Una rivoluzione a cavallo di banche e startup, così cresce la Blockchain

Incubatori, sandbox, servizi proof of concept. Così gli istituti finanziari e non solo si stanno preparando al salto tecnologico offerto dai sistemi di consenso distribuito. L’obiettivo è anche arginare l’esuberante offerta che arriva dai nuovi player, sempre più focalizzati su sicurezza, trasparenza e semplicità d’uso

Pubblicato il 15 Feb 2017

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Sicurezza, trasparenza, decentralizzazione, efficienza nelle transazioni, ma anche facilità di accesso al credito. Sono questi i bisogni principali a cui risponde la tecnologia Blockchain, non solo quando applicata al mondo della finanza. E sono le ragioni per cui le banche guardano con un misto di curiosità e diffidenza a una serie di soluzioni che, sviluppate da terze parti e nuovi competitor, potrebbero mettere a rischio buona parte delle revenue degli istituti tradizionali. Dunque, le banche studiano, cercando di tenere il passo di un manipolo di startup che stanno fungendo da apripista in quello che potrebbe essere il settore più dinamico dei processi autorizzativi nei prossimi anni. Secondo i dati dell’Osservatorio Digital Finance del Politecnico di Milano, sono 63 in 17 Paesi diversi le imprese Fintech attive quest’ambito che hanno raccolto, nel complesso, oltre un miliardo di dollari di finanziamenti (780 milioni solo negli Stati Uniti), declinando i propri sforzi su tre tipi di proposizioni: piattaforme verticali che offrono come servizio la Blockchain (dieci start up secondo il censimento dell’Osservatorio), funzionalità ad hoc costruite su registri esistenti (50 aziende) e infine API e applicazioni accessorie per l’accesso a queste funzionalità (tre aziende).

Dalle banche all’Internet of Things

«Si stanno creando mondi attorno ai quali crescono costellazioni di opportunità per l’offerta di nuovi servizi e use case», conferma Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce, commentando la ricerca. «La Blockchain diventerà essenziale all’interno di sistemi ad alta numerosità di soggetti in cui non esiste conoscenza – e quindi fiducia – tra gli attori. Oltre al Finance, saranno coinvolti settori come il Government e quello delle Assicurazioni, senza contare l’impatto che avrà sull’Internet of Things. Qual è l’interpretazione che le banche stanno dando al fenomeno? Esistono gruppi che possono essere definiti scettici, poi ci sono gli esploratori, e infine gli sperimentatori, che hanno addirittura creato team dedicati allo studio della tecnologia. Secondo Coindesk, 14 dei 30 primi istituti a livello internazionale hanno attivato iniziative che fungano come proof of concept legati al lancio di servizi basati sulla Blockchain. Qualunque siano gli sviluppi del settore, una cosa è certa», conclude Portale, «su queste tematiche bisogna lavorare con un approccio cross-industry». E naturalmente sotto l’egida del regolatore.

La Blockchain vista dalla Banca d’Italia

Ma in che modo, attualmente, la Banca d’Italia vede la Blockchain? «Perché un sistema di pagamento possa ricevere il semaforo verde deve garantire efficienza, affidabilità e sicurezza, oltre che scalabilità. In questo senso, secondo le nostre valutazioni la Blockchain non si dimostra sempre all’altezza», spiega Domenico Gammaldi, Direttore Superiore del servizio Supervisione sui Mercati e sul Sistema dei Pagamenti della Banca Italia, il quale tiene a precisare che il regolatore non si limita a bloccare le nuove iniziative, ma anzi funge anzi da facilitatore rispetto a strumenti la cui introduzione è estremamente complessa. «Qualcuno confonde il tempo necessario a ponderare per inattività. Abbiamo cominciato a seguire il fenomeno Bitcoin già dal 2009, studiandolo secondo le finalità che ci ha assegnato la Comunità europea. Si tratta di una vera rivoluzione, perché si passa da un modello piramidale a uno di tipo galattico, o a ragnatela, ed è per questo che occorrono cautela e ulteriori approfondimenti. Il prossimo novembre, per esempio, si terrà a Roma il primo convegno che la Banca d’Italia dedica alla crittografia».

Tra Big Data e IoT

Non è un mistero che anche gli istituti, e persino quelli che si possono definire esploratori, ci stiano andando coi piedi di piombo. «Ci siamo allineati al contesto internazionale che guarda alla Blockchain dal 2014, convinti che il suo valore non risieda solo nel concetto di criptocurrency, ma anche nei principi fondanti della tecnologia», spiega Laura Li Puma, che in Intesa Sanpaolo è numero della divisione ‎Big Data e Internet of Things. «In Italia dunque siamo stati tra i precursori, e nel 2015 abbiamo istituito un team di lavoro permanente guidato dal nostro Innovation center. Nel 2016 sono state completate le prime sperimentazioni, ora la sfida di Intesa è passare dalle applicazioni testate in ambienti sandbox a prodotti scalabili che possano avere ritorni a livello di mercato. Del resto, secondo Matteo Assinnata, Innovator di CheBanca!, gli istituti bancari si stanno avvicinando alla Blockchain perché vogliono aumentare i profitti e ridurre i costi dei processi del settlement.

Gli Smart Contract nelle banche e nelle assicurazioni

Demetrio Migliorati conferma che Banca Mediolanum, di cui è Innovation Manager, guarda con attenzione al fenomeno, studiandolo da circa un anno. «Stiamo mettendo al centro delle ricerche le possibili applicazioni che possono generare un ritorno per le nostre attività, sul piano del contenimento costi, dell’interoperabilità delle sinergia all’interno del gruppo, con focus sui temi della moneta di scopo degli Smart contract e delle Speed transaction. I nodi e le implicazioni culturali della questione vengono invece affrontati attraverso workshop erogati a tutti i livelli, coinvolgendo anche il top management. Infine», conclude Migliorati, «c’è il tema legale. Quanto realizzeremo può poi essere sostenuto sul piano delle normative? Per comprendere anche questi aspetti abbiamo avviato un tavolo di lavoro ad hoc con uno dei nostri partner». Una strategia adottata anche in Generali, dove – spiega ‎Ivano Bosisio, Head of Operational Excellence and Head of Procurement – da un anno si tengono convegni per identificare e comprendere use case legati all’utilizzo del protocollo nel settore assicurativo. «Siamo convinti, comunque, che il potenziale insito nell’adozione della Blockchain scaturirà solo facendo rete con altre imprese».

Il ruolo del P2P di Poste e le prospettive di Enel

Non a caso, persino Poste Italiane – che come ricorda Walter Pinci, Responsabile Sistemi di Incasso e Pagamento di Bancoposta, è l’incumbent italiano per quanto riguarda i pagamenti – sta osservando il fenomeno. «In primo luogo perché ci aiuta a comprendere in che direzione stanno andando le tecnologie specialmente negli ambiti delle rimesse e delle transazioni P2P cross-boarder, in seconda istanza perché ci orienta anche rispetto agli investimenti effettuati da Poste sulle start up», precisa Pinci.

Il sostegno alle nuove imprese è un tema centrale pure per Enel, che dispone di un business incubator che risponde direttamente all’amministratore delegato del Gruppo. «Le start up hanno un filo diretto con i livelli apicali dell’azienda, a cui risponderanno anche gli innovation hub di Tel Aviv (appena inaugurato, ndr), Singapore e Silicon Valley», conferma Diego Dal Canto, ‎Innovation Project Manager di Enel. «E il team che si occupa di Blockchain, attivo ormai da un anno, è composto da 15 persone esperte non solo di ICT, ma anche di business. La Blockchain, per noi, non è solo un nuovo protocollo, ma un modo nuovo di vedere le cose».

Blockchain e start up: il fulcro di nuovi modelli di business

Una visione, quella di Dal Canto, confermata dalle nuove imprese che, soprattutto all’estero e in particolare in UK, stanno fiorendo attorno al concetto di consenso distribuito. Christian Miccoli, co-founder di Conio insieme a Vincenzo Di Nicola (già fondatore di GoPago, ceduta ad Amazon) spiega che introdurre le crittovalute e quindi la Blockchain nel mercato significa prima tutto fornire applicazioni semplici che offrano sicurezza (anche sul piano del rispetto delle normative) e semplicità agli utenti finali. Conio va in questa direzione. «Risolve molti problemi di fondo, a partire da quelli di immagine, in quanto è un wallet che permette di acquistare, gestire e spendere Bitcoin in tutta tranquillità, in ottemperanza alle leggi e senza il rischio di finire ingiustamente sotto la lente di ingrandimento di banche e autorità. Le persone non cercano complicazioni, e vogliono essere certe che – anche nel momento in cui lo smartphone viene smarrito o cambia la normativa o, nella peggiore delle ipotesi, Conio chiude – il loro wallet sia comunque disponibile».

Euklid è un’altra start up fintech inglese, ma unica nel suo genere perché unisce alla tecnologia Blockchain l’Intelligenza artificiale. «Abbiamo sviluppato una piattaforma analitica proprietaria che ci permette di prevedere gli andamenti azionari in borsa. La precisione degli insight è talmente elevata che il nostro modello di business si fonda su un meccanismo di remunerazione legato alle performance ottenute dai clienti», dice Giovanni Contini, cofondatore di Euklid, dove la Blockchain funge da cartina di tornasole per i risultati ottenuti dall’azienda. «Il protocollo è garanzia di trasparenza ed etica in una proposizione che è per definizione customer-centric».

Anche Tallysticks punta a innescare una grande rivoluzione: «Le PMI generano il 60% del PIL globale ma ricevono solo il 30% dei finanziamenti complessivi», racconta Nitesh Srivastava, Operations Manager della start up. «Grazie alla Blockchain possiamo reimmaginare il modo in cui vengono gestiti e analizzati i dati finanziari e i processi di finanziamento, collegando le organizzazioni di piccole dimensioni con la grande impresa e gli istituti finanziari per un accesso al credito più semplice».

Ma Blockchain non è solo sinonimo di transazioni: Everledger per esempio sfrutta il protocollo per garantire l’origine e la storia dei beni di lusso, a partire dai diamanti per arrivare ai vini pregiati passando per le opere d’arte. «Everledger è un registro globale fondato sulla Blockchain, la cui immutabilità è alla base dell’identificazione univoca degli oggetti, di cui è possibile conoscere in ogni momento origine, posizione, proprietà attraverso dati incorruttibili», dice Calogero Scibetta, Operations and Business Development Manager della società. «Pur non essendo un’applicazione di natura finanziaria, i nostri clienti sono prevalentemente banche e assicurazioni, per le quali le frodi generano ogni anno perdite per 50 miliardi di euro».

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