600 executive di 15 Paesi diversi, Italia inclusa, rappresentata da 46 rispondenti. È questo il panel sul quale PWC ha condotto la propria indagine 2018 sulla blockchain e pubblicata proprio all’inizio di questa settimana.
Un’analisi che si è posta l’obiettivo non solo di valutare la numerosità dei progetti in corso o nascenti, ma di comprendere quali strategie si stanno sviluppando in relazione a un fenomeno dal quale, al momento, nessuno vuole chiamarsi fuori.
Il motivo, per PWC, è chiaro: una blockchain ben progettata – si legge – non si limita a ridurre gli intermediari, ma consente di ridurre i costi, aumentare la velocità, migliorare la trasparenza e la tracciabilità di molti processi di business.
Ed è probabilmente anche sulla scorta di queste considerazioni che Gartner arriva a sostenere che entro i prossimi dodici anni intorno alla blockchain si genererà un valore annuo di 3.000 miliardi di dollari, mentre è la stessa PWC che ipotizza che entro il medesimo lasso di tempo tra il 10 e il 20 per cento delle infrastrutture economiche globali gireranno su sistemi basati su blockchain.
I numeri della ricerca PWC
I progetti
Partiamo comunque dai numeri.
Dall’analisi di PWC emerge che l’84 per cento dei rispondenti è in qualche misura coinvolto sul tema: il 20 per cento ancora a livello di ricerca, il 32 per cento in fase di sviluppo, il 10 per cento coinvolto in progetti pilota, il 15 per cento su progetti live e il 7 per cento in progetti avviati ma per qualche ragione poi bloccati. Solo il 14 per cento, è la sintesi, non ha al momento alcun coinvolgimento, piano o impegno sulla blockchain.
I settori
Interessante la risposta data alla domanda sui settori sui quali la blockchain è destinata ad avere il maggiore impatto: il 46 per cento dei rispondenti parla del mondo finance, seguito tuttavia dal manufacturing e dal mondo energy, entrambi con il 12 per cento di risposte, e dal mondo healthcare, appena al di sotto con un 11 per cento di segnalazioni.
Il Government, uno dei settori sui quali l’attenzione sembra essere piuttosto marcata, raccoglie l’8 per cento di indicazioni e via a seguire con il retail (4 per cento) e il settore dell’entertainment, con un decisamente più modesto 1 per cento.
I quattro segnali di cambiamento
I segnali di un cambiamento epocale ci sono e PWC li riassume in quattro topic chiave.
In primo luogo la tokenizzazione, vale a dire la rappresentazione di asset reali e virtuali su una blockchain: è un fenomeno in costante diffusione e, soprattutto, estensione ad ambiti sempre più diversi, dalle materie primi a prodotti finiti, arrivando anche alla gestione dei diritti di iscrizione a gruppi o associazioni.
Il secondo topic sul quale PWC accende l’attenzione è quello delle ICO, le Initial Coin Offering, con le quali le aziende vendono al pubblico un determinato numero di token digitali come forme di finanziamento.
Nei primi cinque mesi dell’anno in corso le ICO hanno raccolto qualcosa come 13,7 miliardi di dollari: le più importanti sono state quella di EOS, focalizzata su una infrastruttura blockchain, Huobi Token, per la costituzione di un crypto exchange nella Corea del Sud, e Hdac, vale a dire una piattaforma per l’Internet of Things.
Un terzo fenomeno sul quale PWC pone l’attenzione è quello dell’integrazione trea ERP e blockchain, con l’obiettivo di snellire i processi, facilitare la condivisione di dati, garantire l’integrità dei dati.
Non è un caso che nella partita siano entrati player come Microsoft, Oracle, Sap e Salesforce: in futuro i processi di business core gireranno su sistemi basati su blockchain.
Infine, il quarto segnale di cambiamento viene da quanto già accennato: non sono più le sole realtà del finance a vedere nella blockchain nuove opportunità, ma vi si aggiungono nuovi player, attivi in differenti mercati.
E quando si parla di differenti mercati si fa riferimento anche alla diversità geografica.
Se oggi sono ancora gli Stati Uniti a guidare il trend, da qui ai prossimi cinque anni la leadership potrebbe passare in capo alla Cina.
Cosa frena la crescita della Blockchain?
È chiaro, in ogni caso, che siamo in presenza di un mercato in divenire.
Cosa è che ancora ne frena la crescita?
Sinteticamente, PWC evidenzia come gli interpellati citino la mancanza di un quadro regolatorio chiaro, la mancanza di fiducia tra gli utenti, la mancanza di capacità di lavorare insieme o di far lavorare diverse blockchain, l’incapacità di scalare, le preoccupazioni in termini di tutela della proprietà intellettuale e di compliance.
Un esempio per individuare le difficoltà
Tuttavia, al di là delle numeriche, la società propone una riflessione interessante e riguarda la complessità nella realizzazione di una blockchain alla quale prendano parte soggetti diversi e cita un esempio concreto.
Prendiamo il caso di una multinazionale che voglia gestire un processo intercompany come la gestione della tesoreria attraverso la blockchain. Una soluzione sensata, che le consentirebbe di evitare complessi passaggi tra diversi sistemi ERP, diversi sistemi di gestione dei dati, diverse tipologie di dati, utilizzando un ledger distribuito, che dunque non necessita di riconciliazione.
In questo caso, si potrebbe pensare all’utilizzo di token digitali per rappresentare i flussi di cassa, con l’obiettivo di semplificare il trasferimento tra diverse business unit, evitando complessi e costosi trasferimenti bancari, conversioni, tassi di cambio.
Se un’azienda limita queste attività al proprio interno, necessariamente dovrà affrontare delle sfide, ma saranno sfide imposte da regole che essa stessa stabilirà, esattamente come oggi accade con gli ERP.
La vera complessità emerge quando la blockchain viene utilizzata come piattaforma condivisa tra attori che partecipano a un medesimo ecosistema o alla medesima filiera, vale a dire proprio nei contesti nei quali la blockchain “dà il meglio di sé”, ovvero più chiaramente mostra il proprio vantaggio e i propri benefici. Le regole, va da sé, non possono essere scritte o definite da un solo soggetto ed è proprio qui, dalla necessità di regolare, normare, armonizzare, che emerge la complessità.
Alla luce di questo esempio, va da sé, assumono meno astrattezza anche le preoccupazioni sopra citate.
Trust: il nodo da sciogliere
Soprattutto emerge chiaro un punto: il tema del trust, della fiducia, è tutt’altro che marginale.
La questione va analizzata sotto due aspetti differenti.
Il tema culturale
Il primo è fondamentalmente culturale: come ogni nuova tecnologia, anche la blockchain porta con sé inevitabili e comprensibili domande su affidabilità, sicurezza, scalabilità, applicabilità.
Esattamente le stesse che abbiamo sentito e alle quale abbiamo cercato di dare risposte a ogni nuova wave tecnologica, forse con qualche difficoltà in più legata alla necessità di svincolare il tema blockchain da quello dei bitcoin e in fondo anche alla sua complessità tecnologica.
Il tema normativo
Il secondo aspetto riguarda la capacità di creare fiducia nella rete, in assenza di un impianto normativo definito. Sembra quasi paradossale, e in fondo è forse questo il paradosso della blockchain, che un sistema nato con l’idea di decentralizzare, in una logica distribuita, trovi oggi il proprio maggiore ostacolo nella difficoltà di scrivere e riconoscere regole e norme.
Ma è sicuramente lo snodo, superato il quale la blockchain non potrà che trovare nuovi e ulteriori consensi.