Un contratto sotto forma di codice che rimanda l’esecuzione di alcune o tutte le sue clausole a un software: l’idea è di Nick Szabo, informatico esperto di crittografia e laureato in legge (americano di origine ungherese) , che nella metà degli anni ’90 si mise a lavorare a componenti hardware e software da installare su oggetti (per un’automobile, per esempio) che ne potessero modificare il funzionamento sulla base di condizioni previste nelle clausole di un contratto che ne regolasse l’uso: ripercorrendo l’esempio dell’automobile e immaginandone un acquisto rateizzato, il componente avrebbe potuto disabilitare la messa in moto in caso di mancato pagamento di una o due rate. Szabo si è dimostrato un grande visionario perché, in pratica, ha immaginato l’Internet of Things quando Internet era agli albori.
Il concetto di smart contract si compone di tre parti:
- il codice di un programma che diventa l’espressione di una logica contrattuale (l’auto funziona se ne vengono pagate le rate);
- messaggi inviati al programma stesso che rappresentano gli eventi che devono far attivare il contratto (il mancato pagamento della rata);
- un meccanismo che ponga in essere gli effetti previsti dalla logica (all’auto viene inibita la messa in moto).
Un contratto tradizionale (a sinistra) e uno smart contract (a destra)
Semplice a dirsi, ma non altrettanto a farsi perché, affinché uno smart contract funzioni, è indispensabile:
1) il consenso tra le parti e, quindi, la presenza di un intermediario che ne garantisca l’affidabilità e impedisca manomissioni
2) oppure di un meccanismo che, in modo automatico e via software, si sostituisca a questo intermediario.
Un esempio del primo caso è quello di eBay che incorpora degli smart contract, sotto forma di procedure automatizzate che eseguono le clausole del contratto che i contraenti sottoscrivono quando si affidano a eBay; questi smart contract vengono eseguiti sui server della società di aste e vendite online.
Per l’applicabilità del secondo caso, negli anni ’90 la tecnologia non era ancora ancora pronta, mentre oggi, grazie all’Internet of Things (che consente alle “cose” di comunicare direttamente) e alle tecnologie blockchain con i vari meccanismi di validazione, la geniale idea di Nick Szabo abilita l’utilizzo delle tecnologie blockchain in una varietà di ambiti (come si può vedere su ZeroUno n°413 di settembre 2017)