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Agricoltura 4.0, il percorso verso la digitalizzazione di Riso Preciso

Dalla guida automatizzata dei mezzi agricoli ai sensori sulla mietitrebbia per la mappatura digitale, per individuare le aree più o meno fertili e programmare la concimazione: così un risicoltore ha aumentato la resa produttiva e salvaguardato ambiente e costi

Pubblicato il 26 Mar 2019

caso utente riso preciso

L’innovazione non ha età. Almeno nell’agricoltura 4.0 italiana.
Secondo la recente survey condotta dall’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano e dell’Università degli Studi di Brescia su 1.467 aziende agricole intervistate, il 55% di esse dichiara di utilizzare macchinari o tecnologie avanzate per la pianificazione delle colture, la semina, la coltivazione, il raccolto (e di queste, il 45% lo fa da oltre cinque anni). Solo il 30% degli imprenditori “innovativi” ha meno di 40 anni: l’età, quindi, non sembra influire in modo significativo sull’adozione di soluzioni 4.0, a differenza, semmai, dell’estensione dei terreni e dei settori produttivi di riferimento.

Una conferma diretta arriva dall’esperienza di Riso Preciso, un progetto sviluppato dall’Azienda agricola Paola Battioli di San Pietro Mosezzo (No), registrata alla Camera di commercio di Novara già nel 1850 come attiva nella coltivazione di prati e cereali e nell’allevamento di mucche da latte e specializzatasi poi nella risicoltura a partire dal 1970: 140 sono oggi gli ettari di risaia, più altri 30 coltivati a mais, grano e soia a rotazione, a seconda delle necessità.

Primo passo: la guida automatizzata

“Il nostro esordio nell’agricoltura di precisione – ha spiegato Nino Chiò, titolare e conduttore dell’azienda, insieme alla moglie Paola e ai figli Giovanni, Alessandro e Giacomo, presentando il percorso di Riso Preciso nel corso del convegno Il digitale scende in campo, ma la partita è di filiera! presso l’Università degli Studi di Brescia – risale al 2011, grazie a un finanziamento concesso dalla Camera di Commercio per l’acquisto di attrezzature agricole innovative. Abbiamo iniziato con la guida automatizzata e georeferenziata, un sistema in grado di annullare i differenziali di lavorazione dovuti a errore o stanchezza dell’operatore, applicandola in prima battuta a un’irroratrice che usavamo per spruzzare il diserbante e poi ai trattori. Quando siamo arrivati all’autunno, nel periodo del raccolto, insieme al nostro contoterzista abbiamo provato ad applicare monitor e sensori anche alla mietitrebbia per farci un’idea delle rese delle varie aree della risaia. Abbiamo cominciato così a raccogliere non solo il riso, ma una caterva di numeri, che vengono visualizzati in colori – verde, giallo, rosso – per indicare il livello raggiunto di produzione: bassa, media, alta. Nel primo giorno di taglio, però, dopo aver tarato l’apparecchiatura, quando la sera ho stampato le mappe colorate mi ha preso lo sconforto: la macchina non sembrava funzionare, vien quasi voglia di lasciar perdere. Lascio sul tavolo le mappe colorate, e mio suocero, di oltre 80 anni, le guarda e mi dice: ‘Toh, ecco gli spianamenti che abbiamo fatto 60 anni fa’. Insomma, il sistema collegato alla mietitrebbia era in grado di leggere i diversi livelli di fertilità generati da quegli spianamenti di 60 anni prima. Abbiamo quindi esteso i sondaggi a tutte le aree coltivate e abbiamo cominciato a capire meglio perché si produce e perché no nelle diverse zone delle nostre risaie”.

L’utilità del geomapping

Sorge però, così, il problema di trovare una soluzione praticabile per ristabilire un equilibrio tra le differenti aree.

“Con la collaborazione di un agronomo e dell’ufficio ambiente di Confagricoltura – ha proseguito a raccontare Chiò – abbiamo iniziato a fare analisi differenziate dei terreni a seconda delle zone colorate dalla nostra applicazione per individuare con maggior precisione le cause di tali discontinuità. In alcuni casi la differenza la facevano due centimetri di acqua in più perché non era livellato bene il campo, in altri un albero che faceva ombra. Ma, soprattutto, abbiamo anche scoperto le parti della risaia dove andavamo a concimare troppo e dove no. Dalle mappe di fertilità, quindi, siamo passati a quelle di vigore, ossia di concimazione: sono entrambe utilissime perché permettono di avere sempre sotto controllo i valori degli elementi, fare una lettura istantanea del campo e di rispondere immediatamente ai bisogni con un’adeguata programmazione degli interventi. Così, l’anno successivo, ho comprato uno spandiconcime che a rate variabili eseguisse queste operazioni, e in alcune zone abbiamo ridotto, in alcune zone le abbiamo aumentate, riuscendo gradatamente a riequilibrare i quantitativi medi di produzione verso l’alto e aumentando così il volume complessivo di riso prodotto. La capacità d’interpretazione dei dati s’è rivelata quindi fondamentale e abbiamo continuato a lavorare sempre in questa direzione”.

Data analytics, dal raccolto alla semina

I dati raccolti vengono regolarmente elaborati e utilizzati anche per la gestione della semina, effettuata anch’essa a rateo variabile a seconda delle caratteristiche del terreno. Nel corso degli anni, l’analisi costante dei dati di produzione e della loro serie storica ha consentito all’azienda di calibrare e perfezionare gli input produttivi in base alle esigenze documentate e riscontrate, aumentando alcuni fertilizzanti – come per esempio l’azoto – e riducendo sensibilmente altri elementi, come i concimi organici e il potassio. E se da un lato è andata aumentando la produttività dei terreni, dall’altra sono diminuiti i costi di produzione (con risparmi stimabili in 30mila euro circa all’anno) ed è andato riducendosi l’impatto ambientale, grazie soprattutto alla sempre minore sovrapposizione degli erbicidi e dei fertilizzanti e all’uso più efficiente dei macchinari.
“Mettendo insieme il risparmio dei diserbanti e dei concimi e l’aumento delle produzioni – ha commentato Chiò –, siamo arrivati all’equazione per cui il risparmio corrisponde alla salvaguardia dell’ambiente e viceversa: sono due facce della stessa medaglia. Nel corso di questi anni, l’esperienza ci ha reso sempre più consapevoli del valore che possiedono i dati raccolti: non solo nel supporto delle attività in campo, ma anche, per esempio, nella tracciabilità di filiera – che è la base per la valorizzazione dei nostri risi – con il QR code, nella comunicazione delle caratteristiche qualitative della nostra produzione al pubblico dei consumatori finali e nell’offerta di servizi in altri ambiti produttivi della filiera. A loro volta, i miei figli si sono dedicati con passione all’agricoltura di precisione. Uno di loro, per esempio, è stato chiamato in aziende agricole estere a collaborare a progetti applicativi di telemetria per le attrezzature agricole”.

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