Normativa

Trading criptovalute: quando si applica l’Iva su Token e Bitcoin

In Italia manca ancora una precisa cornice normativa per disciplinare la materia e bisogna affidarsi ad alcuni pareri interpretativi dell’Agenzia delle entrate

Pubblicato il 18 Mar 2022

Giammarco Brega

Dottore Commercialista in Stradella (PV) e Milano, Partecipante Corso Alta Formazione “Data Management e consulenza d’impresa” di SAF Emilia Romagna

regno unito

Abbiamo esaminato le potenziali conseguenze per un’azienda che acquisti criptovalute: in quale voce di bilancio vanno inserite e le conseguenze a livello di tassazione. In questa sede puntiamo l’attenzione alle imposte indirette, ed in particolare l’Iva, per capire insieme se l’attività di trading di criptovalute può essere considerata una prestazione di servizi soggetta all’imposta sul valore aggiunto. L’imponibilità Iva è un aspetto molto delicato per chi con la propria azienda abbia intenzione di offrire il servizio di trading di criptovalute o una qualsiasi attività di servizi legate ai cripto asset.

Innanzitutto ricordiamo che ai sensi della normativa antiriciclaggio, bitcoin e le altre criptovalute sono state definite valute virtuali. A livello europeo invece, al momento a fare scuola è la sentenza del 22/10/15 (causa Skatteverket vs Hedqvist). Da tale pronuncia ricaviamo due importanti principi:

  •  le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale costituiscono prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso;
  •  dette prestazioni costituiscono operazioni esenti dall’IVA.

Riprendendo il testo della sentenza, bitcoin “non può essere qualificata come «bene materiale» dato che […] questa valuta virtuale non ha altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento”. Conseguentemente, le operazioni che consistono nel cambio di diversi mezzi di pagamento non ricadono nella nozione di cessione di beni, bensì costituiscono prestazioni di servizi.
In merito al secondo punto, la sentenza approfondisce la natura delle prestazioni effettuate attraverso le transazioni su criptovalute. Queste ultime rientrerebbero nell’ambito delle operazioni relative a divise, banconote e monete. In altre parole, rientrerebbero nelle operazioni esenti IVA. (Fonte: “Profili Iva legati all’operatività in bitcoin e criptovalute”, Marco Allena, IlSole24ore).

Trading criptovalute: cosa dice l’Agenzia delle entrate

In tema di trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di trading di criptovalute o altri servizi relativi alle “valute virtuali”, possiamo analizzare il parere dell’Agenzia delle Entrate; ci riferiamo alla risoluzione n. 72/E del 12/9/2016. In tale sede l’amministrazione finanziaria ha ribadito l’orientamento della commissione europea nella sentenza sopracitata. Nel dettaglio: l’attività “remunerata attraverso commissioni pari alla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente che intende acquistare/vendere bitcoin e la migliore quotazione reperita dalla Società sul mercato” dovrà “essere considerata ai fini Iva quale prestazione di servizi esenti”.
In un secondo momento, l’Agenzia delle Entrate si è soffermata sul trattamento Iva dovuto sull’emissione iniziale di token in sede di ICO (Initial Coin Offering). Nella risposta n.110 del 20/4/20, l’Agenzia ha affrontato in particolare il caso dell’emissione di token ibridi aventi due peculiarità:
– possono essere considerati utility token nella misura in cui danno diritto di fruire di beni e servizi offerti dal loro emittente;
– possiedono le caratteristiche di payment token in quanto sono scambiabili e possono fungere da mezzo di pagamento.

Trading criptovalute e imponibilità IVA dei token

Riassumendo la pronuncia dell’Agenzia, rileviamo che quest’ultima ha:

  •  da un lato confermato che nelle ICO di utility token si è in presenza di una “prestazione di servizi” ai fini della normativa Iva.
  •  dall’altro lato ha ritenuto non applicabile l’esenzione previste per le “valute virtuali”; in questo caso si tratta infatti di una “prestazione di servizi generica imponibile ad aliquota Iva ordinaria”. L’utility token è stato sostanzialmente qualificato come documento di legittimazione alla fornitura di determinati servizi generici, e non come avente funzione di valuta virtuale.
    “In sostanza, l’acquirente paga una commissione all’Istante per ottenere gli utility token necessari per svolgere l’attività di miner. In sede di emissione, la loro funzione è diversa da quella di una moneta virtuale, che […] non ha altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento”.
  • Come abbiamo più volte ricordato, il settore dei cripto asset non ha ancora una normativa adeguata scritta su misura. Di conseguenza, ad oggi possiamo valutare i diversi casi aziendali limitandoci a prendere in considerazione i pochi pareri dell’amministrazione finanziaria di cui siamo in possesso. In un momento storico in cui sempre più aziende forniscono servizi (trading o altro) legati alle criptovalute, è più che mai urgente definire una cornice legislativa entro la quale poter operare.

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