Un danno calcolato in oltre 100 milioni di dollari in criptovalute bloccati e inutilizzabili forse per sempre a causa di una vera e propria “mancanza di governance“. Il proprietario di uno dei più importanti exchange cripto canadesi, deceduto lo scorso dicembre, sta impedendo agli altri operatori dell’azienda di tornare ad essere operativi. Il fondatore e manager non aveva infatti condiviso con nessuno le password per accedere al patrimonio digitale e il rischio è che gli investimenti di tanti clienti non siano più recuperabili.
Il portfolio della società comprendeva investimenti in una serie di criptocurrency come Bitcoin, Bitcoin Cash, Bitcoin Gold, Litecoin ed Ethereum.
Il sistema di compravendita blockchain era gestito con un server privato, ovviamente criptato ed è ora inaccessibile in assenza delle password. Le chiavi private del cold wallet erano note solo al manager e nessuno è nella condizione di recuperarle. Inoltre, il computer privato del proprietario è a sua volta inaccessibile.
Proteggere le criptovalute in un cold wallet è certamente importante e di aiuto per garantire la sicurezza dagli hacker. Il dispositivo disconnesso da internet può essere messo al sicuro dai tentativi di violazione e dai malware. Se si riesce a inibire l’accesso al cold wallet si riesce a ottenere la massima protezione dei dati, ovviamente. Resta però il problema che il cold wallet offline rischia di essere una sorta di cassaforte sicura, ma poco pratica e, in opposizione alle logiche blockchain, accessibile solo in modo “centralizzato” e solo da soggetti autorizzati. Una eccessiva centralizzazione su una unica persona, diventa, come in questo caso, impossibile accedere al servizio e al patrimonio.
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