’identità e degli asset. Sia i Linden Dollars, la moneta ufficiale del gioco scambiabile su alcuni exchange per dollari veri, sia tutti i beni disponibili nella “grid” o contenuti generati dagli utenti, vivono in database centrali gestiti da Linden Lab. La centralizzazione delle informazioni si rivela un’arma a doppio taglio: la perdita di informazioni, attacchi esterni o semplice disallineamento con i database possono compromettere definitivamente la proprietà di un asset. Non sono rari i casi di “inventory loss”, in cui gli utenti perdono l’accesso all’inventario di oggetti e accessori accumulati durante la loro esistenza virtuale.
L’avvento recente di criptovalute e NFT appare come un tassello fondante per la costruzione di un universo parallelo. L’avatar stesso e gli asset possono vivere ora su un registro decentralizzato senza possibilità di perdita o censura per azione di una singola software house. Al contrario diventano risorse spendibili in modo del tutto interoperabile: immaginatevi di poter custodire dei beni puramente virtuali come un’auto, un capo d’alta moda, un’opera d’arte digitale su un wallet privato proprietario e di poterli spendere ed esibire in esperienze virtuali sempre nuove.
Decentraland
La piattaforma Decentraland, balzata alle cronache per il recente boom del suo token Mana, consente di scambiare beni come oggetti e terreni in forma di NFT secondo lo standard Ethereum ERC-721. Il progetto è ambizioso e punta a realizzare un vero e proprio mondo virtuale alternativo dove l’acquisto di un terreno tramite token è la conditio sine qua non per costruire una casa o aprire un’attività commerciale. L’idea ha già solleticato uno dei brand simbolo dei videogiocatori della generazione X: Atari, l’iconica gaming company che ha dato i natali a Pacman e Asteroid, ha annunciato che costruirà un “crypto casinò” in un distretto di Decentraland. Sviluppato in partnership con Decentral Games, il casinò virtuale consentirà agli avventori di Decentraland di provare titoli Atari esclusivi, con l’opportunità di vincere nuovi token in cambio.
Metaverse come tesi di investimento
L’opportunità sembra così allettante che l’ecosistema Decentraland ha attirato anche l’interesse di investitori più istituzionali. Republic Real Estate, fondo immobiliare nel mondo reale, ha lanciato un nuovo veicolo di investimento in appezzamenti di terra nel Metaverse. L’obiettivo è aggiudicarsi metri quadri elettronici per edificare gli appartamenti, hotel e negozi. La speranza è quella di rivenderli o fornire servizi per i nativi virtuali di domani.
Dal fascino del Metaverse non sono certo immuni le società di venture capital più orientate al settore tecnologico. Outlier Ventures, tra le prime società di investimento a credere nelle potenzialità del Web decentralizzato, ha rilasciato il paper di ricerca “The Open Metaverse OS”: nella visione di OV, nel Metaverse del futuro non sarà una sola corporation a voler controllare i server alla base di questa metarealtà. Diversamente dalla sceneggiatura di Ready Player One di Steven Spielberg, la gestione degli avatar, la monetizzazione dei dati, la governance dell’universo, saranno processi determinati da decision maker distribuiti in tutto il mondo, regolati da protocolli decentralizzati e tecnologie blockchain.
Roblox
Andreessen Horowitz, azienda VC da 4 miliardi di dollari, fondata proprio da quel Marc Andreessen citato in apertura, scommette su Roblox. Al contrario del classico videogioco sviluppato top-down, le librerie software di Roblox sono accessibili a una community di oltre 2 milioni di sviluppatori, i quali possono creare un numero crescente di esperienze virtuali multiplayer per bambini e adolescenti. Un fattore determinante per la traction di queste esperienze di gioco sarà proprio nella loro imprevedibilità: da un lato la proliferazione di “user-generated content” (UGC), dall’altro l’apporto sempre maggiore dell’intelligenza artificiale come tool di creazione. Durante la pandemia, Roblox ha visto crescere la propria base oltre i 30 milioni di utenti attivi ogni giorno, distribuiti tra 180 nazioni diverse. Il CEO dell’azienda, David Baszucki stima che il 75% dei bambini americani tra i 9 e i 12 anni si danno appuntamento su Roblox almeno una volta al mese.
In un mondo paralizzato dall’emergenza sanitaria, in un tempo in cui confini e distanze ci sembrano insormontabili, la virtualità del Metaverse mostra già tutto il suo potenziale come “way out” da un quotidiano angoscioso e ripetitivo. Sapremo sfruttare l’abbrivio di immaginazione di questi strumenti per rinnovare anche il nostro mondo? Sarà il virtuale la dimensione dove esprimerci in modi inediti per la realtà di tutti i giorni o un incubo distopico senza ritorno? Il regista Werner Herzog, citando il teorico militare prussiano Carl von Clausewitz che affermava: “A volte, la guerra sogna sé stessa”, si chiede: “La realtà virtuale sogna sé stessa? Potremo sognare, esprimere e articolare i nostri sogni nella virtualità?”.