Fantacci: occorre distinguere Blockchain e Bitcoin

La tecnologia che sottende la nota moneta virtuale può avere innumerevoli applicazioni. Luca Fantanacci, che insegna Storia dei sistemi e delle crisi finanziarie all’Università Bocconi di Milano, ci spiega gli effetti della disintermediazione nel trasferimento di ogni genere di beni

Pubblicato il 01 Nov 2016

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di Mauro Bellini @mbellini3

Nel gennaio 2016 l‘Università Bocconi ha pubblicato a il testo scritto a quattro mani da Massimo Amato e Luca Fantacci “Per un pugno di bitcoin, rischi e opportunità delle monete virtuali”. EconomyUP ha chiesto a Luca Fantacci, docente di Storia dei sistemi e delle crisi finanziarie all’Università Bocconi, di sintetizzare i risutati della ricerca e i valori rivoluzionari della Blockchain.
Blockchain4Innovation vi invita alla lettura di questo contributo ponento l’attenzione sui punti più significativi.

Il Bitcoin come moneta è utilizzata soprattutto per scopi speculativi o per provvedere a pagamenti di attività non sempre lecite. 

Ma dall’esempio del Bitcoin è emerso che la prospettiva della disintermediazione nel trasferimento di ogni genere di asset, finanziario e reale può rappresentare un valore molto importante a prescindere dal fatto di essere associata a una moneta virtuale. La Blockchain, intesa come libro contabile virtuale può essere utilizzata per trasferire la proprietà di qualunque bene, dunque non solo denaro, ma anche auto, case, azioni, musica, film e potenzialmente qualsiasi bene, digitale o fisico,  in modo facile e in tempo reale e senza costi. Con il grande vantaggio di non dover passare da un intermediario.

Per gli intermediari tradizionali la Blockchain appare come una minaccia e puntano il dito sui limiti della tecnologia legata ai Bitcoin: lentezza, limitata capacità, esposizione ad attacchi, rischio di frodi.

I vecchi intermediari (banche, grandi gruppi di ICT) si stanno consorziando per mettere a punto una tecnologia basata sui medesimi principi della Blockchain, ma che non sia soggetta agli stessi limiti. Il dibattito ruota attorno a questo punto: ce la faranno i vecchi gruppi di intermediari a mantenere una posizione preminente, o saranno sopraffatti dal popolo della rete “empowered” da questa nuova tecnologia.

I temi sul tappeto sono tanti e riguardano soprattutto il fatto che la Blockchain sia in grado di offrire adeguate garanzie in merito alla tutela di interessi e di principi giuridici fondamentali. Ad esempio cosa può succedere in caso di frodi o inadempimenti? L’esecuzione automatica consente, laddove ci siano i presupposti, di esercitare la revoca, l’annullamento o la rinegoziazione di un contratto? Su questi temi mancano ancora risposte convincenti e complete.

Inoltre, se è vero che il ledger diffuso funziona grazie alla crittografia e alla partecipazione attiva dei nodi della rete, è altrettanto vero che i nodi lavorano soltanto se vengono ricompensati. E sinora hanno potuto essere ricompensati a sufficienza soltanto grazie all’emissione di una moneta virtuale – che però continua ad avere un valore molto volatile e continua a suscitare molti dubbi riguardo alla sua capacità di svolgere adeguatamente le funzioni di moneta.

La profittabilità della Blockchain, e di tutte le sue possibili applicazioni, dipende in maniera cruciale dalla solidità della criptovaluta che ne consente il finanziamento. C’è forse il rischio che la Blockchain non possa esistere senza Bitcoin e dunque occorre identificare un nuovo modello che renda la Blockchain sostenibile in tutti gli altri contesti che non necessariamente si appoggiano ai bitcoin.

Leggi l’articolo completo di Luca Fantacci su EconomyUP:  Perché la vera rivoluzione si chiama blockchain (e non bitcoin)

* Luca Fantacci insegna Storia dei sistemi e delle crisi finanziarie all’Università Bocconi di Milano

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